venerdì 16 dicembre 2011

I veri protagonisti dell'industria del sesso - 2


Come accennavo nel precedente post della serie, trovo fondamentale scoprire i veri protagonisti dell'industria del sesso commerciale, coloro che fanno soldi, ma davvero tanti soldi su questo business. Stranamente di questi personaggi non si parla mai e si parla solo delle prostitute, come se il fenomeno della prostituzione nel mondo attuale si esaurisse in una transazione privata tra una donna (o un uomo, o un transessuale) adulta, libera e indipendente e un cliente che paga per una prestazione sessuale. Quel che importa a una non piccola parte dell'opinione pubblica è soltanto che questo tipo di transazioni si svolgano lontano dagli occhi per salvaguardare il "decoro urbano" e la "moralità della famiglia" e al più si vuol essere rassicurati che non vi siano coinvolti minori o bambini. Indagare e capire invece chi guadagna e chi muove le fila del sistema prostituzionale, chi lo copre anche nei suoi aspetti illegali, chi se ne serve e a quali fini, interessa a ben pochi. Certo non fa glamour come una rivista patinata che reclamizza un bordello del Nevada o non suscita fantasie macabre, come un romanzo che ricama storie fantastiche sui mercanti di donne. E' semplicemente brutale e asettico, come un conto cifrato a nove zeri.
La protagonista di oggi è Matilde Manukyan, nata nel 1914 e morta nel 2001 e che è stata probabilmente la donna più ricca della Turchia e tra le persone più ricche del mondo. Prima di riportare integralmente quel che dice su di lei Lydia Cacho in "Schiave del potere", accennerò qualcosa sull'industria prostituzionale e la tratta in Turchia. In questo paese lo sfruttamento della prostituzione è legale al punto da esserci un bordello governativo diviso in tre edifici dove lavorano 131 donne adulte, oltre agli altri bordelli autorizzati dallo stato per un totale di circa mille lavoratrici registrate in tutto. Contemporaneamente ci sono tantissime case private che funzionano da bordelli illegali, per cui le organizzazioni stimano la presenza di circa 100.000 prostitute illegali, soprattutto moldave, russe, georgiane, ma anche rumene, cinesi, filippine, cingalesi, la cui venuta in Turchia e sfruttamento sono gestiti soprattutto dalla mafia albanese e russa in collaborazione con la mafia turca. Secondo i dati della OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) dal 1999 al 2010 250.000 persone sono state assoggettate a tratta di vario tipo, passando per la Turchia, data la sua posizione strategica tra Asia ed Europa e la sua contiguità con i Balcani. Il governo turco, che tiene all'entrata a pieno titolo nell'Unione europea (o almeno ci teneva fino a questa recente crisi) ha firmato gli accordi internazionali sulla tratta facendo vedere che se occupava, ma secondo l'informatore di Lydia Cacho - un poliziotto specializzato in questo settore - in realtà in Turchia la prostituzione è considerata una cosa normale e nessuno se ne vuole occupare davvero neanche quando consiste nella vera e propria schiavitù del racket o quando coinvolge minorenni.Il turco medio è abituato a questa doppia morale, tipica di ogni paese molto religioso: le prostitute turche sono poche perché una legge degli anni '30 ancora in vigore proibisce alle prostitute di sposarsi e avere figli e contemporaneamente usufruire della prostituzione con straniere è accettato correntemente (c'è anche un aspetto razzista che è la preferenza dei turchi per le donne dell'est, dalla pelle bianca e le gambe lunghe). Così come è proibito mostrare in pubblico la propria omosessualità, e contemporaneamente nelle case illegali specializzate in turismo sessuale ci sono 2000 transessuali, con un servizio perfettamente organizzato in cui si accettano anche carte di credito. La corruzione di funzionari pubblici, ambasciatori, poliziotti e l'accondiscendenza con la tratta sono all'ordine del giorno. Del resto il governo turco guadagna direttamente o indirettamente da questo affare, con i suoi bordelli legali di cui i migliori clienti (ma anche di quelli illegali) sono i numerosissimi militari presenti nel paese (che ha la seconda forza armata NATO dopo quella statunitense). Contemporaneamente l'industria del turismo fattura 21 miliardi di dollari all'anno e il turismo del sesso è in sensibile aumento, compreso quello dei pederasti.

Ma veniamo ora a Matilde Manukyan, la regina dei bordelli turchi prima dell'avvento delle mafie straniere negli anni '90:

Matilde Manukyan, di origini armene, nacque in Turchia nel 1914 da famiglia aristocratica. Educata dalle suore francesi in una delle migliori scuole private, si sposò e rimase vedova, ereditando un bel palazzo nel quartiere rosso di Karakoy. Nel corso degli anni diventò la regina dei bordelli: ne controllava 32, oltre a possedere 14 edifici in cui operavano reti di prostituzione legale. Fu segnalata più di una volta per sfruttamento sessuale di bambine; tuttavia i suoi stretti rapporti con le autorità le assicurarono protezione vita natural durante. Il governo turco arrivò addirittura a premiarla - con tanto di diploma - per essere stata la cittadina che aveva pgato più imposte in un quinquennio (dal 1990 al 1995). Tutti i suoi profitti derivavano dal commercio sessuale. Nel 1975 un attentato dinamitardo colpì la sua autovettura, ma grazie a dodici interventi di chirurgia ricostruttiva riuscì a sopravvivere. Matilde si era procurata molti nemici nelle nuove mafie dei trafficanti. A partire dal 1990 le organizzazioni criminali transnazionali sconvolsero il mondo della prostituzione turca e lei, abituata a esserne la regina, rifiutò di pagare la protezione delle mafie, colluse con la polizia.
Nel 1996 si riuscì a dimostrare pubblicamente lo sfruttamento di minorenni nei suoi bordelli e l'alta società, che le aveva sempre fatto scudo, le girò le spalle. Smascherata come trafficante Matilde annunciò di essersi convertita all'Islam e, secondo il profeta Maometto, chi si converte all'Islam risponde solo dei peccati commessi dopo la conversione. Più tardi, appoggiata dal governo, con un'operazione che molti giudicarono indegna, utilizzò il denaro guadagnato dalla tratta e dallo sfruttamento di bambine per far erigere una magnifica moschea. Sebbene, a quanto si dice , Allah l'avesse perdonata, una buona parte della società turca continua a riferirsi a lei come a una "trafficante di donne e bambine". E' risaputo che i rapporti fra Matilde e la polizia turca furono molto stretti fino al 2001, quando morì e fu assolta grazie alla sua conversione religiosa. [seguono ,ma devo ometterle per brevità, intervista a Ulla, siriana che fu rapita e venduta a Istanbul a un uomo che la portò a Matilde e resa dipendente dall'oppio e a Sonya originaria del Montenegro che sapeva di essere destinata alla prostituzione e pagò il debito per tre anni]
La storia di Matilde Manukyan, la grande maitresse turca, è un esempio perfetto di come alcune ruffiane si trasformino in trafficanti di schiave sessuali. Non solo lavorano con il sistema alleandosi con polizia e governo, ma si spingono a mettere in piedi attività lecite in modo riconosciuto e addirittura stimato all'interno di determinati gruppi sociali, incluse le élite aristocratiche e politiche. Una volta inserita nel sistema della prostituzione legale, Manukyan si fece strada nell'ambito del traffico di minori. In seguito trasformò il denaro ricavato dal traffico di donne e bambine in solidi investimenti, arrivando a possedere, prima di morire, tre alberghi a cinque stelle, 120 appartamenti in varie località turistiche della Turchia, una ditta di esportazioni e un'impresa di autonoleggio con autista con un parco di macchine di oltre 300 modelli di marca. Nella sua collezione figuravano Rolls Royce, Mercedes-Benz e BMW. Costruì anche un albergo in Germania e possedeva un megayacht di lusso nel quale ospitava i suoi potentissimi amici.

Il caso di Matilde aiuta a cogliere la complessità necessaria ad analizzare, al di là del panico morale, la differenza tra prostituzione e sfruttamento sessuale ai fini commerciali. In quale momento una donna coinvolta nella prostituzione legale decide di rendere schiave adolescenti e bambine? Quante ruffiane come Matilde esistono nel mondo che in questo preciso momento stanno compiendo scelte decisive per la vita e il futuro di una bambina o di un'adolescente in nome del principio: " Se va bene per me, va bene per chiunque?" Che cosa succede quando prostituzione e tratta si incrociano? Quando la persona che gestisce le prostitute ha potere economico e politico, allora nulla si può fare per disarticolare la rete di schiavitù interna al sistema legale. (da Schiave del potere, di Lydia Cacho, Roma, Fandango, 2010, pp. 35-38)

giovedì 15 dicembre 2011

La felicitad por todos


Lydia Cacho è stata in Italia fino a pochi giorni fa a presentare il suo secondo libro tradotto in italiano dopo "Schiave del potere", "Memorie di un'infamia", che ordinerò oggi stesso.
In un'intervista molto bella che riporto qua sotto ha dichiarato che ciò che la fa andare avanti nel suo lavoro di indagine contro le mafie del sesso e di sostegno alle donne e bambini vittime di violenza, contro il femminicidio e le violazioni di diritti umani è
semplicemente la consapevolezza che tutte le persone hanno diritto alla felicità.
Più tardi, alla giornalista che le chiedeva perché pur occupandosi di enormi sofferenze ha sempre un grande sorriso, lei ha risposto che non ha problemi a manifestare le sue emozioni anche negative, a piangere, ma che sorride perché ama la vita, profondamente.
Nell'intervista a Fabio Fazio a "Che tempo che fa", l'attivista e giornalista messicana ha spiegato che il coraggio di raccontare gli orrori del giro di pornografia infantile di Jean Succar Kuri e delle sue protezioni in alto loco le è stato dato da una bambina abusata di 4 anni, incontrata all'inizio del suo lavoro di indagine, che le disse che lei voleva raccontare ciò che le era accaduto se questo poteva servire a che più nessun'altra bambina venisse toccata.
Nel corso di questa intervista, Lydia Cacho spiega chiaramente come avviene la connessione tra mafie e affari economici "puliti" e politica. Gli affaristi e politici messicani sapevano perfettamente a un certo punto che Succar Kuri era un pederasta, ma erano troppo compromessi perché avevano avuto bisogno del suo denaro. Inoltre ci mostra la forte internazionalizzazione della mafie, informandoci del fatto che la nostra 'ndrangheta calabrese è ben presente in Messico.
Ringrazio Lydia Cacho di esistere e posto qui le interviste di cui ho parlato(le uniche in italiano per ora che si trovano sul web):


Intervista a Che tempo che fa:

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-f1f981ec-749f-4b56-9b20-b929ce65eb95-ctcf.html



venerdì 2 dicembre 2011

Massaggio con delitto


Ieri, 2 dicembre, era la giornata mondiale contro la schiavitù, passata sotto silenzio da parte dei media. Di questo tema non si parla mai, ritenendolo non più attuale, mentre invece è un dato in sempre maggior crescita nel mondo: schiavitù da sfruttamento nel lavoro, schiavitù da sfruttamento a scopi prostituzionali, traffico di esseri umani, traffico d'organi.. Non incidenti di percorso o realtà isolate, ma fatturati criminali miliardari perfettamente inseriti e funzionali alla complessa economia del capitalismo neoliberista dell'età della decadenza in cui siamo immersi.

Oggi in questo post parlerò di un articolo che mi ha lasciato basita di circa una settimana fa, apparso sull'homepage di Repubblica, riguardante la diffusione enorme nella città di Parma di centri massaggi orientali sotto cui si nascondono forme di prostituzione. L'articolo mi ha colpito naturalmente non per il fatto in sé che già conoscevo e che riguarda moltissime città per ora specialmente nel nord Italia, ma per come se ne parla.
Non c'è neanche per un attimo un interrogarsi su come e perché queste donne sono lì, da dove provengono, se sono state trafficate, se sono controllate da protettori o ricattate da mafiosi. Trapela solo una specie di senso di scandalo per la degradazione dell'idea di centro benessere ed estetico, per la mancanza di "abilitazioni professionali", per la concorrenza sleale rispetto agli "operatori onesti", che rivendicano controlli e bollini di qualità.
Il giornalista - dotato di telecamera nascosta - non prova neanche a domandare qualcosa su chi guadagna in quel centro, sulla storia personale di quelle donne per capire se erano sfruttate, ma si limita a dimostrare che il centro massaggi non era finalizzato al massaggio in sé, ma a una prestazione sessuale.
Ovviamente, men che meno si esamina o si mette in discussione il comportamento dei tanti clienti di questi centri, che cercano in tanti piacere sessuale a pagamento, che non si chiedono cosa ci sia dietro quelle giovani donne cinesi che spesso a stento parlano qualche parola di italiano. Che non sono neanche sfiorati - e come potrebbero esserlo se questa è l'informazione che si diffonde del resto ? - dall'idea di essere serviti da persone schiavizzate che soffrono per quell'attività che devono svolgere, una forma di abuso sessuale e stupro continuato.

Anche leggendo i commenti sotto all'articolo, ne emerge un panorama di ignoranza desolante, con la consueta insurrezione contro il moralismo e perbenismo "che demonizza il sesso al di fuori del matrimonio " (testuali parole di un commento). Come se schiavitù e abuso sulle donne siano questione di libertà dei costumi sessuali o di moralismo, come se comprare sesso non significhi mai commettere de facto una violenza. Acquistare piacere sessuale senza alcuna etica dell'alterità sembra sia diventato ormai un dogma indiscutibile del liberalismo e nessuno si accorge invece di quanto la cosa sia vecchia in modo imbarazzante e del tutto incompatibile con i diritti umani e con la libertà sessuale delle persone - visto che sul sesso è stato costruito un business di terzi che fanno soldi a palate - oltre che con un'idea moderna di rapporti paritari e simmetrici uomo-donna.

Un articolo di tenore ben diverso del Corriere della sera risalente al 2008 sui centri massaggi di Milano, parlava chiaramente di un debito da pagare, sequestro dei documenti da parte dello sfruttatore e di tratta controllata dalla mafia cinese.

Riporto inoltre qui un brano da Sex trafficking di Siddhart Kara che riferisce della sua esperienza in un centro massaggi del nostro Veneto:

Dopo aver passato la notte a Venezia, tornai a Mestre a cercare qualche centro massaggi. Il giornale di nuovo come guida. La maggior parte degli annunci pubblicizzava centri di massaggi giapponesi o comunque orientali; nessun dubbio che nella maggior parte di essi vi fossero delle schiave del sesso. [...] Al terzo tentativo, trovai una donna che parlava inglese e mi feci spiegare come arrivare al suo centro massaggi giapponese situato non lontano dalla zona sud della stazione. L'insegna annunciava, con una vivace luce rossa al neon "massaggio giapponese". Dentro si vedevano diverse ragazze sedute e una donna adulta dietro un bancone. La nostra conversazione fu ridicola come quella del centro thai nepalese. Non c'era possibilità di fare massaggi, dicevano, almeno non quelli che non culminavano con una prestazione sessuale. Ancora più assurdo, nessuna di quelle ragazze erano giapponesi: erano cinesi. [...] Il giorno prima, Claudio Donadel, direttore del centro di recupero di Mestre, mi aveva informato sul fatto che la tratta delle donne cinesi in Italia era aumentata e che le vittime sfruttate per prestazioni sessuali venivano portate in maggioranza nei centri massaggi.

sabato 26 novembre 2011

25 novembre

Per la giornata del 25 novembre pubblico questo importante appello per la liberazione di Adama, donna senegalese rinchiusa in un CIE solo perché da immigrata clandestina ha denunciato lo stupro subito dal suo ex compagno.
Perché il 25 novembre in Italia non sia solo la giornata contro la violenza verso le donne italiane ma verso tutte le donne.


APPELLO PER ADAMA: UNA STORIA, MOLTE VIOLENZE

Per adesioni: migranda2011@gmail.com

Adama è una donna e una migrante. Mentre scriviamo, Adama è rinchiusa nel CIE di Bologna. È rinchiusa in via Mattei dal 26 agosto, quando ha chiamato i carabinieri di Forlì dopo essere stata derubata, picchiata, stuprata e ferita alla gola con un coltello dal suo ex-compagno. Le istituzioni hanno risposto alla sua richiesta di aiuto con la detenzione amministrativa riservata ai migranti che non hanno un regolare permesso di soggiorno. La sua storia non ha avuto alcuna importanza per loro. La sua storia – che racconta di una doppia violenza subita come donna e come migrante – ha molta importanza per noi.

Secondo la legge Bossi-Fini Adama è arrivata in Italia illegalmente. Per noi è arrivata in Italia coraggiosamente, per dare ai propri figli rimasti in Senegal una vita più dignitosa. Ha trovato lavoro e una casa tramite lo stesso uomo che prima l’ha aiutata e protetta, diventando il suo compagno, e si è poi trasformato in un aguzzino. Un uomo abile a usare la legge Bossi-Fini come ricatto. Per quattro anni, quest’uomo ha minacciato Adama di denunciarla e farla espellere dal paese se lei non avesse accettato ogni suo arbitrio. Per quattro anni l’ha derubata di parte del suo salario, usando la clandestinità di Adama come arma in suo potere.

Quando Adama ha dovuto rivolgersi alle forze dell’ordine, l’unica risposta è stata la detenzione nel buco nero di un centro di identificazione e di espulsione nel quale potrebbe restare ancora per mesi. L’avvocato di Adama ha presentato il 16 settembre una richiesta di entrare nel CIE accompagnato da medici e da un interprete, affinché le sue condizioni di salute fossero accertate e la sua denuncia per la violenza subita fosse raccolta. La Prefettura di Bologna ha autorizzato l’ingresso dei medici e dell’interprete il 25 ottobre. È trascorso più di un mese prima che Adama potesse finalmente denunciare il suo aggressore, e non sappiamo quanto tempo occorrerà perché possa riottenere la libertà.

Sappiamo però che ogni giorno è un giorno di troppo. Sappiamo che la violenza che Adama ha subito, come donna e come migrante, riguarda tutte le donne e non è perciò possibile lasciar trascorrere un momento di più. Il CIE è solo l’espressione più feroce e violenta di una legge, la Bossi-Fini, che impone il silenzio e che trasforma donne coraggiose in vittime impotenti.

Noi donne non possiamo tacere mentre Adama sta portando avanti questa battaglia. Per questo facciamo appello a tutti i collettivi, le associazioni, le istituzioni, affinché chiedano la sua immediata liberazione dal CIE e la concessione di un permesso di soggiorno che le consenta di riprendere in mano la propria vita.

Migranda
Associazione Trama di Terre


Ecco il link a un articolo di Repubblica sul caso:

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2011/11/25/news/denuncia_lo_stupro_e_finisce_al_cie_storia_di_adama_donna_e_clandestina-25555110/

venerdì 18 novembre 2011

I veri protagonisti dell'industria del sesso - 1


Con questo post inauguro una nuova rubrica del blog, in cui mostrerò via via alcuni volti dei veri protagonisti dell'industria del sesso. I media parlano quasi esclusivamente delle prostitute, i cui volti e corpi in abiti succinti campeggiano immancabilmente in ogni articolo di quotidiano o rivista. Quasi mai si mostrano invece coloro che guadagnano e muovono le fila di un business di proporzioni mondiali, trascurato generalmente anche nelle analisi sul capitalismo globalizzato di matrice no-global.
Siccome io invece vorrei scoprire proprio questo aspetto degli interessi economici e del business, indagarlo, saperne di più, non posso che apprezzare enormemente il lavoro rarissimo di persone come Lydia Cacho che, mettendo a rischio serio la propria incolumità, fanno nomi e indagano, fino a toccare corde delicate del potere economico e politico.

Il protagonista di oggi è Jean Succar Kuri, libanese naturalizzato messicano, uomo d'affari e possessore di catene di alberghi, ristoranti e negozi in Messico con una fortuna stimata di 30 milioni di dollari. Quest'uomo ha messo su una rete di prostituzione minorile e pedopornografia che coinvolgeva soprattutto bambine tra gli 8 e i 14 anni. Rete sviluppata a Cancun, Quintana Roo, Messico, con diramazioni a Los Angeles, California, Stati Uniti.

Lydia Cacho ha svolto un lavoro fondamentale per la scoperta di questa rete e la condanna successiva di quest'uomo, con la denuncia contenuta nel suo libro I demoni dell'Eden: il potere dietro la pornografia infantile. In questo libro, pubblicato nel 2005, emergevano le importanti protezioni di cui beneficiava l'affarista da parte di politici e uomini di affari influenti messicani, come il suo complice, Kamel Nacif Borge, uno degli uomini più ricchi del Messico, grande giocatore d'azzardo, proprietario di una compagnia di produzione tessile di proporzioni multinazionali, che produce jeans per grandi marchi come Calvin Klein e che risulterebbe anche coinvolto in traffico di droga e armi. E fu proprio Nacif il mandante dell'arresto per diffamazione di Lydia Cacho dopo la pubblicazione del libro-denuncia in seguito al quale la giornalista è stata malmenata e ha subito anche torture e minacce (già aveva subito uno stupro sospetto nel 1998). Nel novembre del 2007 la Corte suprema del Messico ha stabilito l'innocenza di Lydia Cacho prosciogliendola dalle accusa di diffamazione.
Jean Succar Kuri è stato riconosciuto colpevole di pornografia, prostituzione e abuso sessuale su minori e condannato nel 2011 a 112 anni di prigione negli Stati Uniti, ridotti a 60 con la legge messicana.


Le notizie qui riportate sono state prese da Wikipedia e altre fonti in rete e dal libro "Schiave del potere" di Lydia Cacho. Per "I demoni dell'eden", che non è stato pubblicato in Italia, si può leggere questa recensione.

venerdì 11 novembre 2011

500 storie vere: recensione


In questo libro raccolgo la voce di tante altre Isoke che cercano una via d'uscita quasi sempre senza trovarla. Ma la via d'uscita c'è e, per quel che posso, la indico ad altre.
Se per far questo devo anche scrivere libri, li scrivo, con l'aiuto di tante persone che credono che dietro ai miei racconti e alle mie opinioni c'è quanto basta per far aprire gli occhi a tante ragazze, affinché non entrino dalla tratta, a tante perché ne escano, e agli europei perché capiscano di esser stati tutti complici di una logica di mercato che vende e compra tutto, anche le persone, anche le nuove schiave.

Io non volevo scrivere libri, ma se i trafficanti hanno paura del semplice coraggio di piccole persone come me, allora vuol dire che possono essere sconfitti se non sono solo io a parlare e se tanti ascoltano.

(da "500 storie vere" di Isoke Aikpitanyi, Roma, Ediesse, 2011)

Ci sono state due cose importanti che mi hanno portato ad interessarmi del problema della tratta a scopi prostituzionali e del business del sesso e ad aprire questo blog che non è altro che un semplice specchio dei miei approfondimenti e dei miei incontri con questo mondo. Una - l'ho già detto altre volte - è stata la lettura del libro di Lydia Cacho "Schiave del potere". Ma c'è stato un episodio ancora precedente. Per un periodo della mia vita, due o tre anni fa, sulla strada che facevo per andare al lavoro - una centralissima strada di Napoli, la mia città - incontravo all'alba un gruppo nutrito di giovanissime ragazze africane, ragazze snelle e minute come me, probabilmente di età molto più giovane della mia. Avvertivo un profondo senso di impotenza ogni volta che vedevo un vecchio laido fermarne una, un uomo insultarne un'altra perché secondo lui 30 euro era un prezzo troppo alto, certo troppo per uno stupro. Capivo che era solo un caso fortuito che io non stessi al posto di quelle ragazze, pura fortuna. Sentivo che avrei voluto far qualcosa, ma non sapevo cosa e come, spaventata anch'io dal buio e dalla volgarità violenta di alcuni passanti. Una volta, una domenica mattina, salirono sul mio autobus per Caserta due ragazze africane dopo aver subito molestie verbali da diversi uomini sia italiani che stranieri, che probabilmente chiedevano loro qualche prestazione sessuale. Le ragazze erano a disagio, io mi vergognai di non riuscire a far nulla, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime di rabbia..

500 storie vere è un'indagine capillare sulla tratta delle nigeriane svolta su tutto il territorio nazionale, con il contributo economico del Ministero per le pari opportunità, realizzata da Isoke Aikpitanyi e dai suoi collaboratori, tramite la somministrazione alle ragazze di un dettagliato questionario.
La prima cosa che mi sembra giusto osservare è che acquistare questo libro è importante, non solo perché costituisce un gesto concreto, visto che il ricavato è devoluto all'Associazione "Le ragazze di Benin City", ma soprattutto per ascoltare tante voci di vittime ed ex vittime di tratta. Il progetto di Isoke e l'associazione da lei fondata costituiscono un caso unico in Italia e in Europa perché vedono le stesse vittime farsi protagoniste della liberazione di altre "sorelle", con un mutuo aiuto tra pari. Non dunque solo vittime zitte e sottomesse, come le vorrebbero sfruttatori e trafficanti, facendo leva sul senso di responsabilità verso le famiglie, sulla povertà estrema, sul sentimento di inferiorità e impotenza in quanto donne e in quanto giovani.
Il protagonismo e la voce delle vittime sono fondamentali, perché da oggetti di indagine o persone-oggetto vittime di guadagni criminali si trasformano in soggetti che agiscono, parlano, si esprimono, portano avanti le loro istanze per un'uscita dalla loro situazione, rompendo allo stesso tempo il muro dell'indifferenza di una società civile troppo spesso complice o colpevolmente zitta.
Roberto Saviano, una delle diverse voci che arricchiscono con testimonianze questo libro, in occasione di un premio ricevuto nel 2010 dalle mani di Isoke per il suo impegno contro la mafia, ha giustamente osservato: "Credo che gli africani di Castelvolturno e di Rosarno siano riusciti a creare gli anticorpi all'infiltrazione delle organizzazioni criminali e ad insegnare agli italiani come si fronteggia la criminalità. Le immigrate e gli immigrati arrivano qui non soltanto a fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare, ma anche a difendere i diritti che gli italiani non vogliono più difendere."

500 storie vere è anche un libro molto duro, perché le storie delle ragazze lo sono. Tra i gruppi di ragazze intervistate ci sono anche quelle intercettate nel corso di un indagine sugli stupri subiti dalle vittime di tratta, condotta su iniziativa di Laura Maragnani (la gionalista di Panorama coautrice del primo libro di Isoke Aikpitanyi "Le ragazze di Benin City"). Fa molto male leggere le cose orribili che accadono a queste ragazze, la cui difficile condizione di clandestinità e schiavitù impedisce loro non solo la denuncia, ma persino di recarsi in ospedale. Queste violenze atroci condite di razzismo e misoginia, con conseguenze fisiche e psicologiche spesso gravissime e indelebili, non fanno notizia, se non parzialmente in caso di morte. E uccise ne sono tante, almeno 200 ragazze in pochi anni, solo stando alle cronache. Ma anche le uccisioni restano spesso sommerse, per cui il dato è certamente approssimato per difetto: Isoke parla di almeno 500 ragazze scomparse.

Fa se possibile ancora più male apprendere quanto poco si fa per aiutare queste ragazze a uscire da questa situazione, quanto è carente l'articolo 18 e l'applicazione restrittiva che spesso se ne fa , che offre un percorso di regolarizzazione solo a chi denuncia sfruttatori e trafficanti, come se fosse facile denunciare persone potenti che tengono in scacco intere famiglie e godono di protezione nella comunità migrante, da parte della nostra mafia e da personaggi "che contano". Loro sì che sono regolari, che sanno come muoversi, conoscono leggi e possibilità. Il pacchetto sicurezza se la prende con i deboli, i clandestini sbattuti nei CIE, mentre i criminali cadono in piedi, spesso cittadini italiani da anni che sanno nascondere la loro identità di sfruttatori e trafficanti, presentandosi come amici che danno una mano alle clandestine.

Verso la fine del libro si possono leggere le storie di Edith e Fatima, per me le più dolorose, perché parlano di ragazze che hanno coraggiosamente denunciato e nonostante ciò sono state completamente abbandonate dalle istituzioni, lasciate sole e sono nuovamente a rischio. "Mi sembra che tutti vogliono solo che io faccia la p.." dice un'altra ragazza, Ylenye.

Un'altra parte che arricchisce il libro sono le testimonianze dei clienti, coloro che hanno collaborato con Claudio Magnabosco, compagno di Isoke, nel suo importante lavoro "da uomo a uomo". Unico caso in Italia - e pressocché ignorato dai mass media -di lavoro organico con i clienti che pure non sono una rarità, ma - 5, 9 o 10 milioni che siano - alimentano il mercato e nello stesso tempo segnalano un problema evidente nella nozione dominante di maschilità e di rapporto tra i sessi e col sesso su cui tutta la società ha il dovere di interrogarsi. I clienti della prostituzione sono un anello generalmente ignorato della macchina infernale della tratta, ma diventano centrali invece nel lavoro dell'Associazione, sia come interlocutori di un percorso di mutuo aiuto, recupero, educazione sessuale e relazionale, sensibilizzazione al problema della tratta, sia come risorsa per entrare nella realtà sommersa e per aiutare le ragazze a liberarsi. Simone dice: "E' paradossale che i clienti, corresponsabili della condizione di schiavitù di molte, siano anche una risorsa, forse la principale, che le vittime hanno per sottrarsi al traffico. Questo non è merito dei clienti, ma demerito altrui, vuol dire che contro la tratta non si fa abbastanza.". Scrive Isoke: "Intervenire sui clienti e, come dicemmo in occasione di una nostra campagna, "dimezzare subito" il numero dei clienti, è uno degli obiettivi che sono anche "nostri", cioè dell'Associazione vittime ed ex vittime della tratta", quando ci proponiamo, parallelamente all'effetto del lavoro dei maschi, di dimezzare subito il numero delle schiave".

Una delle cose che più mi ha colpito dei risultati statistici del questionario è che, al contrario di quanto si pensa, la maggior parte delle ragazze è costretta a prostituirsi al chiuso e non in strada. La politica repressiva verso l'immigrazione e la prostituzione di strada per "il decoro urbano" ha incoraggiato la dispersione delle ragazze da parte degli sfruttatori. Spesso vengono spostate in continuazione da una città all'altra e portate in zone periferiche o poco conosciute. Contemporaneamente le maman riescono sempre più ad assicurare loro stesse la regolarizzazione alle ragazze, sfruttando percorsi di asilo o flussi, non cessando tuttavia di averle in pugno, sotto il ricatto del debito che aumenta (debito di 50-60mila euro fino a 80mila e più) del vodoo e delle minaccie alle famiglie. Altra cosa che mi ha colpito è la giovanissima età delle ragazze: 200 su 500 ha 18 anni o meno e sembra che l'età media delle ragazze sia in diminuzione. Questo dato conferma quello riportato da suor Eugenia Bonetti nella prefazione, che parla di 50.000-70.000 vittime di tratta a scopi prostituzionali nel nostro paese da paesi dell'Est Europa ed extra-europei, di cui il 40% minorenni tra i 14 e i 18 anni.

Mi colpisce infine la figura della maman, anello fondamentale dell'organizzazione criminale della tratta di nigeriane. Sfruttratrice spesso feroce e allo stesso tempo ex vittima di tratta a sua volta, che ha fatto in un certo senso la scelta opposta a quella di Isoke e le altre: non aiutare ma schiavizzare a sua volta le altre ragazze.

Termino questa recensione, lunga ma assolutamente inadeguata a contenere la complessità e la ricchezza di questo libro, elencando alcune delle proposte pratiche e operative elencate dalla stessa Isoke Aikpitanyi per la lotta alla tratta delle nigeriane:
- Maggior coinvolgimento di ex vittime della tratta come operatrici-pari o mediatrici nei servizi antitratta e nelle comunità di accoglienza.
- Campagna tv nazionale da vittima a vittima, in lingua edo, per spingere le vittime a fare una scelta coraggiosa: testimonial dovrà essere una ex vittima.
-Campagna nazionale sulla responsabilizzazione dei clienti: promozione di incontri e confronti nelle diverse regioni, edizione di uno studio apposito, spot radio-tv.
- Mediazione in carcere per "salvare" le maman (progetto di mediazione carceraria e di formazione delle detenute e dei detenuti per reati connessi alla tratta/sfruttamento)
-Missione delle ex vittime in Nigeria per sensibilizzare, informare, prevenire
-Implementazione dell'esperienza dei progetti "La Casa di Isoke" e "Tulipa Néye", nei quali l'intervento della operatrice pari a sostegno delle vittime della tratta agganciate e accolte in una struttura sia centrale.
- Campagna di informazione sul fenomeno della mafia nigeriana che comprende, oltre ai fatti delinquenziali, anche la tratta
- Campagne di educazione affettivo-sessuale nelle scuole superiori italiane.







lunedì 31 ottobre 2011

Ecco come il governo italiano combatte la tratta


E' appena uscito un interessante report realizzato da Hillary Clinton per il governo statunitense che fa un punto della situazione nei vari Paesi sulla lotta alla tratta, a scopi di sfruttamento sessuale e non solo. Il report in lingua originale, compresa la parte relativa all'Italia, si può trovare qui.

Sicuramente, esaminerò il report e ne farò in futuro un post che ne metta in evidenza alcuni aspetti. Qui mi limito a riportare quella che è un vera e propria vergogna per il nostro paese. Il nostro capo del governo viene citato non già per meriti nella lotta alla tratta (e quali ne avrebbe, del resto?), ma per coinvolgimento nello sfruttamento di una prostituta minorenne, la marocchina Ruby.

Non posso fare a meno di notare come la cosa più sconcertante sia il pesante silenzio che avvolge questa notizia da parte dei media e l'assuefazione di un'opinione pubblica che tutto digerisce come "vizio privato" di cui non val la pena parlare. Nell'ignoranza profonda che pervade il nostro Paese, probabilmente è sfuggito che coinvolgimento in prostituzione minorile significa coinvolgimento nella tratta di persone, visto che le convenzioni internazionali considerano lo sfruttamento prostituzionale di minori sempre prostituzione coatta, come tale assimilabile alla tratta. In altre parole, negli altri paesi civili, dove il problema della tratta è all'ordine del giorno nelle questioni da affrontare (almeno sulla carta), un presidente coinvolto in prostituzione minorile si sarebbe dovuto dimettere all'istante. Se non altro perché non è credibile perseguire un reato - come da impegni internazionali presi dall'Italia - in cui si è dentro fino al collo in prima persona.

Al silenzio generale fa eccezione il seguente articolo da "Il fatto quotidiano" su cui si può approfondire la notizia:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/29/berlusconi-citato-nel-rapporto-clinton-sulla-tratta-di-esseri-umani-per-il-caso-ruby/167082/

sabato 29 ottobre 2011

Due canzoni


In attesa di recensire quanto prima il libro di Isoke Aikpitanyi "500 storie vere" che ho finito di leggere in questi giorni, e di cui ho già parlato qui, segnalo una canzone di Micheal Nyman e David McAlmont dal titolo "City of Turin". La canzone, il cui testo con traduzione si trova anche nel libro, fu ispirata ai musicisti da un'intervista di Isoke sulla tratta delle nigeriane in Italia, presso la tv inglese Al Jazeera nel 2009.



Ecco il testo della canzone:

I can't go home
I hate it here
The wind gets through
The flimsy things they make me wear
Nobody hear wants to hear
The truth of how it's been
For a girl on the street
In the city of Turin

After dark in Valentino Park
They took away my passport
And left a scar
And my friend died
Because she couldn't lie
Truth is a sin on the street
In the city of Turin

I have to rent the spot on which I stand
They make me pay for this clothing and
I feel abandoned in this foggy land
In this city called Turin

I wave at cars
and get inside
Just to keep warm
I let him treat me like a wife
If I remember just how I have survived
I can take it in, in a car, in a street, in the city of Turin

Days in the desert without water and
Crammed in a truck and dragged overland
We numbered more at the beginning than
Since we reached where the rivers meet
In the city called Turin


Voglio segnalare anche un'altra canzone che parla di un'esperienza molto dolorosa di tratta, raccontata anche nel libro "Schiave del potere" di Lydia Cacho. Si tratta di "Dragons" di Rhoda Kershaw, una donna americana che è stata vittima di tratta in Giappone dove era andata a lavorare come cantante nel 1989, e nelle maglie della Yakuza subì un atroce "rito di iniziazione", un rito che sigla l'amicizia tra questi uomini, stuprando per giorni in gruppo una ragazza. Lei è una delle poche uscite vive e che ha potuto testimoniare su questi spietati e potentissimi mafiosi.
La canzone, che rievoca ed esorcizza in qualche modo i demoni di questa esperienza, si trova disponibile sul suo spazio my space al seguente indirizzo:

http://www.myspace.com/rhodakershaw/music/songs/dragons-21887514

lunedì 24 ottobre 2011

Dalla Romania, Iana Matei


Segnalo l'intervista uscita sull'Espresso a Iana Matei, responsabile della prima ONG fondata in Romania contro tratta e sfruttamento sessuale e autrice del libro Minorenni in vendita, che sta presentando in questi giorni in Italia. Iana Matei ci parla delle tante ragazze minorenni coinvolte, della grande presenza dei clienti italiani, e soprattutto dice una frase illuminante:
Bisogna colpire i trafficanti di donne così come si colpiscono i trafficanti di droga: con pene esemplari e il sequestro dei beni. Invece di concentrarsi su chi sfrutta le ragazze, il dibattito pubblico si arena sempre sullo stesso punto: legalizzare o meno la prostituzione. L'attenzione è sulle prostitute, non su chi le sfrutta.

Segnalo inoltre un bell'articolo su Iana Matei uscito sul blog la 27esima ora del Corriere: http://27esimaora.corriere.it/articolo/laccusa-di-iana-tornata-in-romaniaper-rubare-le-minorenni-al-racket/

venerdì 21 ottobre 2011

Le raccomandazioni del comitato per la CEDAW all'Italia


Nel luglio scorso il Comitato dell'ONU per l'eliminazione di tutte le discriminazioni contro le donne che si occupa di verificare l'applicazione dell'omonima convenzione (CEDAW) approvata dalle Nazioni Unite 30 anni fa, ha evidenziato diversi punti di criticità nel nostro Paese su temi come la rappresentazione delle donne come oggetti sessuali, violenza e femminicidi, partecipazione alla vita politica, ecc..
In questo post, riporterò la traduzione della parte di raccomandazioni all'Italia relativa alla tratta e allo sfruttamento sessuale. La traduzione è mia, visto che non sono riuscita a trovarne una. Il testo in inglese dell'intero rapporto , di cui - manco a dirlo - non si è quasi parlato in giornali e TV, è questo. Notizie sul rapporto ombra inviato al Comitato dalla società civile nella piattaforma "Lavori in corsa" le trovate qui.
Emerge un quadro che mostra quanto si faccia assolutamente troppo poco nella lotta a tratta e sfruttamento sessuale, non essendoci ancora neanche un piano nazionale e soprattutto trattando la prostituzione come problema di decoro urbano e non di diritti umani, in un'assenza totale di programmi statali di prevenzione del fenomeno e reinserimento lavorativo delle donne che vogliono uscire dalla prostituzione. Ecco la traduzione (i grassetti sono miei):

Tratta e sfruttamento della prostituzione

Il Comitato elogia lo stato membro per la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, la ratifica del Protocollo per la prevenzione, abolizione e punizione del traffico di persone, specialmente donne e bambini, supplemento alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale e gli sforzi intrapresi per assicurare assistenza sociale, per identificare le vittime di tratta e per perseguire i trafficanti. Tuttavia il Comitato è preoccupato dal fatto che l'applicazione dell'art. 18 del D.lgs n. 286/1998 che assicura uno speciale permesso di soggiorno per le vittime di tratta e sfruttamento, a scopi di protezione sociale, possa, se interpretato restrittivamente, privare di adeguata protezione donne che sono trafficate in altri paesi e poi portate in Italia a scopo di tratta.
Il Comitato è inoltre preoccupato dal fatto che un "pacchetto sicurezza" adottato dal governo nel 2010 ha seriamente ostacolato le forze di polizia nell'adeguata identificazione di potenziali vittime di tratta.
Il Comitato sollecita lo stato membro a :
a) tener presente la dimensione transnazionale del crimine della tratta di esseri umani, come evidenziato nel Protocollo per la prevenzione, abolizione e punizione del traffico di persone, specialmente donne e bambini, supplemento alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale e uniformare le procedure specifiche per l'identificazione delle vittime potenziali.
b) Velocizzare il processo di adozione di un Piano nazionale di lotta alla tratta
c) Assicurare che l'interpretazione dell'art. 18 del D.lgs 286/1998 non privi le donne che sono trafficate in altri paesi di adeguata protezione
Il Comitato nota che diversi provvedimenti (incluso il disegno di legge n. 1079 del 2008 che criminalizza la prostituzione nei luoghi pubblici) come parte di un più generale pacchetto di misure per sradicare la prostituzione e lo sfruttamento sessuale, sono in discussione nello stato membro. Tuttavia il Comitato è preoccupato che lo stato membro riconosca che la proposta di criminalizzare la prostituzione in strada "ha una funzione di pubblica sicurezza e decoro urbano" e che evidentemente i diritti delle donne coinvolte nella prostituzione di strada, la grande maggioranza delle quali sono immigrate, non sono stati considerati nella formulazione di simili misure. Il Comitato ha anche notato che lo stato membro considera la prostituzione come un fenomeno nascosto e sconosciuto che tende a essere praticato in posti chiusi. Il Comitato è preoccupato dell'assenza di assistenza e programmi di supporto per le donne che desiderano uscire dalla prostituzione e per chi non è stata vittima di sfruttamento.
Lo stato membro è sollecitato a:
a) intraprendere una valutazione d'impatto delle misure proposte per criminalizzare la prostituzione di strada allo scopo di evidenziare i rischi potenziali di sfruttamento delle donne che possono spostarsi dai circuti della prostituzione all'aperto a quella al chiuso, dove, come riconosciuto dall stato membro, la prostituzione rimane un fenomeno nascosto e sconosciuto.
b) continuare a formulare strategie e programmi per prevenire che le donne entrino nella prostituzione e mettere a punto programmi di supporto e riabilitazione per le donne che desiderano lasciare la prostituzione anche fornendo informazioni e supporto in relazione a possibilità occupazionali alternative.

AGGIORNAMENTO: Riporto il link alla traduzione intera delle raccomandazioni che intanto è stata pubblicata sul sito dei Giuristi Democratici per la CEDAW: http://www.pangeaonlus.org/download/progetti/advocacy/cedaw/Raccomandazioni_CEDAW_2011.pdf

venerdì 14 ottobre 2011

Verso il 15 ottobre


Paola mi ha segnalato questo breve documentario trasmesso il 29 settembre in tarda serata su Rai tre nella trasmissione "C'era una volta":

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-00c1e5e7-3157-48c1-8036-f88eba7f2769.html#

Si tratta di una versione accorciata di un documentario del 2007 dallo stesso titolo, "Bambole".

Trovo il documentario di un certo interesse, soprattutto perché a un certo punto mostra un dialogo tra il giornalista - che si finge un gestore di un night club italiano - e un proprietario di un night in Romania. Il giornalista si offre di comprare delle ragazze, smascherando così la condizione di semi-schiavitù delle giovani, che a prima vista sembravano libere. Inoltre, a un certo punto c'è un' intervista effettuata in carcere a un trafficante moldavo, che tra le altre cosa mostra la sua vera concezione di rispetto delle donne: "noi le donne, le prostitute, le rispettiamo, non siamo come i rumeni, perché per noi sono una merce redditizia" - dice più o meno così. Insomma, è raro che si mostrino i veri protagonisti dell'industria del sesso, cioè coloro che la organizzano e ci guadagnano sopra e questo documentario lo fa.

Molto istruttivo poi l'inizio, con l'intervista in Brasile a un uomo che afferma che prostituirsi è una libertà per le donne, perché ormai è stata superata la vecchia morale e le donne hanno il diritto di vivere la loro sessualità con tutti quelli che vogliono e perché no - aggiunge - guadagnarci anche sopra. Un meraviglioso e ipocrita rovesciamento allo scopo di normalizzare la violenza, di nascondere come la prostituzione di queste donne non sia un esercizio di libera sessualità ma piuttosto una sua negazione, un abuso sui loro corpi di una società per la quale sono le ultime degli ultimi. Se nasci nelle favelas e per giunta sei femmina non hai scampo, sei in una gabbia. Sei considerata non una persona, ma una risorsa, da un Paese strozzato dal debito, al pari di qualsiasi altro prodotto da utilizzare nel fiorente turismo sessuale ("hai visto come sono belle le nostre ragazze?" dice a un certo punto un uomo, quasi mostrando la volontà di venderne una al giornalista). Il turismo sessuale non è altro che una nuova forma di colonialismo basata sull'inferiorità socio-economica della donna, sulla miseria di una sessualità maschile ridotta a sfogo e consumo, sullo sviluppo selvaggio del capitalismo neoliberista e sulle enormi sperequazioni planetarie.
Non mi sono stupita di vedere bambine sulle strade del Brasile o in un centro di accoglienza per vittime di sfruttamento sessuale in Romania. Non mi sono stupita, perché ho già letto diverse inchieste in cui se ne parla, ma ogni volta è comunque un pugno nello stomaco.

Nonostante tutto, voglio essere positiva e dire che il 15 ottobre manifesterò anche per loro, per tutte le vittime di tratta e sfruttamento sessuale, perché se vogliamo cambiare questo mondo lo possiamo fare solo in un'ottica globale. Se qualcosa di buono possiamo vedere in questa crisi economica, è forse il fatto che ci costringe, nell'incertezza sul nostro futuro, nell'aumento degli stenti quotidiani, a guardare con più solidarietà al destino degli ultimi del pianeta. Ci fa capire che le forze si devono unire, che equità, solidarietà, sostenibilità, diritti umani, stato sociale, non sono degli optional. Che vanno pretesi ovunque e per tutt*, senza alcuna distinzione. Che il sistema basato sul massimo profitto di pochi, che calpesta la centralità della persona è arrivato al capolinea.
Il cambiamento non è rimandabile e deve partire subito, da ognun* di noi.

venerdì 30 settembre 2011

Come tornare indietro di cinquant'anni

Da un po' di tempo ho notato la grande diffusione in articoli di giornali e portali online, in affermazioni di opinionisti e nella letteratura per teenagers, di una sorta di apologia e normalizzazione della prostituzione femminile, come se si trattasse di una manifestazione di libertà sessuale e nel contempo di furbizia consistente nel "far fruttare la fortuna su cui sei seduta". Sì, ho trovato scritto proprio così, non ricordo dove.

Un esempio particolarmente scioccante mi è venuto dalla lettura qualche giorno fa sul "Corriere dell'Università job", un mensile che arriva nel mio ateneo, di un articolo che mostra la prostituzione delle studentesse come una simpatica e più remunerativa alternativa ai vecchi lavoretti part-time:

Ecco due passi particolarmente "illuminanti":

"Diverso è invece quando le incontri su internet, quando raccontano di volersi aprire a nuovi incontri perché hanno bisogno di pagare l’affitto anche questo mese o perché hanno semplicemente capito che il divertimento a volte paga. Di mattina sono testa, di sera quando si collegano in chat o lasciano annunci e foto in siti creati apposta per loro, diventano corpo."

"Non dimenticare che come sugar baby parte di ciò che offri risiede in una relazione leggera e divertente, scevra di conflittualità. Una delle principali ragioni per cui si cercano le sugar babies è il sollievo di una donna che ti allontani dallo stress."

Quest'ultimo brano è preso dal decalogo di Brandon Wade (interamente pubblicato dal giornale) un uomo che negli Stati Uniti ha creato un sito (e ci si è arricchito) che è un vero e proprio bordello online e a cui il giornale non si preoccupa di fare indiretta pubblicità, nonostante in Italia sfruttamento, favoreggiamento e induzione alla prostituzione siano (ancora?) reati.

Del resto, che esista lo sfruttamento anche nell'ambito della prostituzione studentesca è confermato dalle cronache quotidiane ( che purtroppo sfuggono ai più) come in questo articolo:

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2011/06/18/news/reclutavano_prostitute_tra_le_studentesse_bologna_arrestati_due_sfruttatori-17879296/

Dei due brani sopra faccio notare solo una cosa: come viene presentata oggi la sessualità e il ruolo femminile, nonostante la rivoluzione femminista e le grandi conquiste che ci sono state verso la parità socio-economico-culturale. Per una giovane ragazza a quanto pare dovrebbe essere addirittura motivo di divertimento intrattenersi - invece che con uno o tanti uomini che la attraggano - con un vecchio o maturo signore facoltoso non cercato da lei per attrazione fisica, ma subendo il suo corpo dietro compenso monetario. Addirittura, questo significherebbe per lei "diventare corpo". Insomma, ancora una volta il corpo femminile visto come inerte oggetto del desiderio, non capace e desideroso di soddisfazione soggettiva. E quale deve essere alla fine il suo ruolo? Essere di sollievo a un uomo ricco allontanandolo dallo stress, secondo l'illuminante pensiero di Wade. Non quindi reclamare il proprio diritto - nell'ambito di una crisi economica che si sta facendo pagare particolarmente alle giovani donne - a un lavoro ben retribuito che la renda autonoma e le faccia dispiegare il proprio talento. Ma, ancora una volta, far dipendere il proprio mantenimento, sia pure per gli svaghi e il lusso da un uomo o tanti uomini che siano, loro sì detentori di loro proprie ricchezze.

E questa sarebbe la modernità, la libertà sessuale contro ogni moralismo bacchettone?

Come più di cinquant'anni fa, come se la storia non fosse mai andata avanti, questi signori insomma mostrano di ritenere ancora la sessualità e il corpo della donna, semplici strumenti di servizio per l'unico desiderio che conta, quello maschile. Da che mondo patriarcale è mondo, la donna è sempre stata mutilata della sua propria sessualità, diventando o casta sposa vergine fino al matrimonio o prostituta e quindi addetta per lavoro o costrizione al piacere maschile, per contratto soffocando ogni necessità del proprio corpo.

Ci sarebbe quasi da ridere – seppur amaramente - se non fosse in atto una strategia mondiale del capitalismo neoliberista globalizzato per aumentare il giro d’affari dell’industria del sesso, come si legge nell'interessantissimo "Prostituzione:globalizzazione incarnata" di Richard Poulin che sto leggendo in questi giorni. Interi stati dell'Africa, America latina, Sud-est asiatico, Europa dell'est, impoveriti o indebitati e divenuti ostaggio del Fondo monetario internazionale, basano ormai una notevole parte delle loro economie sulla prostituzione e sulla tratta di donne e bambine/i, nonostante l'adesione formale ai protocolli internazionali anti-tratta. Così da togliersi di mezzo il problema dell'occupazione femminile e contemporaneamente ricavando enormi profitti dalla mercificazione del corpo delle donne. Come è facile immaginare, le potenti multinazionali del sesso hanno tutto interesse al mantenimento di una condizione femminile arretrata e inferiore dal punto di vista economico, dell’ istruzione e della percezione sociale. Checchè se ne dica - accostando prostituzione e libertà delle donne - la stragrande maggioranza delle donne reclutate da questa industria provengono infatti dai paesi in cui la condizione femminile è più arretrata, la violenza sessuale è più diffusa e le ragazze, reclutate in età sempre più giovane, spesso spinte o vendute dalle proprie famiglie, scoprono di frequente prima la violenza del bordello che la loro propria sessualità. Questo è il vero volto della mercificazione del corpo della donna e penso che noi occidentali abbiamo una grande responsabilità, noi che potremmo agire, noi che dovremmo avere gli strumenti per farlo. Se forse troppi colpevoli intellettualismi non impediscano ormai persino di vedere la realtà per quella che è.

giovedì 22 settembre 2011

Il mito delle case chiuse

Uno dei motivi che mi hanno portato ad approfondire il tema della prostituzione e dell'industria del sesso fino a pensare di metterci su un blog, è stata l'impossibilità di rispondere ai luoghi comuni che sentivo dire intorno a me ogniqualvolta saltava fuori l'argomento.
Uno di questi, uno dei più inossidabili: "Oggi c'è un grande squallore con la prostituzione di strada. Tutta colpa del fatto che hanno chiuso le case di tolleranza. Bando alle ipocrisie, andrebbero riaperte. Prima di tutto per il bene delle ragazze".
Sì, come no.
In verità, in tutte le letture che sto facendo, in tutte le inchieste sull'industria multinazionale della prostituzione emerge come gli ambienti al chiuso siano se possibile ancora più pericolosi per chi vi è sfruttata, che vi è spesso letteralmente segregata, con molte meno possibilità di fuggire o di intercettare qualche organizzazione antitratta.
Nel caso che poi i bordelli siano gestiti dallo stato non è per questo garantita nei fatti maggior tutela rispetto a pratiche violente o malattie a trasmissione sessuale. Una dimostrazione ne è quanto accade nei bordelli statali turchi descritti da Lydia Cacho nella sua inchiesta (tra l'altro il governo turco, proprio perché ci guadagna sopra, addirittura perseguita le ONG che operano in favore di chi vuole sfuggire agli sfruttatori) oppure, andando un po' ad approfondire, proprio ciò che accadeva nelle tanto celebrate - anche da intellettuali e artisti di sinistra - case chiuse italiane, in cui i controlli sanitari erano solo una formalità e rivolti solo alla presunta tutela del cliente e in cui per converso le donne erano schedate e marchiate a vita, oltre ad essere devastate nel corpo e nella mente.
Una cosa in comune hanno le prostitute di ieri e di oggi: per la massima parte vengono da condizioni di marginalità e povertà estrema e da società che si basano sull'inferiorità socio-culturale-economica della donna.
Metto qui il link a un interessante articolo del '98 di Emanuela Scuccato apparso su Rivista anarchica e che ci riporta agli anni della senatrice Merlin a partire dalla pubblicazione nel 1955 del libro curato da Lina Merlin e Carla Barberis "Lettere dalle case chiuse".
Riporto anche alcune citazioni dell'articolo:

E allora perché battersi, nel '48, per chiudere le case di tolleranza? e oggi, 50 anni dopo, perché tornare a ribadire le stesse cose: che i casini non possono essere riaperti; che la si deve smettere, una buona volta, con questa ipocrisia dei cosiddetti "parchi dell'amore"; che...? Ma quale amore? Di che amore si sta parlando quando si parla di prostituzione? Tutte le donne che hanno scritto alla Merlin e alla Barberis, sia quelle favorevoli che quelle contro le Case, si sono definite dal di dentro "carne da Maciello" (Lettera N.55). Ci si può credere. Perché al di là della letteratura, del cinema, dell'arte in generale, che hanno fatto spesso del bordello un luogo "mitico", la realtà raccontata da "quelle signorine" è ben diversa.

Nelle case di tolleranza dell'Italia del dopoguerra, politicamente "immacolata", sulle strade dell'Italia di oggi, di tutt'altro orientamento politico, c'erano e ci sono soprattutto donne in mano alle multinazionali della prostituzione. Ci sono le stesse umiliazioni di sempre, le stesse botte, lo stesso disumano sfruttamento, lo stesso "farsi" per poter vendere il proprio corpo senza stare troppo male. C'è anche la morte, spesso. In compenso c'è più scelta per i clienti: slave, nigeriane, albanesi... E poi il top della trasgressione: i "trans". È curioso come a rileggere vecchi libri e vecchie carte salti sempre fuori, anche a proposito della mercificazione del sesso, l'esercito, la guerra. "L'origine della regolamentazione [del meretricio n.d.r.] che data dal 1802 in Francia e fu estesa in altri paesi d'Europa negli anni successivi, va ricercata in effetti nel presupposto che essa rappresentasse un mezzo di profilassi antivenerea per preservare gli eserciti", scrive Lina Merlin nella sua prefazione alle Lettere.

La questione della prostituzione è molto complessa, si diceva, e i livelli di lettura e interpretazione del fenomeno molteplici. Di una cosa, però, sono sicura. Che proprio perché "responsabile per la prostituzione è l'inferiorità economica e sociale della donna" (Emma Goldman), lo Stato non può in alcun modo entrarci.

La soluzione, se soluzione potrà mai esserci, sta in noi. Nella nostra capacità di parlarne apertamente. Di tornare a riflettere sulla sessualità in modo libero. Sta nel nostro desiderio di conoscerci. E di ri-conoscerci, reciprocamente. Sta nella voglia di riappropriarci dei nostri corpi. E del nostro piacere.


giovedì 15 settembre 2011

Cose dell'altro mondo!!


Sono finalmente riuscita a ordinare l'ultimo libro di Isoke Aikpitanyi "500 storie vere", inchiesta ben documentata sulla tratta delle donne nigeriane in Italia, di cui parlavo anche qui.
Qualche giorno fa ho visto il film "Cose dell'altro mondo" che ha fatto tanto discutere, una commedia in cui si immagina una situazione surreale: la scomparsa di tutti gli immigrati da un paese del Veneto in cui domina una diffusa mentalità razzista. Scomparsa che poi sembra propagarsi a tutta l'Italia, ripercuotendosi in modo devastante sull'economia e sulla vita di tutti i giorni di una società che prima di allora considerava gli immigrati nella migliore delle ipotesi con indifferenza, pur sfruttandoli per i lavori più umili e malpagati.

Personalmente il film non mi è dispiaciuto nel suo complesso, ma sono rimasta colpita profondamente dalla grande superficialità con cui viene presentata la prostituzione delle nigeriane. Neanche un accenno al fatto che sono portate in Italia (e in Europa) con l'inganno e la violenza, che sono sfruttate da mafiosi senza scrupoli con la connivenza delle nostre mafie, nell'acquiescenza generalizzata delle istituzioni, che subiscono violenze terribili da parte dei clienti, dei trafficanti, delle "maman", che spesso sono uccise e che la loro morte non riceve giustizia alcuna.
Non è una giustificazione il fatto che si tratta di una commedia, perché avrei visto molto più coerente a questo punto non inserire affatto nel film un crimine che non può far ridere nessuno.

Il film si limita a dipingere un quadretto edulcorato in cui si mostra una dolce prostituta sottomessa in buoni rapporti col suo cliente e il suo lavoro in Italia ne emerge come un lavoro come un altro, un servizio necessario per lo sfogo sessuale degli uomini italiani che si ritrovano le mogli sempre col mal di testa. Viva i luoghi comuni!
Questo mi sembra un segnale preoccupante, molto preoccupante. Non capisco come si sia potuta commettere una tale omissione e una pericolosa implicita pubblicità del consumo di sesso con le schiave nigeriane, presentata come "normale" e innocua.
Vergogna, dico vergogna, non mi viene altro.

venerdì 2 settembre 2011

Un libro scritto con i nervi e col sangue


Non avevo mai parlato in pubblico prima di allora e avevo sempre temuto di ritrovarmi di fronte a degli intellettuali o a una folla di persone eleganti. Allora, mi buttai. Cominciai a ricordare la condizione delle donne, soprattutto in Cambogia, la mia vita, quella delle ragazze rinchiuse nei bordelli. Il detto popolare afferma che la prostituzione è il mestiere più antico del mondo e che si fonda su uno scambio: il piacere verso il denaro. Volevo smentire con tutte le mie forze quel tragico camuffamento della realtà, che nasconde la disperazione delle ragazze su cui si esercitano tremende violenze.

da "Il silenzio dell'innocenza", Milano, Corbaccio, 2006, p. 82

"Il silenzio dell'innocenza" di Somaly Mam è un libro che sconvolge, perché è uno di quei libri veri, scritti col cuore, con l'urgenza di riversarci la propria verità e la propria anima, anche la propria rabbia, anche il politically uncorrect. E' un libro scritto da una vittima dello sfruttamento e della violenza sessuale che ha deciso di riversare la disperazione dovuta al male subito nel salvare ragazze come lei e nel dar loro la possibilità di sanare le proprie ferite (ma guarire del tutto è impossibile) e di costruirsi un futuro.Proprio per la sua verità questo libro ti trasporta e ti immerge dritto in una realtà che generalmente sentiamo troppo lontana, come se - a torto - non ci riguardasse. Ti senti come se fossi stato sul posto e in un certo qual modo avessi conosciuto quei volti, quelle sofferenze, quelle vite ingiustamente spezzate.. Devo ammettere che ho pianto mentre lo leggevo e ho sentito ancora più forte l'urgenza di fare qualcosa.

La storia di Somaly Mam, per chi non la conoscesse, è quella di una ex vittima di tratta e prostituzione forzata nonché di innumerevoli stupri a partire dall'età di 12 anni, che ha messo su insieme al marito francese un'organizzazione partita con poco nel 1996 e che è poi diventata la più grande del sud-est asiatico che si occupi di questo problema:l'AFESIP. Questa organizzazione ha oggi sedi in Cambogia, Vietnam, Thailandia, Laos. Esiste inoltre la Somaly Mam Foundation, negli Stati Uniti, che mira a dare respiro internazionale alla lotta alla tratta. L'AFESIP Cambogia fornisce accoglienza, assistenza giudiziaria (che in Cambogia è difficilissima essendo un paese completamente corrotto in cui spesso la polizia copre gli sfruttatori e i giudici assolvono sistematicamente gli stupratori incolpando ragazze e bambine), possibilità di lavoro (sartoria, parrucchiere, lavoro nel campi), percorsi di reinserimento in famiglia e di rimpatrio per le ragazze straniere, specie vietnamite, percorsi di educazione sessuale per gli uomini.

Ovviamente non è tutto facile: gli operatori e Somaly Mam ricevono minacce quotidiane e nel libro si racconta anche di tanti fallimenti e in particolare dell'impossibile liberazione delle tante ragazze chiuse nei grossi bordelli, quelli frequentati dai politici di cui non si possono fare i nomi. L'eroismo di Somaly Mam colpisce tanto e lei stessa afferma che non potrebbe condurre una vita del genere per sua scelta se non avesse conosciuto sulla sua pelle cos'è l'inferno.

Trovo che sia importante leggere le parole di una vittima per capire questo fenomeno. E' difficile che queste ragazze parlino, come dice Somaly Mam, perché spesso non hanno studiato, perché sono provate e chiuse nel loro silenzio, perché si sentono finite e senza via d'uscita.

Questo libro dovrebbero leggerlo tutti, a mio parere. Pur se parla di luoghi lontani, di violenze particolarmente efferate - in un paese dove è realtà quotidiana la vendita ai bordelli delle bambine povere anche di 4-5 anni - a ben guardare ci si accorge che situazioni simili sono anche qui, nella nostra bella Italia che fa finta di non vedere ciò che accade alle tante ragazze nigeriane, moldave, rumene, albanesi, ecc.. spesso e volentieri minorenni vittime di tratta e di sfruttamento sessuale e di terribili violenze. L'Italia che tratta la prostituzione come un problema di decoro urbano oppure come regno delle libertà individuali degli "adulti e consenzienti "senza saper andar oltre l'apparenza.

Inoltre, non dimentichiamo i tanti italiani che proprio nel Sud-Est asiatico, Cambogia inclusa, ma non solo (anche America Latina, Europa dell'Est) si recano a fare turismo sessuale, facendosi complici di tutti questi orrori. Riporto qui un articolo su questo tema dove si sottolinea come solo in minima parte si tratta di veri e propri pedofili, al contrario di quanto si pensa generalmente:
http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2011/08/19/news/turismo_sessuale_il_mercato_delle_bambine_dal_sud_est_asiatico_all_america_latina-20607104/index.html?ref=search

Concludo dicendo che guardare in faccia l'orrore più profondo a cui può portare la concezione della donna come di un oggetto, del suo corpo e del suo sesso come una merce da cui trarre profitti, sia fondamentale per capire perché questa concezione vada combattuta in tutte le sue manifestazioni che non sono mai innocue, come a volte sembra. Trovo lodevole anche sotto questo aspetto qualsiasi battaglia venga condotta contro il sessismo - anche ad esempio le numerose campagne delle blogger sulla pubblicità sessista e sulla rappresentazione mediatica del corpo delle donne come oggetto sessuale. Il cambiamento vero - ne sono convinta - si gioca sul piano culturale, dell'educazione sessuale, oltre che ovviamente nella lotta per il miglioramento delle condizioni economiche e delle opportunità per le donne.