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mercoledì 31 ottobre 2012

Isoke Aikpitanyi, la scrittura come strumento di lotta

Pubblico qui questo ottimo articolo appena uscito sul sito della Società Italiana delle Letterate: 

 ”Tanti uomini che ho incontrato mi hanno chiesto    perché facessi quella vita. Ho risposto chiedendo perché mi venissero a cercare”
«Quando ho letto Le ragazze di Benin City ho pianto. Dopo aver letto  500 storie vere, mi sono detto: devo fare qualcosa e farlo pubblicamente. Non è un semplice libro, provoca reazioni, è strumento di lotta e di cambiamento».
A parlare è Gianguido Palumbo, di Maschile Plurale, palermitano che vive a Venezia, durante la presentazione 500 storie vere, il libro di Isoke Aikpitanyi, a Palermo per  la Giornata europea contro la tratta.  Il libro riporta la testimonianza di altri uomini, venti, tutti ex clienti, che hanno deciso di mobilitarsi pubblicamente a favore di ragazze africane vittime della tratta. In Italia sono più di quindicimila e hanno dato un contributo non indifferente alla realizzazione del libro/ricerca di Isoke perché chi è in grado di avvicinare le vittime, più degli stessi operatori di strada, sono proprio i clienti.
Del resto, racconta Isoke nel libro, come nelle rispondere alle domande del pubblico, il suo riscatto è cominciato quando ha conosciuto Claudio Magnabosco, suo attuale compagno:
«Iniziammo insieme un percorso che avrebbe portato me fuori dalla tratta e lui fuori da un senso di impotenza contro i trafficanti, e di colpa per esserne stato complice. Scrisse un romanzo verità Akara-ogun e le ragazza di Benin city che diventò un manifesto. Molti  uomini arrivavano a casa nostra con ragazze africane in cerca d’aiuto. Cominciai ad occuparmi di loro, le accoglievo in casa, e nacque il progetto La ragazza di Benin city. Non volevo limitarmi a dire poverine quanto hanno sofferto, volevo creare una rete  per dare alle ex vittime della tratta la possibilità di dare sostegno a ragazze ancora vittime. Per raccontarsi  e darsi voce pubblicamente. Non volevo essere  oggetto di studio da parte di specialisti,  ma soggetto attivo.  Era il 2006 e ne conoscevo  47. Oggi sono oltre 300».
Alta, nera, statuaria, vestito sontuoso, lunga collana bianca, capelli cortissimi, Isoke parla lentamente,  concedendosi lunghe pause. Alla domanda «perché ti sei decisa a scrivere», risponde come  nell’incipit del libro:
“Io non volevo scrivere libri. Vendevo frutta e verdura con mia madre a Benin city  e desideravo venderla in Europa. Il nostro inferno è cominciato con la tv. Dentro quella scatola magica vedevamo tutti i nostri sogni. Conoscevamo già gli Italos, la tv ce li mostrava tutti  ricchi. Alcuni  avevano cominciato ad offrire alle ragazze più giovani la possibilità di raggiungere l’Europa. Effettivamente quelle che erano già partite mandavano i soldi a casa e quelle che tornavano erano piccole regine piene d’oro. Non ci chiedevamo come. Quando toccò a me ero pronta ad affrontare l’avventura. Io proprio non volevo scrivere libri ma quello che mi è capitato qualcuno doveva pur raccontarlo ed è toccato a me perché ho visto come un sogno si può trasformare in incubo».
Quando è arrivata Isoke aveva vent’anni. Le avevano promesso un lavoro di commessa.  S’è ritrovata, come tante altre, a vivere in schiavitù.
Il libro, con una introduzione di Susanna Camusso, è insieme indagine, documento di protesta e di proposte operative,  su una realtà che Isoke  chiama “sommersa” in quanto le nigeriane non sono costrette solo a prostituirsi – stupro a pagamento Isoke definisce la prostituzione – ma sono schiavizzate, massacrate, violate, uccise . Molte si ammalano psichicamente. E’ una tratta gestita da una mafia potente e violenta, la stessa che traffica in organi e armi.
«Avvicinare le ragazze è difficile perché vengono spostate continuamente in zone sempre più periferiche, dove disturbano meno o dove le questure sono più morbide», spiega Isoke.
L’indagine è stata realizzata, oltre che con l’aiuto di ex clienti, insieme ad altre ex vittime, come Vivian e Sharon,  che hanno raccolto le risposte di 500 donne al questionario  proposto. Queste alcune cifre: ventimila vittime di tratta il cui numero aumenta mentre si abbassa l’età; diecimila maman; sette milioni di clienti; il debito da riscattare pari a centomila euro “trattabili”; 500 le donne uccise negli ultimi due anni;  profitto in Italia pari a diecimilioni di euro l’anno.
«Il nuovo oleodotto dove scorrono esseri umani al posto del petrolio», così Isoke definisce il business della tratta.
Dal questionario emerge che la maggior parte delle ragazze non sapeva che avrebbe dovuto prostituirsi, è senza permesso di soggiorno, non conosce i servizi antitratta e soprattutto non denuncia perché teme  il rimpatrio.
«L’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione prevede la denuncia per accedere al programma di protezione, me  le ragazze non si sentono garantite perché le pene per chi sfrutta sono lievi e soprattutto brevi e temono le ritorsioni nei confronti soprattutto delle famiglie in Africa. Sono gli stessi motivi per cui non vanno al pronto soccorso nemmeno in punto di morte».
Nel libro sono anche raccolte 100 storie di vittime di stupri. Stupri quotidiani di bianchi, di gruppo, e spesso consumati dagli stessi connazionali che vivono in Italia e «che le schifano perché si vendono ai bianchi».
«Tanto nessuno  denuncia. Lo stupro di un’africana non fa notizia, la polizia non interviene, in ospedale non c’è attenzione. Dicono che non ci sono strumenti, ma se ad essere stuprata è una bianca è tutto diverso» dice Isoke.
I connazionali vengono assoldati dalle maman per picchiare chi si ribella o per “insegnare” alle più piccole come si fa a stare sul marciapiede.
C’è la storia di Judith, 14 anni, lasciata sull’asfalto più morta che viva alla sua prima sera di lavoro; di Prudence, 20 anni, analfabeta, che non vuole ricoverarsi, anche se ha l’utero perforato, per paura del rimpatrio; Tessie costretta a bere acido muriatico perche non voleva più saperne del marciapiede. A Sandra invece hanno strappato le unghia della mano. C’è Joy che dopo pochi giorni di matrimonio fu costretta a partire per l’ Italia dallo stesso marito e dal pastore che li aveva sposati e quando si è ribellata le è stato gettato in faccia un liquido corrosivo. E c’è Joan che è diventata una maman perché non riusciva a soddisfare le richieste continue della sua famiglia. Oggi è in prigione.
“Diventare una maman  per alcune fa parte del sogno”, scrive Isoke.
Poi ci sono le ragazzine, 13, 14 anni, vergini vendute agli Italos dalle famiglie.
Spiega Isoke : «Per le famiglie rappresentano un investimento. Significa che se va bene c’è da mangiare per tutti, si possono mandare i figli a scuola, comprare una casa e magari pure la macchina. Quando arrivano certe notizie dall’Europa, finché i soldi arrivano stentano a credere, o fanno finta di non credere, ma se la ragazza torna, e spesso torna in condizioni disumane, viene scacciata perché la colpa è sua, non è stata brava, non ha saputo utilizzare l’opportunità. Questa è la realtà anche se crudele … Ma la via d’uscita c’è, io la indico nel libro. Se per fare questo devo scrivere, io scrivo. Non c’è bisogno di essere intellettuali per dire la verità».
Isoke Aikpitani, 500 storie vere  Ediesse, Roma 2011 , 150 pagine, 10 euro
Laura Maragnani e Isoke Aikpitani , Le ragazze di Benin City, Melampo, Milano 2007, 211 pagine 12 euro

Fonte: http://www.societadelleletterate.it/2012/10/isoke-aikpitanyila-scrittura-come-strumento-di-lotta/

venerdì 11 novembre 2011

500 storie vere: recensione


In questo libro raccolgo la voce di tante altre Isoke che cercano una via d'uscita quasi sempre senza trovarla. Ma la via d'uscita c'è e, per quel che posso, la indico ad altre.
Se per far questo devo anche scrivere libri, li scrivo, con l'aiuto di tante persone che credono che dietro ai miei racconti e alle mie opinioni c'è quanto basta per far aprire gli occhi a tante ragazze, affinché non entrino dalla tratta, a tante perché ne escano, e agli europei perché capiscano di esser stati tutti complici di una logica di mercato che vende e compra tutto, anche le persone, anche le nuove schiave.

Io non volevo scrivere libri, ma se i trafficanti hanno paura del semplice coraggio di piccole persone come me, allora vuol dire che possono essere sconfitti se non sono solo io a parlare e se tanti ascoltano.

(da "500 storie vere" di Isoke Aikpitanyi, Roma, Ediesse, 2011)

Ci sono state due cose importanti che mi hanno portato ad interessarmi del problema della tratta a scopi prostituzionali e del business del sesso e ad aprire questo blog che non è altro che un semplice specchio dei miei approfondimenti e dei miei incontri con questo mondo. Una - l'ho già detto altre volte - è stata la lettura del libro di Lydia Cacho "Schiave del potere". Ma c'è stato un episodio ancora precedente. Per un periodo della mia vita, due o tre anni fa, sulla strada che facevo per andare al lavoro - una centralissima strada di Napoli, la mia città - incontravo all'alba un gruppo nutrito di giovanissime ragazze africane, ragazze snelle e minute come me, probabilmente di età molto più giovane della mia. Avvertivo un profondo senso di impotenza ogni volta che vedevo un vecchio laido fermarne una, un uomo insultarne un'altra perché secondo lui 30 euro era un prezzo troppo alto, certo troppo per uno stupro. Capivo che era solo un caso fortuito che io non stessi al posto di quelle ragazze, pura fortuna. Sentivo che avrei voluto far qualcosa, ma non sapevo cosa e come, spaventata anch'io dal buio e dalla volgarità violenta di alcuni passanti. Una volta, una domenica mattina, salirono sul mio autobus per Caserta due ragazze africane dopo aver subito molestie verbali da diversi uomini sia italiani che stranieri, che probabilmente chiedevano loro qualche prestazione sessuale. Le ragazze erano a disagio, io mi vergognai di non riuscire a far nulla, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime di rabbia..

500 storie vere è un'indagine capillare sulla tratta delle nigeriane svolta su tutto il territorio nazionale, con il contributo economico del Ministero per le pari opportunità, realizzata da Isoke Aikpitanyi e dai suoi collaboratori, tramite la somministrazione alle ragazze di un dettagliato questionario.
La prima cosa che mi sembra giusto osservare è che acquistare questo libro è importante, non solo perché costituisce un gesto concreto, visto che il ricavato è devoluto all'Associazione "Le ragazze di Benin City", ma soprattutto per ascoltare tante voci di vittime ed ex vittime di tratta. Il progetto di Isoke e l'associazione da lei fondata costituiscono un caso unico in Italia e in Europa perché vedono le stesse vittime farsi protagoniste della liberazione di altre "sorelle", con un mutuo aiuto tra pari. Non dunque solo vittime zitte e sottomesse, come le vorrebbero sfruttatori e trafficanti, facendo leva sul senso di responsabilità verso le famiglie, sulla povertà estrema, sul sentimento di inferiorità e impotenza in quanto donne e in quanto giovani.
Il protagonismo e la voce delle vittime sono fondamentali, perché da oggetti di indagine o persone-oggetto vittime di guadagni criminali si trasformano in soggetti che agiscono, parlano, si esprimono, portano avanti le loro istanze per un'uscita dalla loro situazione, rompendo allo stesso tempo il muro dell'indifferenza di una società civile troppo spesso complice o colpevolmente zitta.
Roberto Saviano, una delle diverse voci che arricchiscono con testimonianze questo libro, in occasione di un premio ricevuto nel 2010 dalle mani di Isoke per il suo impegno contro la mafia, ha giustamente osservato: "Credo che gli africani di Castelvolturno e di Rosarno siano riusciti a creare gli anticorpi all'infiltrazione delle organizzazioni criminali e ad insegnare agli italiani come si fronteggia la criminalità. Le immigrate e gli immigrati arrivano qui non soltanto a fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare, ma anche a difendere i diritti che gli italiani non vogliono più difendere."

500 storie vere è anche un libro molto duro, perché le storie delle ragazze lo sono. Tra i gruppi di ragazze intervistate ci sono anche quelle intercettate nel corso di un indagine sugli stupri subiti dalle vittime di tratta, condotta su iniziativa di Laura Maragnani (la gionalista di Panorama coautrice del primo libro di Isoke Aikpitanyi "Le ragazze di Benin City"). Fa molto male leggere le cose orribili che accadono a queste ragazze, la cui difficile condizione di clandestinità e schiavitù impedisce loro non solo la denuncia, ma persino di recarsi in ospedale. Queste violenze atroci condite di razzismo e misoginia, con conseguenze fisiche e psicologiche spesso gravissime e indelebili, non fanno notizia, se non parzialmente in caso di morte. E uccise ne sono tante, almeno 200 ragazze in pochi anni, solo stando alle cronache. Ma anche le uccisioni restano spesso sommerse, per cui il dato è certamente approssimato per difetto: Isoke parla di almeno 500 ragazze scomparse.

Fa se possibile ancora più male apprendere quanto poco si fa per aiutare queste ragazze a uscire da questa situazione, quanto è carente l'articolo 18 e l'applicazione restrittiva che spesso se ne fa , che offre un percorso di regolarizzazione solo a chi denuncia sfruttatori e trafficanti, come se fosse facile denunciare persone potenti che tengono in scacco intere famiglie e godono di protezione nella comunità migrante, da parte della nostra mafia e da personaggi "che contano". Loro sì che sono regolari, che sanno come muoversi, conoscono leggi e possibilità. Il pacchetto sicurezza se la prende con i deboli, i clandestini sbattuti nei CIE, mentre i criminali cadono in piedi, spesso cittadini italiani da anni che sanno nascondere la loro identità di sfruttatori e trafficanti, presentandosi come amici che danno una mano alle clandestine.

Verso la fine del libro si possono leggere le storie di Edith e Fatima, per me le più dolorose, perché parlano di ragazze che hanno coraggiosamente denunciato e nonostante ciò sono state completamente abbandonate dalle istituzioni, lasciate sole e sono nuovamente a rischio. "Mi sembra che tutti vogliono solo che io faccia la p.." dice un'altra ragazza, Ylenye.

Un'altra parte che arricchisce il libro sono le testimonianze dei clienti, coloro che hanno collaborato con Claudio Magnabosco, compagno di Isoke, nel suo importante lavoro "da uomo a uomo". Unico caso in Italia - e pressocché ignorato dai mass media -di lavoro organico con i clienti che pure non sono una rarità, ma - 5, 9 o 10 milioni che siano - alimentano il mercato e nello stesso tempo segnalano un problema evidente nella nozione dominante di maschilità e di rapporto tra i sessi e col sesso su cui tutta la società ha il dovere di interrogarsi. I clienti della prostituzione sono un anello generalmente ignorato della macchina infernale della tratta, ma diventano centrali invece nel lavoro dell'Associazione, sia come interlocutori di un percorso di mutuo aiuto, recupero, educazione sessuale e relazionale, sensibilizzazione al problema della tratta, sia come risorsa per entrare nella realtà sommersa e per aiutare le ragazze a liberarsi. Simone dice: "E' paradossale che i clienti, corresponsabili della condizione di schiavitù di molte, siano anche una risorsa, forse la principale, che le vittime hanno per sottrarsi al traffico. Questo non è merito dei clienti, ma demerito altrui, vuol dire che contro la tratta non si fa abbastanza.". Scrive Isoke: "Intervenire sui clienti e, come dicemmo in occasione di una nostra campagna, "dimezzare subito" il numero dei clienti, è uno degli obiettivi che sono anche "nostri", cioè dell'Associazione vittime ed ex vittime della tratta", quando ci proponiamo, parallelamente all'effetto del lavoro dei maschi, di dimezzare subito il numero delle schiave".

Una delle cose che più mi ha colpito dei risultati statistici del questionario è che, al contrario di quanto si pensa, la maggior parte delle ragazze è costretta a prostituirsi al chiuso e non in strada. La politica repressiva verso l'immigrazione e la prostituzione di strada per "il decoro urbano" ha incoraggiato la dispersione delle ragazze da parte degli sfruttatori. Spesso vengono spostate in continuazione da una città all'altra e portate in zone periferiche o poco conosciute. Contemporaneamente le maman riescono sempre più ad assicurare loro stesse la regolarizzazione alle ragazze, sfruttando percorsi di asilo o flussi, non cessando tuttavia di averle in pugno, sotto il ricatto del debito che aumenta (debito di 50-60mila euro fino a 80mila e più) del vodoo e delle minaccie alle famiglie. Altra cosa che mi ha colpito è la giovanissima età delle ragazze: 200 su 500 ha 18 anni o meno e sembra che l'età media delle ragazze sia in diminuzione. Questo dato conferma quello riportato da suor Eugenia Bonetti nella prefazione, che parla di 50.000-70.000 vittime di tratta a scopi prostituzionali nel nostro paese da paesi dell'Est Europa ed extra-europei, di cui il 40% minorenni tra i 14 e i 18 anni.

Mi colpisce infine la figura della maman, anello fondamentale dell'organizzazione criminale della tratta di nigeriane. Sfruttratrice spesso feroce e allo stesso tempo ex vittima di tratta a sua volta, che ha fatto in un certo senso la scelta opposta a quella di Isoke e le altre: non aiutare ma schiavizzare a sua volta le altre ragazze.

Termino questa recensione, lunga ma assolutamente inadeguata a contenere la complessità e la ricchezza di questo libro, elencando alcune delle proposte pratiche e operative elencate dalla stessa Isoke Aikpitanyi per la lotta alla tratta delle nigeriane:
- Maggior coinvolgimento di ex vittime della tratta come operatrici-pari o mediatrici nei servizi antitratta e nelle comunità di accoglienza.
- Campagna tv nazionale da vittima a vittima, in lingua edo, per spingere le vittime a fare una scelta coraggiosa: testimonial dovrà essere una ex vittima.
-Campagna nazionale sulla responsabilizzazione dei clienti: promozione di incontri e confronti nelle diverse regioni, edizione di uno studio apposito, spot radio-tv.
- Mediazione in carcere per "salvare" le maman (progetto di mediazione carceraria e di formazione delle detenute e dei detenuti per reati connessi alla tratta/sfruttamento)
-Missione delle ex vittime in Nigeria per sensibilizzare, informare, prevenire
-Implementazione dell'esperienza dei progetti "La Casa di Isoke" e "Tulipa Néye", nei quali l'intervento della operatrice pari a sostegno delle vittime della tratta agganciate e accolte in una struttura sia centrale.
- Campagna di informazione sul fenomeno della mafia nigeriana che comprende, oltre ai fatti delinquenziali, anche la tratta
- Campagne di educazione affettivo-sessuale nelle scuole superiori italiane.







venerdì 20 maggio 2011

500 storie vere


E' uscito da poco il secondo libro di Isoke Aikpitanyi, coraggiosa attivista nigeriana che opera a favore delle vittime della tratta nel nostro Paese, fondatrice col suo compagno del progetto "La ragazza di Benin city".
Lo segnalo, nell'attesa di leggerlo al più presto e di recensirlo qui sul blog.

Si tratta di una inchiesta molto ben documentata con 500 storie vere di ragazze schiavizzate nel nostro Paese dal connubio tra criminalità nigeriana e italiana e nella pressocché totale acquiescenza delle istituzioni, delle forze dell'ordine - che troppo spesso diventano a loro volta carnefici - e dei media che poco denunciano il fenomeno, compresi i tanti omicidi di molte ragazze.

La schiavitù a fini di sfruttamento prostituzionale riguarda le nigeriane, ma anche tante altre ragazze immigrate dai paesi dell'Est Europa, dalla Cina, dall'America latina. Troppo spesso da noi il dibattito sulla prostituzione non tiene conto a mio avviso abbastanza di questo aspetto del problema da cui invece dovrebbe partire ogni analisi sul tema. Si oscilla su questi argomenti tra l'approccio liberale e quello ipocritamente scandalizzato per la decenza sulle strade, entrambi drammaticamente errati e dannosi quando si assume il punto di vista delle vittime dell'industria del sesso.

Riporto di seguito una interessantissima intervista del 2008 ad Isoke Aikpitanyi, e un link a un'intervista più recente.

IN STRADA NON CI SONO PROSTITUTE MA SCHIAVE

Il problema non è la prostituzione e non è la clandestinità

La maggior parte delle ragazze che si prostituiscono nelle strade italiane sono vittime della tratta e sono schiave. Bisogna liberarle e basta, il che vuol dire offrir loro una concreta via di uscita. La via di uscita non può esser permetter loro di prostituirsi in quartieri a luce rossa o in aree "protette", perché saranno sempre i trafficanti a gestire tutto. E non può essere proporre loro di fare delle cooperative e di autogestirsi come prostitute, perché non sono venute a fare le prostitute, quindi se offriamo loro solo questa opportunità, non le liberiamo. Molte "sembrano" determinate a prostituirsi solo perché si sono rassegnate e adattate, perché non possono fare altro, spesso non hanno istruzione e sempre sono respinte dalla società.

Non sono delle criminali, ma delle vittime. Non sono io a dire queste cose, non io sola. Sono solo una voce, ma sono la voce dell’unica associazione vittime ed ex vittime che esiste. Perché politici, operatori sociali, preti e suore, poliziotti, giornalisti tutti vogliono dire la loro e non ascoltano noi? Come si può affrontare un problema e pensare di risolverlo senza ascoltare i protagonisti.

Io, come tante, come quasi tutte quelle che sono uscite dalla tratta, ho atteso a lungo prima di trovare una via di uscita che non mi era offerta; neanche quando mi hanno quasi uccisa perché ho detto il mio NO ai trafficanti, qualcuno mi ha teso una mano e allora è chiaro che da anni ciò che si fa "a favore" delle vittime della tratta è sbagliato o non risolve un bel nulla. Questa è la verità.

Retate, CPT, galera, rimpatri… quel che sta facendo o vuol fare il governo non è una novità, lo hanno fatto tutti i governi, solo che oggi se ne parla di più e se ne faranno di più.

Ma non si dica che così si liberano le schiave, perché è vergognoso raccontare bugie così grosse a persone che muoiono come mosche per arrivare qui, che qui sono uccise da trafficanti e balordi (più di 200 in tre anni), che qui sono massacrate di botte e solo a volte vanno in ospedale, che quando ci vanno è perché sono in condizioni gravissime, che abortiscono in modo terribili, che partoriscono e si vedono togliere i figli o dai servizi sociali o dai trafficanti che li tengono come ostaggi, che devono pagar un debito che arriva a 80 mila euro, che sempre più spesso sono minorenni, che sono senza istruzione e senza cultura, che credono in demoni tribali, che qui si ammalano, che qui sono stuprate ogni giorno, ecc. ecc. E il problema sarebbe la prostituzione?

Gli italiani vedono solo quella, e questo è vergognoso… non il fatto che tante giovani stiano in strada. Queste ragazze non sono un pericolo, ma vivono ogni giorno in pericolo. E i clienti? Ci si renda conto che il maggior numero di ragazze che esce dalla tratta è sostenuta da un cliente-ex cliente-amico-fidanzato-marito. Ma come? I clienti alimentano la domanda e sono responsabili della tratta ma sono anche la risorsa più concreta per le ragazze che vogliono tirarsi fuori? Segno evidente, anche questo, che la risposta data dalla politica e dalla società al problema delle vittime della tratta in genere non è adeguata.

Isoke Aikpitanyi

Associazione vittime ed ex vittime della tratta del Progetto la ragazza di Benin City


da http://www.storiemigranti.org/spip.php?article300


Link a un'altra intervista:


http://www.noppaw.net/?p=261