Un work in progress su uno degli affari più lucrosi al mondo: l'industria globale del sesso (prostituzione,pornografia,turismo sessuale).Un’industria che ha bisogno come l’aria di "consumabili" e "consumatori", di vecchi stereotipi sessisti, del divario tra nord e sud del mondo,della vulnerabilità degli esseri umani. Io “consumabile” che non ci sta più a non sapere, nella disinformazione generale tra la risatina compiaciuta del vizio privato e l'ipocrita preoccupazione per la pubblica decenza.
Ho da poco scoperto, sempre grazie alla meravigliosa Chiara che ringrazio, diversi siti e blog scritti da ragazze che sono state nell'industria del sesso (come escort, call girl, prostitute) che ne sono uscite e che cercano di far conoscere attraverso la difficile scrittura delle loro esperienze traumatiche il vero volto di questo mondo del sesso commerciale e allo stesso tempo di dare una speranza ad altre persone nella stessa situzione, perché non si sentano sole. Ho appena cominciato a leggere questi materiali e proporrò via via delle traduzioni di alcuni loro post nel mio blog. E' sorprendente come nel nostro paese voci come queste siano assolutamente sconosciute, mentre i media mainstrem diffondono molto spesso un'immagine edulcorata di questo mondo.
Uno di questi blog è Secret diary of a Dublin Call girl. Proprio stamattina ho scoperto che la ragazza che lo scrive ha bisogno di smettere di farlo per andare avanti sulla strada del recupero di un suo equilibrio, anche a causa dei commenti insultanti e minacce ricevute da diversi uomini "clienti". Mi auguro che i post già scritti non vengano cancellati, ma in ogni caso ovviamente l'importante è che lei stia bene.
Ho appena trovato questa poesia scritta da Laura Hershey, online, e penso sia un buon modo per cominciare questo blog sulla prostituzione e la mia storia dentro di essa. Questo mi auguro darà speranza ad altre che sono nella mia situazione e che non possono affrontare il rischio di far sentire le nostre voci.
Le soli voci che io sento sono quelle di coloro che stanno in una rassicurante condizione e a queste persone non importa delle donne come me. Io non sono il "giusto tipo" di prostituta.Io sono stata danneggiata da queste esperienze, non sono "empowered", non sono una "donna di affari" che si è fatta da sé, sono stata una schiava del danno psicologico che il primo abuso ha causato in me. Spero che questa poesia ti aiuterà a realizzare che ci sono altre, che tu non sei la sola.
Quelli che hanno potere possono scegliere
di raccontare la loro storia
o no.
Quelli che non hanno potere rischiano tutto
a raccontare la loro storia
e devono.
Qualcuna, da qualche parte
ascolterà la tua storia e deciderà di combattere,
per vivere e rifiutare compromessi
Qualcun'altra le racconterà la sua propria storia,
Questo video, di grande impatto e successo, è stato realizzato per conto di Stop the traffik nel Red Light District di Amsterdam.
Ci sono diverse testimonianze e inchieste che mettono in luce la grande presenza delle mafie della tratta nel distretto, famoso per le sue vetrine e che il luogo comune vuole zona controllata in cui le donne potrebbero "prostituirsi in tutta sicurezza". Secondo la testimonianza di Patricia Perquin che ha lavorato come prostituta "in vetrina" per oltre quattro anni, almeno l'80% delle donne e ragazze sono costrette con la forza nell'industria del sesso. Come potrebbe - osserva lei - del resto una ragazza ungherese di 18 anni che non conosce la lingua e il paese procurarsi documenti e permessi, registrazione alla Camera di Commercio, ecc.. necessari a lavorare nel distretto? Patricia Perquin spera che il suo libro "Behind the windows of the red light district" possa dare alla gente un ritratto più realistico di questo luogo. Per lei, che è entrata nella prostituzione a causa di un grosso debito dovuto a una dipendenza da shopping complusivo, lavorare in vetrina è stato come giocare alla roulette russa, una distrazione di un attimo può costarti la vita e lei stessa una volta fu quasi strangolata da un suo cliente abituale.
Posto ora un lungo brano da "Le ragazze di Benin City" di Isoke Aikpitanyi su cui tornerò più volte, perché è una testimonianza importantissima di una ragazza coraggiosa trafficata nel nostro Paese.
Nessuno mi ha obbligato a partire.
Nessuno mi ci ha costretto.
Nella trappola mi ci sono messa da sola, per mia libera scelta.
Ma non era questo che mi aspettavo quando sono partita.
Questa situazione.
E nessuna via d'uscita. Quando siamo tornate a casa Judith mi ha spiegato tutto per benino, il mestiere è così, si fa così, la situazione è questa, il sistema è questo. E quando arriva la polizia devi scappare, sennò ti portano in questura e ti rimandano a casa. Mi ha messo dentro il terrore della polizia, non solo sul posto di lavoro, ma sempre sempre sempre. Anche quando esci per la spesa, per le passeggiate. Non uscire mai, non parlare mai con nessuno. Eccetera.
Il terrore della polizia è tale che le ragazze quando vedono passare la polizia si fanno il segno della croce, dicono I'm covered by the blood of Jesus, il sangue di Gesù mi copre e mi protegge. E a vederle così spaventate ti spaventi anche tu.
Poi vedi quando fanno le retate, e la furia con cui la polizia corre verso le ragazze, una scappa di qua, una di là, e tutte urlano, e tutte piangono; sembrano topi che fuggono davanti ai gatti. Urlano e piangono e scappano nel bosco, scappano nella notte e nel fango, e quando tornano a casa sembra siano state graffiate da una tigre. E poi si passano ore a togliere le spine. Come fai a non farti contagiare dalla paura? Io non volevo.
Ho detto: non se ne parla proprio.
Non è questo che mi avevate promesso.
Allora Judith ha detto: troveremo dell'altro. E mi ha presentato un tizio. Sii carina, ha detto, lui può offrirti un lavoro. Sii gentile. Molto molto gentile.
Che cosa vuol dire essere gentile.
Non capivo. O forse non volevo.
Lui era un bianco. Aveva le unghie lunghe e sporche, ma mi ha portato a cena in un posto elegante. Sei molto bella, ha detto. Una ragazza come te dovrebbe fare la modella. Sfilate. Spettacoli. Cose così.
Io quasi non ascoltavo, perché intanto non sapevo come mangiare la pasta che avevo ordinato. Se bisognava usare il coltello oppure no. Morivo per l'imbarazzo.
Lui intanto parlava e parlava.
Ha detto: ovviamente non è che ci sono sfilate tutte le sere. Bisogna adattarsi, fare qualcos'altro. Le serate nei locali, per esempio. Bei posti. Si balla, si parla con la gente, non è difficile. Poi quello che succede quando esci dal locale è affare tuo, la tua vita privata riguarda solo te.
Ha detto: non è necessario che tu vada a letto con qualcuno, al locale basta che ti fai offire da bere. Che tu sia gentile con i clienti.
E' così che funziona l'Europa.
Se non fai la schizzinosa fai i soldi; e poi fai come hanno fatto le altre.
Allora ho chiesto: come hanno fatto le altre?
Ed è stata una delle poche cose che ho detto quella sera.
Lui si è messo a ridere. Fanno soldi, ha detto, comperano una ragazza, la portano in Europa e quella lavora e guadagna al posto loro. Sveglia, ragazzina. E' questo il business.
E mi ha portato a vedere un night.
C'erano le luci basse e i velluti e la musica, e le ragazze erano vestite bene, ma la situazione era ancora più brutta che sul marciapiede. Albanesi, russe, rumene. Sono andata in un camerino, sono riuscita a parlare con due o tre ragazze. Mi hanno chiesto con chi lavoravo. Mi ha portato 'sto tizio, ho detto. E' la mia prima volta.
Loro hanno detto vai via. Scappa.
Mi hanno detto che loro erano state vendute.
Due erano più grandi di me, una aveva solo diciassette anni. Non avevano la minima possibilità di scappare. Se uscivano dal locale per prendere aria, subito arrivava un albanese con la faccia cattiva, cosa fai qui, torna subito dentro.
Dentro.
Hanno detto: meglio che vai sulla strada, sei più libera. Non tornare più, non mettere più piede in un night. Perché adesso sei ancora in tempo a scappare, ma una volta che hai firmato il contratto non hai più scampo. E anche se dicono che non c'è bisogno che vai a letto coi clienti, dopo non puoi più rifiutare niente.
Ma allora io devo andare sul marciapiede, ho detto.
E loro hanno detto: ma cosa pensi che facciamo qui?
Mi hanno portato in alcuni camerini dove c'erano delle donne in ginocchio, facevano dei pompini ai clienti.
Ma è questo che mi aspetta? ho chiesto.
Sì. Meglio la strada, ha detto una. Se solo potessi uscire di qui, io sul marciapiede ci andrei di corsa.
Ho detto al tizio: non se ne parla.
Lui non s'è smontato per niente.
Ha detto: c'è un altro locale dove richiedono ragazze di colore. Devi solo dire che sei cubana, perché le nigeriane non sono tanto richieste.
Arrivo lì e vedo la stessa storia, un sacco di sudamericane e di brasiliane. Ci siamo seduti, abbiamo visto la sfilata delle ragazze. Lì non c'erano camerini, le ragazze se ne andavano in albergo con i clienti, ma prima dovevano avvertire, dove andavano, per quanto tempo, con chi. C'era una segretaria apposta, che stava lì a ricevere le telefonate delle ragazze e dei clienti. Tutto più raffinato. Ma la storia era sempre la stessa. Ti piace questo posto? Guarda quello com'è ricco, e quello, quando vedono una nuova arrivata si mettono in fila come le pecore.
Ma a me non piaceva affatto.
Sono tornata a casa e ho detto: non ci torno più.
Lui allora s'è arrabbiato con Judith. Non avete ancora spiegato alla ragazza come stanno le cose, ha detto, la prossima volta ci pensiamo noi.
Le cose stavano così.
Non avevo documenti.
Non avevo soldi.
Non avevo un posto dove scappare.
Avevo il terrore della polizia, e l'unica parola che sapevo di italiano era vaffanculo.
In più avevo il debito da pagare. Trentamila euro.
E si sa cosa succede alle ragazze che non pagano.
O che non vogliono lavorare.
Ma tutto questo io ci ho messo molto a capirlo.
O forse l'ho capito molto in fretta, anche se qualcosa dentro la mia testa continuava a ripetere non è possibile non è possibile. Non è possibile che stia capitando proprio a me. Ci deve essere uno sbaglio, da qualche parte. E' solo un incubo. Tra poco mi sveglio e il mondo ritorna al suo posto.
I primi dubbi ho cominciato ad averli a Londra. Non quando sono partita da Benin City col mio zaino della scuola, non quando sono arrivata a Heathrow con un documento falso, non quando all'aeroporto ci hanno fatto uscire da un passaggio di servizio, facendoci saltare il controllo dei passaporti. Anzi. Quando ho visto l'uomo che ci apriva la porta, e ridendo ha fatto passare il gruppo delle ragazze, e tra risate e pacche sulle spalle ha preso una busta dalle mani di chi ci accompagnava, ecco, ho pensato: ma com'è tutto organizzato bene. Mi sono messa nelle mani della gente giusta.
E così quando ci hanno caricato sul pulmino, e ci hanno portato in un appartamento nel quartiere africano. Era un bell'appartamento. Un bel quartiere. Eravamo in sei e ci sembrava di essere arrivate in paradiso. Era quello il paradiso, era Londra e un lavoro a Londra che ci stava aspettando. Proprio noi, che arrivavamo da Benin City.
Solo: non dovevamo fare rumore.
Solo: potevamo uscire solo la notte, a turno, senza farci vedere da nessuno.
Solo: i giorni passavano; e il lavoro non arrivava mai.
Allora abbiamo cominciato ad ascoltare le tefonate. I nostri accompagnatori chiamavano qualcuno, dicevano è arrivato, dicevano manda i soldi. Chiamavano Parigi, chiamavano Amsterdam, Torino. Dicevano: fino a quando non arrivano i soldi le teniamo noi. Dicevano: se non mandi i soldi le vendiamo a qualcun altro.
54 con l'uccisione di Vanessa, 20 anni, solo dall'inizio del 2012.
Ho firmato questo appello per lei e per tutte le altre, che è comparso anche sui media mainstrem. Sperando che non sia solo un sasso che cada nel vuoto come spesso accade.
54 sono troppi per non dire basta, troppi per continuare ad ascoltare e leggere dai nostri media di "gelosia" , di "passione", di "raptus". Troppi per continuare a propagare una cultura dominante che non riconosce alle donne lo status pieno di persona e che impone agli uomini un modello di grande povertà emotiva e relazionale.
Barbara Spinelli ha ricostruito in questo libro la storia di questa parola che sta finalmente lentamente entrando nel riconoscimento giuridico internazionale.
Il femminicidio è "l'annullamento
dell'identità e della libertà di autodeterminazione della donna,
attraverso la violenza fisica, fino all'uccisione, o l'assoggettamento
psicologico, economico, culturale, politico, giuridico, per fare sì che
il suo comportamento risponda alle aspettative dell'uomo o della
società, sia conforme al ruolo tradizionale assegnato a uomini e donne, e
per punirla quando si discosta da tale modello."
Laforma estrema di femminicidio è l'uccisione di una donna in quanto donna.
Ricordo qui che il Comitato delle Nazioni Unite che monitora l'applicazione della CEDAW, la Convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione verso le donne, ha espresso questa preoccupazione:
"Il Comitato rimane preoccupato per l’elevata prevalenza della violenza nei confronti di donne e bambine nonché per il persistere di attitudini socio-culturali che condonano la violenza domestica, oltre ad essere preoccupato per la mancanza di dati sulla violenza contro le donne e bambine migranti, Rom e Sinte.
Il Comitato è inoltre preoccupato per l’elevato numero di donne uccise dai propri partner o ex-partner (femminicidi), che possono indicare il fallimento delle Autorità dello Stato-membro nel proteggere adeguatamente le donne, vittime dei loro partner o ex partner."
Un ricordo in particolare va alle tante donne e trans uccise per mano di uomini "clienti" o di sfruttatori, in particolare le migranti di cui spesso non si sa nulla perché qui erano "clandestine", fantasmi. Almeno 200 in due anni, solo le nigeriane, stando alle cronache, ma le stime arrivano a 500 donne scomparse nel nulla e forse uccise.
Pochi giorni orsono anche in Argentina il femminicidio è diventato reato con propria identità giuridica.
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Segnalo un importante articolo di Barbara Spinelli che da anni si batte per la prevenzione e lotta al femminicidio. Da lei si può imparare tanto sul termine femminicidio, sulla sua storia, su cosa fare per combatterlo: http://27esimaora.corriere.it/articolo/perche-si-chiama-femminicidio-2/
Torno sul blog dopo un periodo molto intenso, in cui ho avuto molte importanti occasioni di approfondimento e riflessione che spero di riuscire a comunicare quanto prima anche su questa pagina.
Qui metto giù una riflessione suggeritami da uno scambio con una mia cara amica, che ringrazio, e che nasce da una certa stanchezza nel vedere il continuo riproporre l'esercizio di vecchi poteri sotto una falsa vernice di novità.
Sempre
più spesso nei dibattiti pubblici, in televisione, sui giornali e in
Parlamento, gli "utilizzatori finali" (come ama definirli il noto
avvocato nella foto) del mercato della prostituzione sono presenti a discettare
indisturbati di prostituzione, di prostitute, di ciò che piace a noi
donne o non ci piace, di ciò che vogliamo o non vogliamo fare. Sono
secoli del resto che gli uomini del potere si sono parlati addosso sulle
donne in mille modi, sprecando fiumi e fiumi di inchiostro a insegnarci
cosa è buono per noi, come siamo sexy, come siamo belle, come possiamo
aver successo, come possiamo essere buone donne di casa, ecc..
Oggi
si atteggiano finanche a paladini della nostra libertàe ci vengono a
insegnare che la prostituzione e' un libero scambio nel libero mercato
della domanda e dell'offerta, che è un'attività "naturale" per noi come
per loro lo è l'"utilizzo", ci danno addirittura lumi sulla storia della
prostituzione nei secoli (ovviamente guardandosi bene dal nominare il
patriarcato che per loro non esiste..).
Sotto la falsa
insegna dell'antiperbenismo e della libertà individuale si stanno
intanto assicurando - grazie a potenti gruppi di interesse mondiale (come questi) -
nuove leggi che li aiutino a "utilizzare" meglio, promuovendo ghetti a
luci rosse e ritorno delle case chiuse, perché sia tutelata la LORO
riservatezza (o meglio ipocrisia), la LORO salute (mentre contagiano
lavoratrici del sesso, compagne, amanti), il LORO preteso diritto a
scegliere donne e ragazze di ogni età, sesso e nazionalità, come fossero
prodotti da supermercato.
Questi solo alcuni esempi recenti:
Lasse
Braun, cliente con interessi affaristici nell'industria del sesso,
autore di pilastri del cinema come "Zozzerie di una moglie in calore"
intervenuto tra i relatori della Conferenza sulla legalizzazione della
prostituzione del 21 aprile. Il suo intervento si può ascoltare nella
registrazione della conferenza su Radio radicale. Qui una sua intervista
ai margini della conferenza dove - in aggiunta alla violenza sulle
schiave, celebrata come grande atto di democrazia di Solone verso i
maschi poveri che non si potevano permettere i "servizi" di lusso, celebra anche la pederastia degli antichi.
I parlamentari di Grande Sud, che propongono una legge di regolamentazione della prostituzione e criminalizzazione delle
prostitute di strada (con carcere fino a tre anni). Si atteggiano a paladini della libertà delle donne
di prostituirsi, facendo notare che "i costumi sono cambiati". Quali
costumi?? Non sembra i loro, visto che difendono come negli anni '50 - e
come dal Medioevo e prima del resto - il "vizietto" dei "padri di
famiglia" (parole testuali) la cui salute va tutelata. Padri a cui
consigliano di buttare le ricevute, per salvare la loro discrezione (o
ipocrisia?) dagli occhi di mogli e compagne.
E' giunta ora di delegittimare questi soggetti e isolarli!!
Se
i clienti vogliono parlare, venissero a parlare non delle prostitute,
non di noi donne, MA DI LORO. Venissero a spiegare perché cercano il
sesso a pagamento quel 60% e più di clienti sposati, e i turisti del
sesso perché cercano donne e ragazzine dei paesi più poveri del mondo.
Vengano
a raccontarsi coloro che magari stanno male per una "dipendenza dal
sesso" o per problemi di relazione misconosciuti da un potere
interessato a che gli uomini siano sempre più in massa "consumatori" di
sesso e di persone, senza curarsi del benessere di nessuno.
Se
non hanno da mettersi in discussione, allora tacciano. Perché la loro
malafede, il loro interesse evidente nella faccenda, li priva totalmente
di qualunque credibilità.
Pubblico qui la lettera che ho mandato come primo contributo di presentazione del mio lavoro al nuovo portale per una rete delle reti delle donne. Il portale vuole offrirsi come strumento a disposizione per fare rete tra donne (e uomini) interessate alla teoria e pratica antisessista. Un grande contenitore per convidere in modo interattivo elaborazioni, materiali e pratiche. Qui il blog di lavoro provvisorio dove è stata pubblicata anche la mia lettera.
Trovo il progetto di questa rete assolutamente importante e ringrazio di cuore le sue ideatrici. Mi sembra un ottimo strumento per favorire l'avanzamento di un'intelligenza e militanza collettive e coordinate, pur nelle varie diversità individuali che, a mio parere, in un progetto di questo tipo risultano valorizzate e non appiattite. Sono Valentina e seguo da tempo il mondo dei blog di ispirazione femminista. Da fine 2010 ho aperto il blog Consumabili perché ho sentito l'esigenza di colmare un vuoto che sentivo in prima persona: la mancanza di una riflessione calata nell'attualità sull'industria del sesso e in particolare sulla tratta di donne e bambine a scopi di sfruttamento prostituzionale. La tratta a scopi di sfruttamento sessuale oggi è di fatto una delle forme più feroci di violenza di genere, eppure almeno nel nostro paese le donne stesse non se ne occupano come dovrebbero. Certo, a subire questa violenza in prima persona da noi sono donne straniere (nigeriane, rumene, albanesi, moldave, cinesi, ecc..) e non donne italiane, ma evidentemente questo non è un valido motivo per non occuparsene. Tanto più che tutto ciò si svolge anche in Italia, sotto i nostri occhi, in strade, appartamenti, locali e centri massaggi presenti sul suolo italiano, che uomini italiani sono quei 10 milioni di clienti della prostituzione di cui si parla, che affaristi e funzionari italiani, nonché i nostri mafiosi fanno parte integrante di questo enorme giro d'affari e ci guadagnano in prima persona. Affari d'oro, già. Il mio blog è nato dalla lettura di un libro per me illuminante, "Schiave del potere" di Lydia Cacho, giornalista messicana e militante femminista, presidente del CIAM di Cancun (centro di accoglienza per donne vittime di violenza e sfruttamento sessuale), che ha osato sfidare in prima persona il potere politico, economico e mafioso di un paese autoritario come il suo - famoso per le stragi di donne e giornalisti - smascherando con nomi e cognomi il potere che protegge pornografia infantile e tratta di donne in Messico. Lydia Cacho in questo libro (poi in Italia è uscito anche l'autobiografico "Memorie di un'infamia") traccia una rotta delle tratta di donne a scopi di sfruttamento sessuale nel mondo e cerca di metterne a fuoco il funzionamento e l'importanza strutturale che essa - e più in generale l'industria del sesso- assume nel capitalismo globalizzato neoliberista teso alla massimizzazione dei suoi profitti. E' un dato di fatto che negli ultimi anni sono ricomparse convenzioni e leggi sulla riduzione in schiavitù, che sembrava una pagina sepolta nella storia umana. Ci troviamo ad affrontare un mondo in cui, a fronte dell'ormai sempre più simbolico potere degli stati e delle istituzioni che tutelino i cittadini, il dominio delle grandi lobby d'affari transnazionali è sempre più forte e diretto, insieme all'intreccio tra poteri legali e quelli illegali delle mafie, tanto da non riuscire più a tracciare confini realistici tra legalità e illegalità. Si pensi solo al riciclaggio di denaro sporco e alla corruzione. I nuovi schiavi sono gli esclusi della globalizzazione, le popolazioni dei paesi stroncati dal debito, debito ed "esigenze del mercato" che tra l'altro stanno cominciando a trasformare purtroppo anche il volto della nostra Europa. Per loro non esistono più i diritti naturali della persona, il ricatto è la povertà estrema, loro vengono letteralmente comprati e venduti. Paesi interi, come la Thailandia, basano ormai gran parte del PIL sulla vendita di donne e bambine all'industria della prostituzione e del turismo sessuale. Così le donne non sono più soltanto le escluse per antonomasia da istruzione, lavoro e possibilità di indipendenza personale, ma diventano esse stesse la merce che può essere usata per trarre guadagni. Centinaia di migliaia di ragazzine al mondo arrivano a conoscere prima la violenza sessuale, attraverso la prostituzione forzata, che la loro stessa sessualità, che rimarrà loro spesso sconosciuta per il resto della vita, spesso sono vendute o incoraggiate ad accettare di prostituirsi dalle stesse famiglie. Scusate questa lunga parentesi esplicativa, ma mi sembrava necessaria per farvi conoscere un po' il senso del mio lavoro. Ho deciso semplicemente di approfondire tutto ciò e sto leggendo da un anno e mezzo quasi esclusivamente libri su tratta e prostituzione, perché sono stufa dei luoghi comuni sull'argomento, dell'ignoranza e dei pregiudizi sessisti. Quello che noto è che si parla sempre di prostituzione centrando il discorso sulle donne, sulla loro scelta libera o non libera. Ma il grande assente dal discorso è il potere che sfrutta la prostituzione, sono i nomi e cognomi che restano sempre nell'ombra, e altrettanto i clienti, i cui comportamenti non sono mai messi in discussione. Le donne per questi signori si prostituiscono da sole per la gioia di farlo, non esistono sfruttatori, non esiste la domanda dei clienti, non esiste la violenza. Troppo spesso gli stessi discorsi femministi sulla libertà di gestire il proprio corpo sono ormai strumentalizzati dagli affaristi del sesso, trafficanti e papponi, per confondere le acque, giustificare i profitti e minimizzare le violenze commesse su donne in difficoltà, spesso giovanissime. Trovo che uno sguardo globale e ascoltare ciò che dicono le donne nei paesi in cui il volto della mercificazione della donna è più feroce e scoperto, ci può aiutare a comprendere anche la realtà che viviamo in prima persona e a smascherare il potere patriarcale, in tutte le sue forme. Sono certa che il magnifico progetto della rete collettiva ci aiuterà anche in questo.. e concludo dicendo quanto apprezzo che il vostro manifesto sottolinei lucidamente a cosa serve davvero l’antagonismo creato ad arte fra i sessi.
Valentina
Lascio alla vostra riflessione due frasi che mi hanno colpito di un articolo spagnolo che ho letto giorni fa:
La cultura della ipersessualizzazione ha assorbito la storia e il linguaggio delle lotte delle donne per il diritto a rivendicare i propri desideri e necessità sessuali, fino a convertirle in nulla più che oggetti per il divertimento di altri.
Trasformare la sessualità umana in un prodotto di consumo pone la donna in uno scaffale da supermercato, rinforza la divisione delle donne come oggetti e degli uomini come i compratori del prodotto.