giovedì 3 maggio 2012

Business (testimonianze - 1)




Questo video, di grande impatto e successo, è stato realizzato per conto di Stop the traffik nel Red Light District di Amsterdam.
Ci sono diverse testimonianze e inchieste che mettono in luce la grande presenza delle mafie della tratta nel distretto, famoso per le sue vetrine e che il luogo comune vuole zona controllata in cui le donne potrebbero "prostituirsi in tutta sicurezza". Secondo la testimonianza di Patricia Perquin che ha lavorato come prostituta "in vetrina" per oltre quattro anni, almeno l'80% delle donne e ragazze sono costrette con la forza nell'industria del sesso. Come potrebbe - osserva lei - del resto una ragazza ungherese di 18 anni che non conosce la lingua e il paese procurarsi documenti e permessi, registrazione alla Camera di Commercio, ecc.. necessari a lavorare nel distretto? Patricia Perquin spera che il suo libro "Behind the windows of the red light district" possa dare alla gente un ritratto più realistico di questo luogo. Per lei, che è entrata nella prostituzione a causa di un grosso debito dovuto a una dipendenza da shopping complusivo, lavorare in vetrina è stato come giocare alla roulette russa, una distrazione di un attimo può costarti la vita e lei stessa una volta fu quasi strangolata da un suo cliente abituale.

Posto ora un lungo brano da "Le ragazze di Benin City" di Isoke Aikpitanyi su cui tornerò più volte, perché è una testimonianza importantissima di una ragazza coraggiosa trafficata nel nostro Paese.

Nessuno mi ha obbligato a partire.
Nessuno mi ci ha costretto.
Nella trappola mi ci sono messa da sola, per mia libera scelta.
Ma non era questo che mi aspettavo quando sono partita.
Questa situazione.
E nessuna via d'uscita.
 Quando siamo tornate a casa Judith mi ha spiegato tutto per benino, il mestiere è così, si fa così, la situazione è questa, il sistema è questo. E quando arriva la polizia devi scappare, sennò ti portano in questura e ti rimandano a casa. Mi ha messo dentro il terrore della polizia, non solo sul posto di lavoro, ma sempre sempre sempre. Anche quando esci per la spesa, per le passeggiate. Non uscire mai, non parlare mai con nessuno. Eccetera.
Il terrore della polizia è tale che le ragazze quando vedono passare la polizia si fanno il segno della croce, dicono I'm covered by the blood of Jesus, il sangue di Gesù mi copre e mi protegge. E a vederle così spaventate ti spaventi anche tu.
Poi vedi quando fanno le retate, e la furia con cui la polizia corre verso le ragazze, una scappa di qua, una di là, e tutte urlano, e tutte piangono; sembrano topi che fuggono davanti ai gatti. Urlano e piangono e scappano nel bosco, scappano nella notte e nel fango, e quando tornano a casa sembra siano state graffiate da una tigre. E poi si passano ore a togliere le spine. Come fai a non farti contagiare dalla paura?

 Io non volevo.
Ho detto: non se ne parla proprio.
Non è questo che mi avevate promesso.
Allora Judith ha detto: troveremo dell'altro. E mi ha presentato un tizio. Sii carina, ha detto, lui può offrirti un lavoro. Sii gentile. Molto molto gentile.
Che cosa vuol dire essere gentile.
Non capivo. O forse non volevo.
Lui era un bianco. Aveva le unghie lunghe e sporche, ma mi ha portato a cena in un posto elegante. Sei molto bella, ha detto. Una ragazza come te dovrebbe fare la modella. Sfilate. Spettacoli. Cose così.
Io quasi non ascoltavo, perché intanto non sapevo come mangiare la pasta che avevo ordinato. Se bisognava usare il coltello oppure no. Morivo per l'imbarazzo.
Lui intanto parlava e parlava.
Ha detto: ovviamente non è che ci sono sfilate tutte le sere. Bisogna adattarsi, fare qualcos'altro. Le serate nei locali, per esempio. Bei posti. Si balla, si parla con la gente, non è difficile. Poi quello che succede quando esci dal locale è affare tuo, la tua vita privata riguarda solo te.
Ha detto: non è necessario che tu vada a letto con qualcuno, al locale basta che ti fai offire da bere. Che tu sia gentile con i clienti.
E' così che funziona l'Europa.
Se non fai la schizzinosa fai i soldi; e poi fai come hanno fatto le altre.

 Allora ho chiesto: come hanno fatto le altre?
Ed è stata una delle poche cose che ho detto quella sera.
Lui si è messo a ridere. Fanno soldi, ha detto, comperano una ragazza, la portano in Europa e quella lavora e guadagna al posto loro. Sveglia, ragazzina. E' questo il business.

 E mi ha portato a vedere un night.
C'erano le luci basse e i velluti e la musica, e le ragazze erano vestite bene, ma la situazione era ancora più brutta che sul marciapiede. Albanesi, russe, rumene. Sono andata in un camerino, sono riuscita a parlare con due o tre ragazze. Mi hanno chiesto con chi lavoravo. Mi ha portato 'sto tizio, ho detto. E' la mia prima volta.
Loro hanno detto vai via. Scappa.
Mi hanno detto che loro erano state vendute.
Due erano più grandi di me, una aveva solo diciassette anni. Non avevano la minima possibilità di scappare. Se uscivano dal locale per prendere aria, subito arrivava un albanese con la faccia cattiva, cosa fai qui, torna subito dentro.
Dentro.
Hanno detto: meglio che vai sulla strada, sei più libera. Non tornare più, non mettere più piede in un night. Perché adesso sei ancora in tempo a scappare, ma una volta che hai firmato il contratto non hai più scampo. E anche se dicono che non c'è bisogno che vai a letto coi clienti, dopo non puoi più rifiutare niente.
Ma allora io devo andare sul marciapiede, ho detto.
E loro hanno detto: ma cosa pensi che facciamo qui?
Mi hanno portato in alcuni camerini dove c'erano delle donne in ginocchio, facevano dei pompini ai clienti.
Ma è questo che mi aspetta? ho chiesto.
Sì. Meglio la strada, ha detto una. Se solo potessi uscire di qui, io sul marciapiede ci andrei di corsa.

 Ho detto al tizio: non se ne parla.
Lui non s'è smontato per niente.
Ha detto: c'è un altro locale dove richiedono ragazze di colore. Devi solo dire che sei cubana, perché le nigeriane non sono tanto richieste.
Arrivo lì e vedo la stessa storia, un sacco di sudamericane e di brasiliane. Ci siamo seduti, abbiamo visto la sfilata delle ragazze. Lì non c'erano camerini, le ragazze se ne andavano in albergo con i clienti, ma prima dovevano avvertire, dove andavano, per quanto tempo, con chi. C'era una segretaria apposta, che stava lì a ricevere le telefonate delle ragazze e dei clienti. Tutto più raffinato. Ma la storia era sempre la stessa. Ti piace questo posto? Guarda quello com'è ricco, e quello, quando vedono una nuova arrivata si mettono in fila come le pecore.
Ma a me non piaceva affatto.
Sono tornata a casa e ho detto: non ci torno più.
Lui allora s'è arrabbiato con Judith. Non avete ancora spiegato alla ragazza come stanno le cose, ha detto, la prossima volta ci pensiamo noi.

 Le cose stavano così.
Non avevo documenti.
Non avevo soldi.
Non avevo un posto dove scappare.
Avevo il terrore della polizia, e l'unica parola che sapevo di italiano era vaffanculo.
In più avevo il debito da pagare. Trentamila euro.
E si sa cosa succede alle ragazze che non pagano.
O che non vogliono lavorare.

 
Ma tutto questo io ci ho messo molto a capirlo.
O forse l'ho capito molto in fretta, anche se qualcosa dentro la mia testa continuava a ripetere non è possibile non è possibile. Non è possibile che stia capitando proprio a me. Ci deve essere uno sbaglio, da qualche parte. E' solo un incubo. Tra poco mi sveglio e il mondo ritorna al suo posto.

 I primi dubbi ho cominciato ad averli a Londra. Non quando sono partita da Benin City col mio zaino della scuola, non quando sono arrivata a Heathrow con un documento falso, non quando all'aeroporto ci hanno fatto uscire da un passaggio di servizio, facendoci saltare il controllo dei passaporti. Anzi. Quando ho visto l'uomo che ci apriva la porta, e ridendo ha fatto passare il gruppo delle ragazze, e tra risate e pacche sulle spalle ha preso una busta dalle mani di chi ci accompagnava, ecco, ho pensato: ma com'è tutto organizzato bene. Mi sono messa nelle mani della gente giusta.
E così quando ci hanno caricato sul pulmino, e ci hanno portato in un appartamento nel quartiere africano. Era un bell'appartamento. Un bel quartiere. Eravamo in sei e ci sembrava di essere arrivate in paradiso. Era quello il paradiso, era Londra e un lavoro a Londra che ci stava aspettando. Proprio noi, che arrivavamo da Benin City.
Solo: non dovevamo fare rumore.
Solo: potevamo uscire solo la notte, a turno, senza farci vedere da nessuno.
Solo: i giorni passavano; e il lavoro non arrivava mai.
Allora abbiamo cominciato ad ascoltare le tefonate. I nostri accompagnatori chiamavano qualcuno, dicevano è arrivato, dicevano manda i soldi. Chiamavano Parigi, chiamavano Amsterdam, Torino. Dicevano: fino a quando non arrivano i soldi le teniamo noi. Dicevano: se non mandi i soldi le vendiamo a qualcun altro.

Allora abbiamo cominciato ad avere paura.



(Le ragazze di Benin City, p. 11- 16)


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