Posto qui l'inizio di un post molto interessante di Alessia su Un altro genere di comunicazione, che riferisce sul convegno "Prostitu(i)te" tenutosi il 9 maggio a Milano. Grazie Alessia!
Mercoledì 9 maggio ho partecipato ad un convegno sul tema della prostituzione presso
l’Università degli Studi di Milano Bicocca coordinato da Patrizia
Farina, Responsabile dell’Osservatorio Tratta e vittime di
sfruttamento – Orim.
L’iniziativa era volta a portare in superficie un fenomeno largamente
diffuso in Italia di cui però si parla ancora troppo poco e sul quale vengono
poste domande sbagliate che non fanno altro che mistificare la realtà,
evidenziando un problematico buco conoscitivo di consapevolezza. Oltre
ad indagarne la portata e a svelare i retroscena di sfruttamento e sofferenza
che accompagnano il fenomeno e che evidenziano un’emergenza democratica
del paese, l’incontro poneva un quesito fondamentale: come si
declinano le identità di genere rispetto alla domanda di prostituzione?
E’ chiaro che non possiamo più separare l’analisi del quadro di violenza di
genere che fa parte ormai del nostro quotidiano e che comprende una cultura
fortemente patriarcale, la mercificazione dei corpi, la sopraffazione nel
rapporto tra i generi, il femminicidio e le relazioni di potere sociale ed
economico che intercorrono tra uomo e donna dal tema della prostituzione.
La posta in gioco è insomma molto alta: si tratta di combattere un fenomeno
di ordinaria normalità nel rapporto tra i generi ponendosi come obiettivo la civiltà.
Il convegno si è aperto con un quadro storico ed evolutivo del fenomeno. In
breve dopo la legge Merlin del 1958, la lotta contro lo sfruttamento e
l’impegno verso la liberazione della sessualità femminile degli anni ’70,
sembrava che la prostituzione potesse considerarsi un fenomeno marginale
nell’illusione di una parità di genere quasi raggiunta. Invece da 15 anni a
questa parte assistiamo a un fatto che è sotto l’occhio di tutti: ogni notte
sulle strade delle nostre città compaiono trans, ragazzini ma soprattutto donne
prevalentemente rumene, nigeriane e albenesi che vengono prostituite
in un intreccio tra immigrazione, criminalità organizzata e traffico di esseri
umani e che testimoniano un fenomeno stabile, se non in crescita.
Le realtà che stanno dietro a queste storie raccontano di situazioni
degradanti di povertà e sofferenza, di paesi d’origine dai quali si
vuole scappare, di false promesse e debiti contratti per l’effettuazione del
viaggio, rapimenti o famiglie desiderose di mandare le figlie in occidente per
una vita migliore che poi si rileva invece un incubo. Assoggettamento, minacce,
violenze, annullamento dell’identità, sottrazione dei documenti, forte
condizionamento psicologico da parte dei trafficanti, alienazione.
I ragazzi delle unità mobili di contatto e gli operatori sociali che
lavorano nei centri di prima accoglienza lo sanno bene. E sanno anche quanto
sia difficile per queste persone uscire dal giro di sfruttamento, quanto sia
difficile rimanere in contatto con le prostitute che vengono continuate
spostate sul territorio per farne perdere le tracce, quanto sia difficile guadagnarsi
la fiducia da parte di queste ragazze giovanissime che non sanno cosa sia la
libertà d’azione e di scelta, che conoscono solo la sopraffazione, le minacce e
la violenza.
Durante il convegno sono stati per me illuminanti gli interventi di Lea
Melandri (Libera Università delle donne di Milano),
impegnata da quarant’anni nel movimento delle donne, e Stefano Ciccone,
(Associazione Maschile Plurale), che in un confronto tra
generi hanno portato alla superficie la questione del rapporto sociale e
sessuale tra femminile e maschile che è sotteso anche al fenomeno della
prostituzione.
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