domenica 14 aprile 2013

Il sesso come merce e la libertà sessuale

Ringrazio Maria Rossi per la traduzione di questa interessante intervista a Rhéa Jean. 
Fonte originale: http://sisyphe.org/spip.php?article2730 
In figura: prezziario dal sito web di un club-bordello svizzero.


 
Essere abolizionista è difendere la libertà sessuale!
Intervista con Rhéa Jean[1] realizzata dalla rivista Prostitution et Société, numero 156, gennaio-marzo   2007

Oggi vi sono violente discussioni tra abolizionisti, ostili alla trasformazione della prostituzione in professione, e fautori della posizione regolamentarista, favorevoli al riconoscimento della condizione di <<lavoratrici del sesso>>. I primi avrebbero a cuore la difesa dell'interesse collettivo e di una società ideale, mentre i secondi si preoccuperebbero di tutelare la libertà individuale. Ora: la filosofa del Québec Rhéa Jean rimette in discussione questa concezione semplicista. Per lei, solo gli abolizionisti difendono la libertà sessuale e il diritto alla privacy. Proviamo a spiegarci meglio.

D. Per Lei, gli abolizionisti si oppongono alla trasformazione della prostituzione in professione proprio perché hanno a cuore la libertà sessuale, rivendicata dai sostenitori della posizione regolamentarista? 

I fautori della posizione regolamentarista rimproverano agli abolizionisti di prediligere una concezione <<essenzialista>> della sessualità, cioè di coltivare un'idea di ciò che sarebbe <<normale>> o <<anormale>>, anziché privilegiare una prospettiva centrata sulle scelte degli individui. Ora, per me, l'abolizionismo è lungi dall'essere in contraddizione con i valori di autonomia, di libertà individuale e di diritto alla privacy  che i liberali sostengono di difendere. Non è in nome di un ordine sociale o di una definizione di <<normalità>> sessuale che la maggior parte degli abolizionisti d'oggi si oppongono alla prostituzione. E' invece in nome della libertà di ciascun individuo di poter vivere la propria sessualità secondo le proprie scelte e preferenze e non secondo la necessità economica. Gli abolizionisti non cercano di dire che una pratica sessuale sia migliore di un'altra; essi pensano piuttosto che l'espressione delle scelte personali non sia favorita dallo scambio di servizi sessuali in cambio di denaro. Se le persone prostituite esprimono una <<scelta>>, questa non è legata alla loro autonomia sessuale, quanto piuttosto ai loro bisogni finanziari. Il rifiuto della prostituzione non ha lo scopo di oltraggiare la libertà sessuale degli individui, quanto piuttosto quello di creare le condizioni sociali che permettano di non oltraggiare questa libertà. Si tratta proprio di difendere l'autonomia sessuale dei più poveri e delle persone più vulnerabili della nostra società.

D. Per i sostenitori della posizione regolamentarista, la prostituzione sarebbe un semplice contratto il cui unico requisito indispensabile sarebbe il consenso delle parti. Che ne pensa?

I pensatori liberali si fanno promotori di una società individualista nella quale le persone siano libere di esplorare le proprie preferenze sessuali, a condizione che le pratiche si svolgano tra adulti consenzienti. Presentando la prostituzione come un semplice contratto tra due individui, essi, a mio parere, sbagliano la definizione di autonomia sessuale. Infatti, questa autonomia esiste soltanto in assenza di coercizioni economiche. Il punto di vista abolizionista ritiene giustamente che la prostituzione impedisca l'espressione delle preferenze sessuali, soprattutto delle donne e dei più poveri. Esso denuncia precisamente il fatto che questa industria si fondi non soltanto sulla rinuncia di queste persone  all'autonomia sessuale, ma anche sull'esaltazione di una cultura che presuppone che i bisogni sessuali di certi individui, di sesso maschile, possano imporsi ad altri individui, soprattutto di sesso femminile, in cambio di denaro.

D. I sostenitori della posizione regolamentarista si pretendono <<neutrali>> in materia di sessualità: una neutralità che Lei mette fortemente in discussione.

La posizione regolamentarista, che si pretende neutrale in materia di sessualità, alimenta invece l'idea che la sessualità, particolarmente quella degli uomini, necessiti di particolari premure, nel momento stesso in cui vengono richieste.  La sessualità sembra dunque costituire un bisogno imperativo che trascenderebbe qualsiasi etica sociale e che ci costringerebbe a tollerare le sue derive, anche le più estreme. Non si può certo parlare di neutralità.

D.  I sostenitori del regolamentarismo sostengono anche l'idea che l'acquisto di servizi sessuali riguarderebbe il diritto alla privacy.

Gli abolizionisti, opponendosi alla prostituzione, si vedono infatti accusare di attentare alla privacy e di contrastare l'idea liberale secondo la quale lo Stato non deve interferire con ciò che accade nella camera da letto. In primo luogo, ci si può chiedere se questa difesa della protezione della vita privata non abbia soprattutto lo scopo di proteggere gli uomini dall'interferenza dello Stato. In secondo luogo, nella prostituzione, alla sessualità - che appartiene alla sfera privata - si combinano l'acquisto e la vendita, che appartengono alla sfera pubblica. Per quanto concerne la tutela della vita privata, secondo me, sono gli abolizionisti che difendono questo valore nel modo migliore. Per loro, la prostituzione produce lo sconfinamento della sfera pubblica del lavoro nella sfera privata della sessualità. Se la sessualità deve rimanere un ambito privato, non è soltanto lo Stato che deve restare fuori dalla camera da letto; deve restarci anche il mercato. Trattare il sesso come una merce produrrebbe una riduzione dell'autonomia sessuale, mettendo in pericolo quasi tutti i lavoratori; essi potrebbero, per conservare il loro impiego, subire pressioni dai datori di lavoro per avere relazioni sessuali contro la loro volontà[2]. Se il sesso diventa un lavoro, perché allora non imporre a una segretaria di offrire servizi sessuali ai clienti? La barriera che separa il sesso dal commercio non ha soltanto lo scopo di mantenere l'ambiente di lavoro libero dalle pressioni sessuali, ma anche di mantenere le relazioni sessuali private svincolate dal mercato.

D. Alcuni sostenitori del regolamentarismo si avvalgono anche della tesi secondo la quale la sessualità deve essere, come il lavoro domestico, un <<servizio>> retribuito.

Essi affermano che le donne fornirebbero ai loro mariti servizi sessuali gratuiti e che ciò costituirebbe, al pari delle faccende domestiche non retribuite, una forma di sfruttamento patriarcale. Questa assimilazione tra sessualità e lavoro <<invisibile>> delle donne è sbagliata e molto pericolosa. In primo luogo, neppure i mariti sono remunerati per l'attività sessuale. Bisogna dunque che vi sia asimmetria nella concezione della sessualità in base al genere di appartenenza, perché la sola attività sessuale delle donne appaia come un "lavoro". In secondo luogo, non bisogna confondere la natura delle due attività: il lavoro domestico è un'attività essenziale al buon funzionamento di tutte le società e di ogni individuo. Anche se non è mai stato riconosciuto proprio perché svolto dalle donne, non deve essere obbligatoriamente effettuato da una donna. La sessualità, invece, non rappresenta un'attività separata da ciò che ci costituisce come soggetti. Come dice giustamente Julia O' Connell Davidson: <<Se l'assenza di un rapporto sessuale rappresentasse una minaccia per la salute e una persona avesse bisogno di vedersi prescrivere le "cure" di una "sex worker", allo stesso modo in cui un'altra ha bisogno delle cure di un dottore o di un'infermiera quando soffre di una particolare malattia, allora l'aspetto fisico, l'età, il sesso e la razza del/della prostituta non sarebbero criteri importanti>>[3].

D. Per Lei, la remunerazione del lavoro domestico e quella del sesso non hanno le stesse ripercussioni sociali.

La remunerazione del lavoro domestico e dell'accudimento dei bambini (che sia effettuato da un uomo o da una donna) mi sembra legittima, anche se c'è il pericolo di incentivare le donne a conservare un ruolo tradizionale. Si tratta del riconoscimento di un lavoro <<invisibile>>. Al contrario, la remunerazione del 'servizio sessuale' rafforza l'idea che le donne possano essere escluse dal mondo del lavoro, o sotto remunerate, e che la non reciprocità sessuale debba restare immutata perché essa sarebbe fonte di guadagno per le donne. L'industria del sesso trae vantaggio da questa asimmetria sessuale e mina, attraverso di essa, l'uguaglianza tra uomini e donne e il diritto, per tutti e tutte, a una sessualità desiderata. Rifiutando di riconoscere la prostituzione come lavoro, gli abolizionisti cercano di combattere la concezione tradizionale della non reciprocità sessuale tra uomini e donne che il riconoscimento della prostituzione verrebbe a legittimare e a rafforzare. 





[1] Filosofa canadese, esponente della Concertation des luttes contre l'exploitation sexuelle (CLES), è  attualmente ricercatrice di filosofia all'Università del Lussemburgo.
[2] Rhéa Jean si riferisce al lavoro di S.A. Anderson: <<Prostitution and sexual autonomy: making sense of the proibition of prostitution>>, Ethics, vol.112, n.4, luglio 2002.

[3] Julia O' Connell Davidson, <<The rights and wrongs of prostitution>>, Hypatia, vol.17, n.2, 2002.


1 commento:

  1. una persona adulta che per qualsiasi ragione, che non giudico, vuole prostituirsi può farlo, non è illegale quindi non c'è nulla da legalizzare in italia

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