giovedì 19 gennaio 2012

Storie di ponte e di frontiere


Ho notato, da quando ho deciso di occuparmi dei temi di questo blog, che una delle difficoltà maggiori nel capirci qualcosa è data dal fatto che chi più conosce la realtà dei fatti spesso ha ben poco tempo per raccontarla e per esprimere le sue opinioni su internet o nei libri. Chi ha tanto tempo, al contrario, non opera nel concreto e quindi per quanto magari giornalista preparato e acuto possa essere, gli manca la conoscenza diretta, indispensabile per temi così complessi e sostanzialmente ignorati dai media mainstream.

Questo libro a cura di Oria Gargano è una delle eccezioni che pure per fortuna esistono, perché nasce dalla concreta esperienza dello Sportello di consulenza e assistenza tenuto dalla Cooperativa sociale Be Free per le donne detenute nel CIE di Ponte Galeria a Roma. Lo scopo dichiarato nell'introduzione di questo libro è proprio quello di far conoscere questa esperienza che "ci appare sempre di più come un patrimonio del quale non vogliamo e non dobbiamo essere le uniche depositarie".

Il libro offre una parte in cui spiega cosa è e da dove nasce un CIE, mostrando con ottima sintesi come è evoluto - o meglio involuto - il panorama normativo italiano dal testo unico sull'immigrazione (decreto legge Turco-Napolitano 286/1998) fino alla legge Bossi-Fini (189/2002) e al cosiddetto pacchetto sicurezza (legge 94/2009) che introduce il reato di clandestinità e la detenzione nei CIE fino a sei mesi.

Colpisce enormemenete il contrasto tra questa normativa di tipo repressivo, le violazioni di diritti umani che avvengono nei CIE e il dato di fatto che la maggior parte delle donne lì detenute dovrebbe invece essere aiutata in quanto "vittime di molti reati, definiti dalla Corte Penale Internazionale nel suo Statuto approvato nel 1998, crimine contro l'umanità: omicidio, sterminio, riduzione in schiavitù, tortura, stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata ed altre forme di violenza sessuale di analoga gravità". La maggior parte delle donne detenute nei CIE di fatto è vittima di tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo. Queste donne si trovano spaesate, non capiscono perché sono detenute senza aver compiuto alcun reato, ma avendone invece subìti: "è difficile capire che il tuo non avere il permesso di soggiorno e neanche i documenti è una colpa così grave, soprattutto quando - circostanza che accomuna circa i due terzi delle donne che vi sono trattenute - il passaporto te lo hanno levato i tuoi sfruttatori, insieme alla libertà e alla dignità".

L'unica strada per evitare l'esplusione è offerta dai percorsi per il diritto d'asilo o da quelli previsti dall'art. 18 del Testo unico sull'immigrazione (permesso di soggiorno di sei mesi per le vittime di tratta che denunciano i propri sfruttatori). Le operatrici dello Sportello di Be free, supportano, con competenza e adottando un'ottica di genere, le donne per aiutarle a inserirsi in uno di questi percorsi, operando fondamentali sinergie con diverse realtà associative e istituzionali, pur tra mille problemi. Le ragazze hanno grandissima difficoltà a sporgere una denuncia, sono spesso controllate dagli sfruttatori anche all'interno del CIE e ricevono minacce e ritorsioni concrete contro le famiglie. Se nonostante tutto denunciano coraggiosamente, spesso trovano poca comprensione, mancanza di preparazione degli operatori o mancanza di mediatori culturali e rischiano di essere espulse ugualmente, incontrando nei loro paesi stigmatizzazione, emarginazione e finendo spesso per essere trafficate nuovamente.

Le donne presenti nel CIE di Ponte Galeria e incontrate dalle operatrici di BeFree sono di diverse nazionalità: Nigeria, Cina, ex Jugoslavia, paesi maghrebini, Albania, America latina e in piccola parte dell'exURSS, rumene o bulgare trovate senza documenti al momento del fermo e portate nei CIE nonostante siano cittadine comunitarie. La maggior parte delle donne vittime di tratta per sfruttamento sessuale nel CIE di Ponte Galeria è nigeriana (ma ci sono anche brasiliane, rumene, cinesi, russe, donne provenienti dalla ex Jugoslavia).

E' sulla tratta delle nigeriane che il libro ci offre un importante approfondimento, contenendo anche una lettera di Isoke Aikpitanyi scritta espressamente per BeFree - in cui è spiegato il contesto difficile di sottomissione e discriminazione che vivono le donne in Nigeria fino a venire in occidente e "non entrare però in una realtà di più diritti per le donne e più benessere, ma solo nella realtà dove tutto ha un prezzo e si compera, anche il sesso".

Oltre a un esame della situazione della Nigeria - paese devastato dalla rapina effettuata dalla grandi compagnie petrolifere occidentali come Agip e Shell - c'è poi un importantissimo dossier che contiene informazioni dettagliate sul traffico di donne nigeriane attraverso la Libia, così come ricostruito dalle operatrici di Be Free nei colloqui con le donne incontrate nel CIE. Be Free chiede espressamente una estensione dell'art. 18 per i casi in cui le donne siano state sfruttate sessualmente nei bordelli libici e trafficate attraverso questo paese, pur se ancora non sfruttate nel territorio italiano, così come previsto dai più recenti protocolli internazionali antitratta che prevedono una nozione e un intervento coordinato transnazionale sul traffico di esseri umani.

Leggendo il dossier (che si può anche scaricare dal sito di Be Free) si percepisce bene la complessità di una vera organizzazione criminale transnazionale con molteplici figure che ricoprono altrettanti ruoli nel sistema, oltre a conoscere nei dettagli l'immane tragedia della pericolosissima deportazione attraverso il deserto. Come il cimitero a cielo aperto a metà strada tra Dirkou e Tumu in Niger, dove sono sepolte senza nome un centinaio di persone morte nel Sahara.

Potete ordinare il libro direttamente scrivendo a Be Free (così ho fatto io) o su IBS.

2 commenti:

  1. Grazie di questo importante contributo alla diffusione del libro di Oria Gargano. Certo questi temi sono ignorati dai media mainstream ma credo che si tratti non solo di una mancanza di conoscenza diretta, ma anche di un sessismo radicato nella "cultura" italiana, sessismo che genera una pericolosa cecità quando si tratta di affrontare in un'ottica di genere diversi fenomeni complessi, dal lavoro alle scelte procreative all'immigrazione clandestina.

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  2. Sono perfettamente d'accordo con te, Chiara. Grazie del commento!

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