martedì 30 luglio 2013

La Germania e i diritti dei magnaccia

Vista la propaganda martellante condotta soprattutto dai partiti di destra, ma con consensi bipartisan, per l'abrogazione della legge Merlin e il ritorno alla regolamentazione della prostituzione, penso che sia quantomeno doveroso informarsi di cosa si dice in quei paesi che hanno regolamentato e su come funziona realmente lì il sistema. 
Promuovendo il loro referendum, Angelo Alessandri e Matteo Iotti di Progetto Reggio e Luca Vezzani del Pdl ci assicurano: ''Una proposta referendaria che è anche una battaglia di civiltà che cerca di affrontare il tema della prostituzione ed i problemi ad essa inerenti in modo concreto. La riapertura delle 'case chiuse' e la loro regolamentazione permette innanzitutto di stroncare il racket della tratta di queste ragazze, evitando forme di schiavitù, e facendo in modo che anche le prostitute possano godere di diritti. In questo modo 'papponi' e 'magnaccia' perderanno il loro lavoro e la possibilità di vessare le ragazze sotto la loro protezione''.
Di diverso avviso sembra il quotidiano tedesco Der Spiegel in questo noto dossier tradotto da Maria Rossi che ringrazio. La traduzione è stata condotta su questa versione francese e confrontata col testo inglese

Bordello Germania
Come lo Stato incoraggia la tratta delle donne e la prostituzione
Der Spiegel, 26 maggio 2013

Quando la Germania, più di un decennio fa, ha legalizzato la prostituzione, i politici speravano che ciò creasse migliori condizioni e concedesse maggiore autonomia alle sex workers. Ma le cose non sono andate così. Lo sfruttamento della prostituzione e la tratta rimangono problemi gravi.

1 Come è fallita la legalizzazione della prostituzione
Sânandrei è un villaggio povero della Romania, composto di case scalcinate e di sentieri fangosi. Circa l'80% dei suoi abitanti più giovani è disoccupato e una famiglia può ritenersi fortunata se possiede un orto dove coltivare patate e legumi.
Alina è in piedi sulla soglia della casa dei suoi genitori, una delle più vecchie di Sânandrei. Indossa stivali di pelliccia e jeans. Parla del motivo per cui ha voluto abbandonare questa casa quattro anni fa, all'età di 22 anni. Parla di suo padre, che beveva e picchiava sua moglie, e abusava anche della figlia. Alina non aveva né soldi né lavoro.
Ha sentito parlare delle possibilità offerte dalla Germania dal fidanzato della sua amica. Ha appreso che là una prostituta poteva facilmente guadagnare 900 Euro al mese.
Alina ha iniziato a pensarci. Qualsiasi cosa le sembrava meglio che restare a Sânandrei. <<Pensavo che avrei avuto la mia stanza, il bagno e pochi clienti>>, dice. Nell'estate del 2009, lei e la sua amica sono salite sull'auto del fidanzato di quest'ultima e hanno attraversato l'Ungheria, la Slovacchia e la Repubblica Ceca fino a raggiungere la capitale tedesca - non il quartiere de Mitte collegato al centro, ma un luogo sito nelle vicinanze dell'aeroporto di Schönefeld, un locale il cui nome  rivelava molto del proprietario: "Airport Muschis" ("Le fighe dell'aeroporto"). La specialità di questo bordello era il sesso a tariffa fissa. Per 100 Euro un cliente poteva scopare per quanto tempo voleva e con quante donne desiderava.
E' successo tutto molto velocemente, spiega Alina. C'erano in quel posto altri Romeni che conoscevano l'uomo che le aveva portate lì. Hanno detto ad Alina di svestirsi e le hanno fatto indossare lingerie trasparente. Soltanto qualche ora dopo il suo arrivo,  si trovava ad accogliere i suoi primi clienti. Quando non si mostrava abbastanza gentile con la clientela, i Romeni le riducevano il salario.
I clienti berlinesi pagavano all'ingresso. Molti assumevano droghe per migliorare la performance sessuale e potevano  avere rapporti  per tutta la notte. Si formava spesso una fila di clienti davanti alla camera di Alina. Ella dice di aver smesso alla fine di contare quanti uomini venissero a letto con lei. <<Ho rimosso questa percezione>> - spiega. <<Ce ne erano così tanti, tutti i giorni!>>.

Chiusa a chiave
Alina dice che lei e le altre donne erano costrette a pagare ai magnaccia 800 Euro alla settimana. Condivideva un letto a una piazza con altre tre donne. Non c'era nessun altro mobile. Tutto ciò che ha visto della Germania è  stato il distributore di benzina Esso all'angolo, dove era autorizzata ad andare a comprare le sigarette e degli snack, ma soltanto  in compagnia di una guardia del corpo. Per il resto del tempo, dice Alina, veniva rinchiusa a chiave nel club.
Gli investigatori hanno appreso che le donne del club dovevano offrire prestazioni sessuali vaginali, orali e anali e avere rapporti con più uomini contemporaneamente in sessioni di gang-bang. Gli uomini non usavano sempre il preservativo. <<Non avevo il diritto di rifiutare nulla>>, spiega Alina. Durante le mestruazioni, si inseriva delle spugnette nella vagina, in modo che i clienti non se ne accorgessero.
Dice di non essere stata praticamente mai picchiata, come del resto le altre donne. <<I magnaccia dicevano di conoscere abbastanza gente in Romania che sapeva dove vivevano le nostre famiglie. Questo bastava [ad ottenere la nostra obbedienza]>>. Quando talvolta chiamava la madre con il cellulare, le mentiva e le parlava di una vita stupenda in Germania. Il giorno in cui un magnaccia le  versò 600 Euro, lei  riuscì a spedire i soldi alla sua famiglia.
La storia di Alina non ha nulla di eccezionale in Germania. Le organizzazioni umanitarie e gli esperti stimano che vi siano fino a 200.000 donne prostituite nel Paese.  Secondo diversi studi, fra cui una ricerca della Rete europea di prevenzione dell'HIV e delle malattie sessualmente trasmissibili e di promozione della salute delle sex workers emigrate (TAMPEP), dal 60% all'80% delle ragazze e delle donne che esercitano la prostituzione arrivano dall'estero, la maggioranza dalla Romania e dalla Bulgaria.
La polizia non poteva fare gran che per le donne come Alina. I magnaccia erano sempre pronti  ai controlli delle forze dell'ordine, dice Alina, e si vantavano di conoscere alcuni poliziotti. <<Sapevano quando  ci sarebbe stato un controllo>>, dice Alina, ciò che spiega perché lei non abbia mai osato confidarsi con un agente di polizia.
I magnaccia dicevano alle ragazze cosa dire esattamente alla polizia. Esse dovevano affermare di aver appreso, navigando in Internet nel loro Paese, in Bulgaria o in Romania, che si potevano guadagnare molti soldi lavorando in un bordello tedesco. Poi che avevano semplicemente acquistato il biglietto del pullman ed erano giunte al club un bel giorno, in perfetta autonomia.

Un tappeto di menzogne
E' probabile che tutti gli agenti di polizia che lavorano in un reparto che si occupa di prostituzione sentano continuamente queste menzogne. Lo scopo di questa finzione è di occultare ogni traccia di tratta. Queste menzogne diventano dichiarazioni che trasformano le donne come Alina in prostitute autodeterminate, in imprenditrici che hanno liberamente scelto la propria professione e alle quali la Germania desidera ora offrire buone condizioni di lavoro nel settore sessuale dell'industria dei servizi.
E' l'immagine della <<puttana rispettabile>> che sembra affascinare i politici: donne libere di fare ciò che amano, tutelate dal welfare, impegnate in un lavoro che adorano e titolari di un conto corrente nella banca di risparmio del posto. I sociologi le definiscono con un'espressione: <<sex workers migranti>>, ambiziose fornitrici di servizi che approfittano delle occasioni che oggi offre loro un'Europa sempre più unita.
Nel 2001, il Parlamento tedesco, il Bundestag,  con il consenso della coalizione di Governo che era al potere all'epoca (Partito socialdemocratico/ Partito dei Verdi), ha adottato una legge sulla prostituzione che si pensava migliorasse le condizioni di lavoro delle persone prostituite. Secondo la nuova legge, le donne potevano ricorrere alla magistratura per ottenere il salario cui avevano diritto, così come il pagamento dei contributi sociali e sanitari, dell'indennità di disoccupazione e della pensione. L'obiettivo della legge era quello di rendere la prostituzione un mestiere come quello dell'impiegata di banca o dell'assistente del dentista, un impiego accettato,  anziché ostracizzato.
Le donne che celebravano le lodi di un'industria del sesso autonoma si sono mostrate molto soddisfatte quando la legge è stata votata. Christine Bergmann (Partito socialdemocratico),   all'epoca Ministra della famiglia,  è stata vista  fare un brindisi a base di champagne con Kerstin Müller, all'epoca leader parlamentare dei Verdi, a fianco della gerente di un bordello berlinese, Felicitas Weigmann (oggi Felicitas Schirow). Le tre celebravano il fatto che in Germania gli uomini potessero ora frequentare le case chiuse senza il minimo scrupolo.
Oggi, molti poliziotti, associazioni femministe e politici uomini e donne che conoscono l'ambiente della prostituzione sono convinti/e che questa legge compiacente non sia che un programma di sostegno ai magnaccia e che essa renda il mercato più attraente per la pratica della tratta.

Rinforzare i diritti delle donne
Quando è stata promulgata le legge sulla prostituzione, anche il codice civile tedesco è stato modificato. L'espressione <<promozione della prostituzione>>, un reato, è stata sostituita da quella di <<sfruttamento della prostituzione>>. Il lenocinio rimane  un reato quando è <<abusante>> o <<coercitivo>>. Ma la polizia e i giudici sono frustrati, perché questi elementi di reato sono molto difficili da provare. Un prosseneta può essere considerato abusante, per esempio, se esige più della metà dei guadagni di una prostituta, ma di rado è possibile provarlo. Nel 2000, 151 persone sono state riconosciute colpevoli di lenocinio, mentre nel 2011 non se ne sono avuti che 32.
Le promotrici della legge si ponevano in effetti il fine di rafforzare i diritti delle donne, non quelli dei prosseneti. Speravano che i proprietari e le proprietarie delle case chiuse approfittassero dell'occasione per <<offrire buone condizioni di lavoro senza essere penalmente perseguibili>>, come si può leggere in una valutazione della legge redatta dal Ministero federale della Famiglia.
Prima dell'adozione della nuova legge, la prostituzione non era sanzionata penalmente, ma era considerata immorale. Le autorità tolleravano le case chiuse, designandole con l'eufemismo di <<affitto di una stanza per il commercio>>. Oggi, un po' più di 11 anni dopo che la prostituzione ha visto migliorare  la propria considerazione in virtù della legge adottata nel 2001, esistono tra i 3000 e i 3500 locali <<a luce rossa>>, secondo le stime dell'associazione che rappresenta gli interessi dell'industria: l'ErotikGewerbe Deutschland (UEGD). Il sindacato degli impiegati dei servizi pubblici Ver.di stima che i profitti annuali della prostituzione siano circa 14,5 miliardi di euro. 
Si stima che esistano 500 bordelli a Berlino, 70 a Osnabrück, una piccola città del Nord Ovest e 270 nel piccolo  Land della Saar, a Sud-Ovest, vicino alla frontiera francese. Molti francesi frequentano le case chiuse della Saar. A Berlino, il Sauna Club Artemis, situato presso l'aeroporto, attira numerosi acquirenti di sesso inglesi e italiani.
Le agenzie di viaggio propongono tour nei bordelli tedeschi che durano fino a 8 giorni. Queste escursioni sono <<legali>> e <<sicure>>, scrive un agente di viaggio sulla sua home page. I potenziali clienti si vedono promettere fino a 100 <<donne tutte nude>>, che portano solo scarpe con i tacchi alti. Sono accolti all'aeroporto e condotti nei club su auto BMW serie 5.

2. L'orrore della tariffa forfettaria
Oltre ai cosiddetti club o saune naturiste, dove i clienti  girano con  un asciugamano attorno ai fianchi, mentre le donne sono nude,  si sono diffusi in Germania anche i megabordelli. Essi pubblicizzano i propri servizi a tariffa forfettaria, a prezzo fisso. Quando ha aperto il <<Pussy Club>>, nei pressi di Stoccarda, nel 2009, la direzione ha annunciato l'apertura in questo modo: << Sesso con tutte le nostre donne, per tutto il tempo che volete, quante volte volete e in tutti i modi che volete. Sesso. Sesso anale. Sesso orale senza preservativo. Sesso in tre modi. Gang-bangs>>. Tutto ciò al prezzo fisso di 70 euro di giorno e di 100 euro la sera.
Secondo la polizia, circa 1700 clienti hanno approfittato di questa offerta nel week end d'apertura. I pullman arrivavano da molto lontano e i quotidiani locali hanno scritto che più di 700 uomini hanno atteso in fila all'esterno del bordello. Successivamente, alcuni clienti si sono lamentati sui forum Internet del carattere insoddisfacente del servizio e del fatto che le donne diventavano <<meno utilizzabili>> dopo qualche ora.
L'industria del sesso è diventata più dura, spiega un' operatrice sociale, Andrea Weppert, che lavora con le prostitute da più di 20 anni, nel corso dei quali il numero delle prostitute è triplicato. Secondo Weppert, più della metà delle donne non ha una residenza stabile, ma si sposta piuttosto da una località all'altra, in modo da poter guadagnare più  denaro, essendo <<nuova>> in ciascuna città.
Oggi <<una percentuale elevata di donne che si prostituiscono non rientra a casa dopo il lavoro, ma resta invece 24 ore al giorno sul luogo di lavoro>>, ha scritto una ex prostituta con lo pseudonimo di Doris Winterdans nel suo contributo ad un'antologia universitaria: "Il diritto della prostituzione". <<Le donne vivono generalmente nei posti dove lavorano>>, spiega.
A Nuremberg, spiega l'operatrice sociale Weppert, un posto per dormire in tali locali costa dai 50 agli 80 euro al giorno e il prezzo può arrivare sino a 160 euro nei bordelli che ospitano molte prostitute. Le condizioni di lavoro delle donne prostituite sono <<peggiorate nel corso degli ultimi anni>>, spiega. <<In Germania, nel complesso,  sono offerti molti più servizi sessuali in condizioni più rischiose e per meno denaro che 10 anni fa>>.

Prezzi in caduta libera
A dispetto dell'aggravarsi delle condizioni, le donne affluiscono in Germania, il principale mercato della prostituzione nell'Unione Europea, un fatto che confermano anche i proprietari delle case chiuse. Holger Retting, della lobby UEGD [n.d.t l'associazione dei gestori dei bordelli], dice che l'afflusso di donne dalla Romania e dalla Bulgaria è considerevolmente aumentato in seguito all'adesione di questi due Paesi alla UE. <<Ciò ha comportato un ribasso dei prezzi>>, dice Rettig, che nota come il mercato della prostituzione sia caratterizzato da <<un'economia liberista di mercato piuttosto che da un'economia sociale di mercato>>.
Il capo della polizia di Monaco, Wilhelm Schmidbauer, deplora <<l'aumento esplosivo della tratta proveniente dalla Romania e dalla Bulgaria>>, ma aggiunge di non aver accesso agli strumenti necessari per svolgere le indagini. Gli è spesso proibito di utilizzare le intercettazioni telefoniche. Il risultato, dice Schmidbauer, <<è che noi non perseguiamo praticamente nessuno per tratta. Non riusciamo a provare che esista>>.
Questi ostacoli rendono difficile individuare coloro che portano ai bordelli tedeschi <<prodotti>> dagli angoli più remoti d'Europa, prodotti come Sina. Ella ha raccontato agli psicologi di un centro di informazione delle donne di Stoccarda il suo viaggio verso i bordelli a tariffa forfettaria della Germania. A Corhana, il suo paese d'origine, vicino alla frontiera che separa la Romania dalla Moldavia, la maggior parte delle case non ha l'acqua corrente. Sina e le altre ragazze del paese si recavano ad attingere acqua dal pozzo tutti i giorni. Era come una scena di Cenerentola. Tutte le ragazze sognavano che un giorno arrivasse un uomo che le strappasse alla loro vita disperata.
L'uomo, che è infine arrivato al pozzo del paese su una grande BMW, si chiamava Marian. Per Sina, fu un colpo di fulmine. Egli le disse che in Germania vi era lavoro e i suoi genitori firmarono un modulo, in quanto lei era minorenne, che le permetteva di lasciare il paese. Passando per Schifferstadt nel Land di sud ovest della Renania-Palatinato, l'uomo fece sbronzare Sina e andò a letto con lei.
Marian condusse Sina al "No Limit", un bordello a tariffa forfettaria. La ragazza aveva solo 16 anni e dice di aver avuto rapporti anche con 30 clienti al giorno. Marian le dava ogni tanto qualche centinaio di euro. Temendo i controlli della polizia, l'uomo la rinviò infine in Romania. Ma lei ritornò e continuò a lavorare come prostituta. Sperava che un cliente si innamorasse di lei e la salvasse.

<<Nessun apprezzabile miglioramento>>
La legge del 2001 sulla prostituzione in Germania ha migliorato la situazione delle donne come Sina?  Cinque anni dopo la sua promulgazione, il Ministero della Famiglia  sottopose a valutazione la nuova legge. Il rapporto indicava che gli obiettivi erano stati << raggiunti parzialmente >> e che la deregolamentazione non aveva <<apportato alcun apprezzabile miglioramento reale alla sicurezza sociale delle prostitute>>. Non erano migliorate né le loro condizioni di lavoro, né la possibilità di lasciare la professione. Infine, non esisteva << alcuna solida prova>> che la legge avesse ridotto la criminalità.
Nessun tribunale aveva celebrato un processo in cui una prostituta avesse citato in giudizio il suo datore di lavoro per questioni salariali. D'altra parte, soltanto l'1% delle donne intervistate aveva dichiarato di aver sottoscritto un contratto di lavoro come prostituta. Il fatto che il sindacato Ver.di avesse approntato un <<modello di contratto di lavoro nel campo dei servizi sessuali>> non aveva assolutamente cambiato le cose.
In un sondaggio realizzato da Ver.di, la gestrice di un bordello ha detto di apprezzare la legge sulla prostituzione, perché riduce il rischio dei controlli della polizia. Nei fatti, ha detto, la legge è più vantaggiosa per i gestori dei bordelli che per le donne che si prostituiscono.
Per esercitare un'attività di vendita di alimentari su mezzi mobili in Germania, bisogna attenersi alla norma DIN 10500/1, che riguarda <<i veicoli di vendita  dei cibi deperibili>> e che impone, ad esempio, l'obbligo di installare distributori di sapone e di asciugamani monouso. Un gestore di bordello non è sottoposto ad alcuna restrizione. Tutto ciò che deve fare è segnalare alle autorità la data di apertura del suo locale.
Le donne che si prostituiscono continuano a non registrarsi presso le autorità. Ad Amburgo, nota per il suo quartiere <<caldo>>: il Reeperbahn, solo 153 donne sono in regola e si sono registrate all'ufficio delle imposte della città. Il governo vuole che le prostitute paghino le tasse. Deve pertanto elaborare una regolamentazione della professione?
La strana posizione che assume il governo nell'industria del sesso è particolarmente evidente nel caso delle prostitute di strada di Bonn. Ogni sera, esse devono pagare un ticket emesso da un parcometro, un ticket che vale fino alle ore 6 del giorno successivo. Il ticket costa 6 euro.

Un Big Mac per far sesso
Nella zona nord di Colonia, dove le prostitute tossicomani lavorano sulla Geestemünder Strasse, non lontano dalla fabbrica di assemblaggio della Ford, non è riscossa alcuna imposta.  Nel quadro di un progetto sociale           , sono stati istituiti quelli che vengono definiti <<box di lavoro>>. Sono sostanzialmente dei luoghi di sosta circondati da mura e riuniti sotto il tetto di un hangar, dove si possono avere rapporti sessuali in auto. Malgrado la totale assenza di cartelli che indichino che l'installazione serve all'esercizio della prostituzione, sui muri della zona recintata è visibile il limite di velocità di 10 Km all'ora che fa circolare le auto in senso antiorario.
In una fredda sera di primavera, una ventina di donne si sono riunite ai bordi della zona. Alcune hanno portato delle sedie da camping, mentre altre si sono sedute sotto pensiline riadattate. Quando un cliente si è accordato sul prezzo con una delle donne, la conduce in uno degli stand. Ci sono otto stands sotto il tetto dell'hangar, oltre ad una stanza a parte per i ciclisti e per i pedoni, con il pavimento di cemento e una panchina. C'è un pulsante d'allarme in ciascun box e un'organizzazione cattolica, che fornisce servizi sociali destinati alle donne, sorveglia la zona ogni sera.
Alia, 23 anni, con la parrucca bionda, indossa una camicetta troppo stretta e tenta di dissimulare l'alito che sa di alcool, succhiando una mentina. Parlando di sé e delle altre prostitute di strada, Alia dice: <<Quelle che lavorano qui hanno dei grossi problemi>>.
Il percorso che ha condotto Alia a Geestemünder Strasse è iniziato quando ha lasciato la scuola e si è fidanzata con un ragazzo che l'ha indotta a prostituirsi. <<Sono le difficoltà economiche e sentimentali>> che l'hanno indotta a prostituirsi, dice, e successivamente si sono aggiunte al tutto la marijuana, la cocaina, le anfetamine e l'alcool. <<Non c'è prostituzione senza costrizione e povertà>>, dice. Sono tre anni che passeggia sul marciapiede. <<Una donna che se la passa bene, non fa questo genere di lavoro>>, dice.
Il costo del sesso orale e della penetrazione vaginale   era in passato di 40 euro sulla  Geestemünder Strasse. Ma quando la vicina città di Dortmund ha chiuso la sua zona di esercizio della prostituzione, sono arrivate a Colonia molte più donne, dice Alia. <<Ci sono sempre più donne ora ed esse riducono  i prezzi per arrivare a guadagnare ciò che basta per sopravvivere>>. Le Bulgare e le Romene accettano persino di essere pagate meno di 10 euro al rapporto, dice. <<C'è persino una donna qui che accetta di fare sesso in cambio di un Big Mac>>.

3. La Germania ha un problema di tratta degli esseri umani
Sono poche le donne dell'Europa dell'Est che si prostituiscono ancora sulla Geestemünder Strasse. Sono state allontanate in seguito ai controlli periodici dei passaporti effettuati dalla polizia, una misura diretta ad individuare e a proteggere le vittime della tratta e della prostituzione coatta. Oggi queste ragazze esercitano la prostituzione di strada nel quartiere sud di Colonia, ma ciò comporta ugualmente una riduzione dei prezzi nel quartiere nord.
Nel 2007, Carolyn Maloney, rappresentante democratica dello Stato di New York e fondatrice di un comitato anti-tratta al Congresso degli Stati Uniti, ha redatto un testo sulle conseguenze della legalizzazione della prostituzione nella e attorno alla Mecca del gioco d'azzardo: Las Vegas. <<C'era una volta - ha scritto -  la convinzione naif che legalizzare la prostituzione consentisse di migliorare la vita delle prostitute, di eliminare la prostituzione nelle zone dove rimaneva illegale e di scacciare il crimine organizzato. Come tutte le fiabe, anche questa convinzione si è rivelata essere pura fantasia>>.
I poliziotti tedeschi che pattugliano i quartieri caldi si lamentano di essere appena in grado di iniziare le inchieste nei bordelli di oggi. La Germania è diventata <<il centro dello sfruttamento sessuale delle giovani donne dell'Europa dell'Est, così come un'area di attività dei gruppi del crimine organizzato di tutto il pianeta>>, spiega Manfred Paulus, investigatore capo in pensione della città meridionale di Ulm. Ha lavorato come investigatore alla buoncostume e ora informa le donne in Bulgaria e nella Bielorussia  del pericolo di lasciarsi attirare dalla Germania.
Se ci si fida delle sole statistiche, la Germania non ha alcun problema di prostituzione e di tratta. Secondo l'Ufficio federale della polizia criminale (BKA), si sono avuti nel 2011 soltanto 636 casi segnalati di <<tratta di persone a fini di sfruttamento sessuale>>, cioè quasi un terzo in meno che 10 anni prima. 13 vittime avevano meno di 14 anni e  altre 77 meno di 18 anni.
Tuttavia, esistono molte donne dei paesi della UE <<la cui condizione suggerisce che siano vittime della tratta, ma è difficile fornire prove che reggano in tribunale>>, si legge nel rapporto della BKA. Dipende tutto dalla testimonianza delle vittime, scrivono gli autori, ma si nota <<scarsa volontà di cooperare con i servizi di polizia e di assistenza sociale, in particolare nel caso delle presunte vittime della Romania e della Bulgaria>>. E dopo che le donne hanno osato dire qualcosa, le loro denunce <<vengono spesso ritirate>>.

Le condanne si riducono
Uno studio condotto dall'Istituto Max Planck di diritto penale straniero e internazionale ha concluso che le cifre ufficiali sulla tratta ci dicono <<poco sull'incidenza reale di questo reato>>.
Secondo un rapporto sulla tratta recentemente consegnato dalla Commissaria Europea  per gli Affari Interni, Cecilia Malmström, ci sono più di 23.600 vittime di tratta nella UE,  due terzi   delle quali  sessualmente sfruttate. La signora Malmström, originaria della Svezia, osserva come alcune bande criminali abbiano  intensificato le proprie operazioni. Tuttavia, dice, il numero delle condanne è in diminuzione, perché i poliziotti sono  sopraffatti  dagli sforzi di lottare contro la tratta. La commissaria esorta la Germania a fare di più per risolvere questo problema.
E se la legge tedesca sulla prostituzione avesse l'effetto concreto di favorire i trafficanti? La legge ha, nei fatti, incentivato la prostituzione e, con essa, la tratta?
Axel Dreher, professore di politica internazionale e dello sviluppo all'Università di Heidelberg, ha tentato di rispondere a queste domande, confrontando dati  raccolti in 150 Paesi. Le cifre erano imprecise, come lo sono tutte le statistiche relative alla tratta e alla prostituzione, ma Dreher è stato in grado di estrapolare dai dati una tendenza: quando la prostituzione è legale in un Paese vi si trovano più vittime di tratta che altrove.
La maggior parte delle donne che vengono in Germania per diventare prostitute non sono rapite in strada e la maggior parte di loro non crede seriamente di andare a lavorare in una panetteria tedesca. Più frequentemente, sono donne come Sina che si innamorano di un uomo e lo seguono in Germania, o come Alina, che sanno che diventeranno prostitute. Ma capita molto spesso che non sappiano quanto sarà difficile la loro condizione e non sospettano affatto che potranno conservare solo una piccola parte del denaro guadagnato.
Certi casi sono ancora più sconvolgenti. Nel dicembre scorso, il pubblico della televisione tedesca è rimasto scandalizzato dal telefilm "Wegwerfmädchen (Ragazze usa e getta), un episodio della serie di genere poliziesco "Tatort", ripreso nella Germania del nord, ad Hannover. Vi si vedevano  alcuni magnaccia gettare due giovani donne gravemente ferite in un  cassonetto dei rifiuti dopo un'orgia. Soltanto qualche giorno dopo la trasmissione di questo episodio , la polizia di Monaco ha trovato una ragazza in lacrime e semi svestita, abbandonata in un piccolo parco.

Il mastio dell'Isar
La Romena di 18 anni era fuggita da un bordello. Ha detto ai poliziotti che tre uomini e due donne l'avevano avvicinata in strada nel suo villaggio natio. Gli sconosciuti le avevano promesso un posto di baby sitter. Quando sono arrivati a Monaco, ha detto, le hanno bendato gli occhi e l'hanno portata in una cella sotterranea, la cui porta si apriva soltanto con un codice di sicurezza.
Un'altra giovane ragazza era seduta sul letto a castello della stanza buia, dice, e si  udiva lo scroscio dell'acqua dietro le mura. I poliziotti ipotizzano che il nascondiglio si trovasse in una fabbrica abbandonata nei pressi del fiume Isar, che attraversa Monaco. Gli uomini l'hanno stuprata e, quando lei si è rifiutata di lavorare in un bordello, l'hanno picchiata, ha raccontato.
Gli agenti erano dapprincipio increduli, ma la giovane ragazza ricordava i nomi dei magnaccia. Questi sono stati arrestati e sono attualmente in carcere. Poiché si sono rifiutati di rispondere alle domande, il sinistro mastio non è ancora stato ritrovato e la giovane Romena beneficia ora del programma di protezione dei testimoni di reati.
Talvolta le ragazze sono inviate in Germania dalle loro stesse famiglie, come Cora, proveniente dalla Moldavia. Ha 20 anni, si guarda le mani affondate nelle tasche della giacca. Calza pantofole di peluche sulle quali sono cuciti due grandi occhi. Cora dimora in una locanda gestita da un centro di assistenza romeno delle vittime della tratta. Quando le ragazze hanno 15 o 16 anni in Moldavia, spiega la psicologa di Cora, i fratelli e i padri spesso dicono loro: <<Puttana, vattene e inizia a guadagnare!>>.
I fratelli di Cora hanno condotto la loro sorella, carina e agghindata, a lavorare in una discoteca della città più vicina. Faceva la barista, ma ha incontrato un uomo che aveva dei contatti in Romania: <<Mi ha detto che potevo guadagnare molti più soldi nelle discoteche romene>>. Cora se ne è andata con lui, dapprima in Romania, poi in Germania.

<<Un processo di emancipazione>>
Dopo essere stata stuprata tutto il giorno a Nuremberg, testimonia Cora, ella sapeva che  lavoro avrebbe dovuto fare. L'hanno portata in una casa chiusa di Frauentormauer, uno dei più vecchi quartieri <<caldi>> della Germania. Riceveva gli uomini nella sua stanza, anche per 18 ore al giorno. Afferma che anche alcuni poliziotti venivano al bordello come clienti: <<Non hanno notato nulla. Oppure, non gliene importava niente>>.
Il locale era molto frequentato nei giorni precedenti il Natale del 2012. Cora racconta che il suo magnaccia ha preteso che lavorasse 24 ore di fila. Quando lei si è rifiutata, lui  l'ha ferita con un coltello al volto. La ferita sanguinava così tanto che Cora è stata autorizzata a recarsi all'ospedale. Un cliente, di cui ricordava il numero di cellulare, l'ha aiutata a fuggire in Romania, dove Cora ha denunciato il suo carnefice. Costui le ha telefonato recentemente, dice, minacciandola.
Malgrado storie come queste, gli esponenti della classe politica berlinese non si sentono sollecitati ad agire. Questo si spiega in parte perché, nel dibattito sulla prostituzione, una posizione ideologicamente corretta  conta di più delle realtà più atroci. Per esempio, quando la Facoltà di scienze applicate di Amburgo ha tenuto una conferenza sulla prostituzione in Germania, un anno fa, uno dei partecipanti ha dichiarato che la prostituzione, in quanto lavoro sessuale riconosciuto, era <<parte di un processo di emancipazione e di professionalizzazione>>.
Tali asserzioni scandalizzano Rahel Gugel, professoressa di diritto. <<E' assurdo. Questo non ha nulla a che vedere con la realtà>>, dice. Insegnante di diritto del lavoro sociale all'Università statale cooperativa di Baden-Württemberg, Gugel ha conseguito una tesi in diritto della prostituzione e ha lavorato per un'organizzazione umanitaria.
I promotori della legalizzazione sostengono che ogni persona ha il diritto di dedicarsi  liberamente a qualsiasi attività lavorativa. Certe femministe arrivano anche a celebrare l'emancipazione delle donne che si prostituiscono, perché, dicono, le donne dovrebbero essere libere di fare ciò che vogliono del proprio corpo. Nella prassi, tuttavia, si constata rapidamente quanto poco chiara sia la linea di demarcazione tra la prostituzione volontaria e quella coatta. Donne come Alina e Cora si prostituiscono volontariamente e assumono decisioni autonome? <<E' politicamente corretto in Germania rispettare le decisioni individuali delle donne>>, spiega l'avvocato Gugel. <<Ma se si vogliono proteggere le donne, non è certo questo il modo di farlo>>.

4 L'approccio errato di Berlino
Secondo Rahel Gugel, molte donne vivono situazioni emotive ed economiche difficili. Vi sono prove che attestano che un numero  superiore alla metà delle prostitute ha subito abusi o ha avuto genitori negligenti durante l'infanzia. Vi sono studi che  mostrano come molte di loro soffrano di sindrome da stress post-traumatico. Le prostitute soffrono di depressione, di disturbi d'ansia e di tossicomanie  in una percentuale molto più elevata del resto della popolazione. La maggior parte di loro è stata stuprata, molte anche più volte. Nei sondaggi, la maggioranza delle donne afferma che abbandonerebbe immediatamente la prostituzione se potesse.
Certo: ci sono anche donne che decidono  che è preferibile vendere il proprio corpo piuttosto che sistemare i prodotti sugli scaffali dei supermercati. Ma c'è motivo per credere che esse costituiscano una minoranza che è rumorosamente rappresentata da qualche donna proprietaria di bordelli e dalle lobbyste pro-prostituzione come Felicitas Schirow.
Il diritto tedesco adotta un approccio fondamentalmente sbagliato, spiega la professoressa Gugel. Per proteggere le donne, spiega, bisogna limitare la prostituzione e sanzionare gli acquirenti di sesso. Ma la sua è una voce isolata in Germania.
Non è  così dappertutto in Europa.  Alcuni Paesi che avevano imboccato una strada simile a quella tedesca, hanno fatto marcia indietro e seguono ora piuttosto l'esempio degli Svedesi. Due anni prima che la Germania adottasse la sua legge sulla prostituzione, la Svezia ha scelto l'approccio inverso. L'attivista Kajsa Ekis Ekman lotta per convincere il resto  dell'Europa ad imitare il suo Paese. A seguito della pubblicazione di un libro nel quale descrive le condizioni di vita delle prostitute ("L'être et la marchandise", Montréal, M editeur, 2013), Ekman viaggia da una città europea all'altra, come un'ambasciatrice della lotta contro la tratta.
A metà aprile, la campagna di Ekman l'ha portata a KOFRA, un centro di donne di Monaco. Bionda, dagli occhi blu, Ekman è piccola ed energica. Seduta su una stretta sedia di legno, parla così tanto che la sua tazza di caffé ha il tempo di raffreddarsi - come se non avesse abbastanza tempo per  esporre tutte le argomentazioni che è diventato urgente  affermare.
Mentre studiava a  Barcellona,  Ekman ha condiviso un appartamento con una donna che lavorava come prostituta. Ha visto come i magnaccia dominavano le loro dipendenti. <<Ho iniziato ad interessarmi alla questione e ad impegnarmi quando ho visto il modo in cui la mia coinquilina vendeva il proprio corpo>>, dice. Di ritorno in Svezia, ha manifestato stupore per un dibattito pubblico sull'amore libero e sull'autodeterminazione delle prostitute. <<Quello che avevo osservato era molto diverso>>, dice Ekman.

Punire i clienti, non le prostitute
Nel 1999, quando la Svezia ha reso illegale l'acquisto di servizi sessuali, i suoi vicini europei hanno manifestato  incredulità.  Per la prima volta erano gli acquirenti di sesso e non le prostitute che venivano sanzionati.
<<La prostituzione si sta ora dispiegando nell'ombra>>  scrisse l'influente giornale tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, affermando che si trattava di <<una sconfitta per il movimento delle donne in Svezia>> e  osservando che  nel Paese era attivo un <<femminismo dogmatico>>. Ma una società che si vuole libera  dai moralismi può punire gli uomini che frequentano prostitute? Sì, lo può, risponde Ekman, citando i successi realizzati nel suo Paese, dove sempre meno uomini pagano per fare sesso e dove coloro che lo fanno si sentono sempre più a disagio: <<Prima della promulgazione della nostra legge un uomo su otto in Svezia era stato con una prostituta>>, dice, notando che oggi questa proporzione si è ridotta ad uno su dodici.
Certo, la prostituzione esiste ancora in Svezia, ma quella di strada si è ridotta della metà. Anche il numero totale delle prostitute è diminuito, passando da circa 2500 a circa 1000-1500 donne. Alcuni magnaccia conducono ancora su furgoncini alcune donne dell'Europa dell'Est nel Paese e si accampano spesso alla periferia delle città, ma la prostituzione non è più un grande affare in Svezia. I detrattori della legge replicano che è aumentata la prostituzione negli appartamenti e in rete e che certi uomini si recano ora nei bordelli dei Paesi baltici o dell'Europa dell'Est.
La legge svedese non si fonda sul diritto della prostituta di assumere decisioni autonome, ma sulla parità tra uomini e donne, iscritta nelle costituzioni svedese e tedesca. La questione, in termini molto semplici, è che la prostituzione rappresenta una forma di sfruttamento e deriva  sempre da uno squilibrio di poteri. Gli/le svedesi affermano che il fatto che gli uomini possano comprare delle donne per fare sesso alimenta una percezione della donna che pregiudica la parità dei diritti e danneggia  tutte le donne.

Aiutate il mio bordello
La Svezia punisce, dunque, i clienti, i prosseneti e i trafficanti, ma non le prostitute. Questo approccio mira a soffocare la domanda di servizi sessuali a pagamento e a rendere questa attività non redditizia per i trafficanti e per gli sfruttatori. Da due anni, gli Svedesi hanno aumentato da sei a dodici mesi di reclusione la pena massima  che rischiano di buscare i clienti.
Benché la polizia svedese non si mostri sempre particolarmente solerte nel perseguire i clienti, ha comunque arrestato più di 3700 uomini dopo il 1999. Nella maggior parte dei casi, costoro sono stati condannati soltanto al pagamento di un'ammenda. Alcune persone contestano ancora in Svezia i meriti di questa legge restrittiva, ma essa gode di un considerevole appoggio da parte della popolazione. Dieci anni dopo la sua promulgazione più del 70 per cento degli Svedesi hanno dichiarato di  appoggiare la punizione degli uomini che pagano per ottenere sesso anziché quella delle prostitute che vengono pagate.
In Germania, al contrario, la situazione è tale che il canale televisivo RTL II trasmette un programma nel quale un'équipe chiamata: <<Aiutate il mio bordello>> fa il giro del Paese visitando <<bordelli tedeschi in difficoltà>> per stimolarvi l'industria del sesso, offrendo buoni consigli. Sono iniziative di questo tipo ad aver indotto Alice Schwarzer, editrice della rivista femminista EMMA, a prevedere <<come obiettivo a breve termine>> in Germania l'avvio di un <<dibattito sociale che sfoci nella condanna della prostituzione piuttosto che, come accade oggi, nella sua accettazione e persino nella sua promozione>>.
Pierrette Pape crede che l'immagine che si offre della prostituzione nei diversi Paesi  non sia priva di effetti. <<Oggi in Svezia un ragazzino cresce sapendo che l'acquisto di sesso è un reato. Nei Paesi Bassi, il ragazzino cresce imparando che alcune donne sono sedute dietro alle vetrine e che le si può ordinare come qualsiasi prodotto di consumo di massa>>. Pape è la portavoce della Lobby europea delle donne a Bruxelles, un'organizzazione che coordina 2000 organizzazioni femministe in Europa.
Pape trova <<sorprendente>> che la Germania non riveda seriamente le proprie politiche sulla tratta. <<Si è acceso un dibattito in tutta Europa e noi speriamo che i politici e le organizzazioni umanitarie tedesche accordino in futuro maggiore attenzione ai diritti umani rispetto a quanta glie ne  abbiano finora accordata >>.
Molti Paesi europei si conformano ormai al modello svedese. In Islanda, che ha adottato una legislazione simile, i politici hanno in animo anche di vietare la pornografia in rete.  Dal 2009 anche la Norvegia punisce i clienti delle prostitute. E a Barcellona è illegale ricorrere ai servizi di una prostituta di strada.

Il metodo francese
In virtù di una legge finlandese promulgata nel 2006, gli uomini possono essere puniti per aver acquistato i servizi di una prostituta che lavora per uno sfruttatore o che è vittima della tratta. Ma provare che gli uomini siano a conoscenza di questa situazione si è rivelato impossibile. Il Ministero finlandese della Giustizia sta preparando un rapporto sull'opportunità per la Finlandia di adottare semplicemente il modello svedese.
Anche in Francia molti vogliono imitare la Svezia. Poco prima di entrare in carica, l'attuale Ministra dei Diritti delle donne, Najat Vallaud-Belkacem, ha annunciato audacemente: <<Il mio obiettivo, come quello del Partito socialista, è di veder sparire la prostituzione>>, ha dichiarato al Giornale della Domenica. Alcuni politici e sociologi hanno immediatamente deriso questa idea, qualificandola come <<utopistica>> e alcune prostitute hanno manifestato nelle strade di Lione e di Parigi.  Il progetto di legge di Vallaud-Belkacem prevede una pena massima di sei mesi di carcere e un'ammenda dall'ammontare massimo di 3000 euro per i clienti. Ma ci vorrà probabilmente un  po' di tempo prima che la Ministra  riesca ad imporre la sua idea al Governo.
E in Germania? I politici di Berlino litigano sul cambiamento  di dettagli insignificanti della legge sulla prostituzione, poi finiscono per non far niente. Nel 2007, la Ministra della Famiglia dell'epoca, Ursula von der Leyen, esponente della CDU (Unione Cristiano Democratica), il partito della cancelliera Angela Merkel, ha proposto di subordinare i bordelli all'approvazione del Governo, con l'appoggio di una delle colleghe della CDU, Annegret Kramp-Karrenbauer, all'epoca Ministra dell'Interno della Saar (e ora governatrice di questo Land). Ma le due politiche non sono riuscite a convincere la maggioranza del loro partito e nulla è cambiato.
Nel 2008, la Conferenza delle Ministre della Parità e delle Donne ha tentato di introdurre un regolamento che sottoponesse i gestori dei bordelli a un test di affidabilità. Esse hanno consultato i loro colleghi della Conferenza dei Ministri dell'Interno, ma non  si è approdati a nulla.

5.  L'inerzia
Nel 2009, alcuni politici della CDU, del Partito Socialdemocratico, del Partito liberaldemocratico e dei Verdi  del Land del   Baden-Württemberg hanno sollecitato una presa di posizione del Bundesrat, il corpo legislativo che rappresenta gli Stati tedeschi, contro <<la formula disumana dei servizi sessuali a prezzo forfettario>>. Ma alla legge non è stato apportato alcun cambiamento.
Quanto ai Paesi Bassi, essi hanno scelto la via della deregolamentazione giuridica due anni prima della Germania. Ma oggi sia il Ministro della Giustizia olandese che i politici del Paese ammettono che non si sono registrati miglioramenti tangibili  per le prostitute. Esse godono generalmente di condizioni di salute peggiori rispetto al passato e un numero sempre più elevato di prostitute è costituito da tossicomani. Secondo le stime della polizia olandese, dal 50% al 90% delle prostitute dei Paesi Bassi non pratica la propria attività volontariamente.
Lodewijk Asscher, del Partito socialdemocratico, ritiene che la legalizzazione della prostituzione sia stata <<un errore nazionale>>. Il governo olandese si prepara ora a rafforzare la legge per combattere l'incremento della tratta e della prostituzione coatta.
I Tedeschi non ci pensano proprio a rivedere la legge. I Verdi, che hanno svolto un ruolo così determinante nel sostenere la legge sulla prostituzione 13 anni fa, non manifestano alcun ripensamento. Un portavoce di Kerstin Müller, che era leader parlamentare del Partito dei Verdi all'epoca, dice che oggi ella è interessata ad altre questioni. Irmingard Schewe-Gerigk, anche lei una deputata di primo piano dei Verdi nel periodo in cui la legge è stata adottata, dichiara: <<La legge era buona. E' vero, invece, che avremmo dovuto applicarla in modo più sistematico>>. Stranamente, la signora Schewe-Gerigk è ora presidentessa dell'organizzazione femminista Terredes Femmes, che mira ad instaurare una <<società senza prostituzione>>.
Il terzo promotore della nuova legge, Volker Beck, continua anche lui a sostenerla oggi. Beck, ex portavoce della politica giuridica del suo partito, chiede, tuttavia, nuovi programmi di sostegno e di abbandono dell'industria [del sesso] da parte delle donne. Ma afferma che la Svezia non può servire da modello per la Germania. <<Un divieto non migliora le cose, perché la prostituzione si svolgerebbe allora in posti difficili da sorvegliare>>, dice, aggiungendo: <<Gangs criminali assumerebbero il controllo dell'industria>>, come se oggi essa fosse nelle mani di rispettabili uomini d'affari.

Dominio dell'illegalità
Qualche sua collega dei Verdi non è d'accordo. <<Gran parte dell'industria è già oggi dominio dell'illegalità>>, dice, per esempio, Thekla Walker di Stoccarda. Presidentessa dell'organizzazione dei Verdi nel suo Land, la signora Walker ha cercato di modificare l'approccio del suo partito alla questione della prostituzione.
<<La prostituta autonoma che immaginavamo noi quando nel 2001 è stata promulgata la legge sulla prostituzione, quella che contratta da pari a pari con il proprio cliente e può soddisfare i propri bisogni con il proprio reddito, costituisce l'eccezione>>, si legge in una mozione che Walker ha presentato nel corso di un'assemblea del partito il mese scorso. Le leggi attuali, prosegue il documento, non proteggono le donne dallo sfruttamento, ma accordano loro <<semplicemente la libertà di farsi sfruttare>>. I Verdi, scrive Walker, non hanno il diritto di chiudere gli occhi dinanzi alle <<catastrofiche condizioni di vita e di lavoro di un gran numero di donne che si prostituiscono>>.
E' però quello che essi hanno fatto. Walker ha ritirato la sua mozione, non avendo la minima chance di ottenere l'approvazione della maggioranza dei Verdi, anche se il partito ha dichiarato che si dovrebbe  valutare l'opportunità di apportare dei miglioramenti alla legge.
In Germania, coloro che sono contrari alla legalizzazione sono considerati <<moralisti>>, spiega la professoressa di diritto Gugel. D'altra parte, aggiunge, lei non ha la sensazione <<che i politici nutrano molto interesse per la questione>>.
In compenso, Kristina Schröder, la Ministra della Famiglia, ha effettivamente tentato di reprimere la tratta e la prostituzione coatta. Tuttavia, <<malgrado sforzi molto intensi, non è stato possibile ottenere l'unanimità dei quattro Ministri interessati>>, ha dichiarato il Ministero della signora Schröder in un comunicato stampa. La sua volontà di regolamentare i bordelli in modo più stringente è naufragata dinnanzi all'opposizione della Ministra della Giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberger. Quest'ultima considera qualsiasi riforma della legge inutile e ripete il vecchio argomento, ossia che la legge tedesca permette alle donne di uscire dall'illegalità, mentre la legge svedese le obbliga a lavorare in nero.
Considerato tale disaccordo, sarebbe un miracolo se il governo pervenisse ad una decisione che consentisse di tutelare più efficacemente le vittime della tratta. Altrimenti le donne dovranno continuare ad arrangiarsi da sole.

E' tutto legale
Alina di Sânandrei è riuscita a fuggire dal bordello "Le fighe dell'aeroporto". Durante un controllo della polizia, lei e altre dieci donne si sono rifugiate in un ristorante turco del quartiere. Il fratello del proprietario, che era un cliente, ha nascosto le donne e ha affittato un pullman a proprie spese. Poi ha cercato di farle arrivare in Romania. I magnaccia hanno tentato di fermare il pullman, ma le donne sono riuscite a fuggire.
Alina è ritornata a vivere con i suoi genitori. Non ha raccontato loro quel che ha vissuto. Lavora, ma non vuol dire che lavoro faccia. Il  salario, dice, la basta per acquistare i biglietti del bus, gli abiti e qualche cosmetico.
Alina si reca talvolta presso l'AIDRom, un centro di consulenza per le vittime di tratta, sito nella città romena di Timisoara Ovest, dove parla con la psicologa Georgiana Palcu, che cerca di trovarle un posto da apprendista parrucchiera o cuoca. Palcu spiega che le conversazioni con le giovani donne che sono ritornate dalla Germania <<sono molto lunghe e difficili>>.  Lei le incoraggia ad essere ottimiste. Ma non si fa illusioni. Anche se una ragazza riesce ad ottenere un posto da apprendista, non accetterà probabilmente l'impiego, perché  queste attività non offrono più di 200  euro al mese, per un lavoro che dura 40 ore alla settimana. Di conseguenza, dice Palcu, molte di quelle che sono ritornate dalla Germania dopo essere state maltrattate, lavorano di nuovo come prostitute. <<Che posso dire loro?>> chiede. <<E' la realtà. Non si può vivere con 200 euro>>.
"Le fighe dell'aeroporto", il bordello di Schönefeld, non esiste più. E' stato sostituito dal "Club Erotica" che non offre tariffe forfettarie. Ma i clienti  possono godere di molte altre opportunità nella regione. A qualche chilometro di distanza, a Schöneberg, il King George ha adottato la formula del prezzo forfettario. Il suo gestore  promuove il proprio locale con lo slogan "Geiz mach Geil" "L'avarizia vi rende ciechi". Per 99 euro, i clienti possono abbuffarsi di sesso e di alcool fino all'ora di chiusura del locale. Il sesso anale, il sesso orale non protetto e i baci con la lingua si pagano a parte. E il King George propone un "gang-bang party" tutti i lunedì, i mercoledì e i venerdì.
E' tutto legale.



 



sabato 13 luglio 2013

Non mi riguarda

Da quando mi occupo del tema della tratta e dell'industria della prostituzione mi è stata spesso rivolta l'osservazione: perché non taci e fai che ne parlino le dirette interessate? Sono senz'altro d'accordo sull'importanza fondamentale di ascoltare chi ha vissuto o vive questa esperienza, per me è importantissimo e lo faccio ogni volta che posso. Ciò che scrivo sul blog è una milionesima parte di ciò che vivo fuori, perché mi manca il tempo materiale di aggiornare queste pagine.

Quando posso vinco il pudore della forzatura, del rischio di usare male cose preziose e lascio la parola a testi delle donne coinvolte, in particolare modo a quelle che denunciano l'industria, gli abusi, la tratta, i trafficanti, la violenza. Perché queste ultime è più difficile che possano riuscire a parlare, perché sono quelle che già con grande difficoltà ne sono uscite, perché magari non trovano neanche le parole per raccontare la loro esperienza, perché  raccontare è rivivere la violenza, perché per tanto tempo è risuonato loro in testa il linguaggio degli sfruttatori (a volte loro ex partner), perché si trovano in un paese straniero di cui non conoscono la lingua, perché già uscirne è stata una sfida a una mafia che non perdona, perché le persone sono incredule di quanto loro hanno vissuto, perché le giudicano o le compatiscono... Come femminista sto con loro più che con ogni altra donna, con quelle coraggiose che denunciano e parlano anche se sanno che il magnaccia è vendicativo e che il proprietario del bordello o l'agente ha conoscenze importanti, con quelle che non parlano perché hanno paura o perché tanto nessuno capirebbe la loro intricata vicenda, con quelle a cui è stato insegnato a sentirsi in colpa, con quelle che si sono rassegnate ma non per questo sono felici e che ce l'hanno col mondo, con quelle che aiutano le loro sorelle diventando attiviste.. 

Del silenzio di tante donne si nutre la leggenda ormai invasiva ed egemone sul fatto che al di là delle vittime di tratta (che peraltro sono sempre meno nell'immaginario della gente, qualcuno pensa che siano tali solo le donne rapite contro la loro volontà!) e dei problemi relativi all'illegalità dei bordelli, la prostituzione sia sempre un vissuto facile, un lavoro come un altro ben pagato e conveniente o addirittura una forma di trasgressione e liberazione per le donne. Così mi scrivono lettori clienti su questo blog, così scrivono i clienti di tutto il mondo sui loro siti, così pensa la gente comune che sistematicamente disprezza le donne in prostituzione mentre fa finta di occuparsi dei loro diritti prospettando la riapertura dei bordelli legali, così scrivono i giornali parlando con leggerezza di prostituzione studentesca e di "giri di squillo". A volte verrebbe quasi da chiedersi perché ci affanniamo in lavori malpagati se esiste una prospettiva così "naturale" per noi donne "non moraliste" e "senza problemi col sesso". Torna a essere concepito come natura della donna la sessualità di servizio, fatta senza attrazione, il Medioevo, insomma, travestito da "desacralizzazione del sesso" e "liberazione sessuale".

Cerco di capire soprattutto come è fatta l'industria, di studiare le situazioni dei vari paesi, di conoscere, ascoltare tante voci, non so quando e se riuscirò a capire la verità su questo tema. Una cosa è certa: sento nel profondo che questo tema non va ignorato, che mi riguarda profondamente come donna. Mi riguarda perché ogni giorno vedo sotto casa delle ragazze in strada dell'Est Europa verso cui sento empatia, perché so che solo per un caso fortuito non sto al loro posto, perché non mi pare normale che un pappone in auto se ne stia indisturbato più avanti e un uomo "perbene" contratti con una ragazza palesemente minorenne, perché preferisco comunque poterle vedere che saperle nascoste da qualche parte, perché alcune ex vittime di tratta sono mie amiche e non parlo mai con loro di queste cose, perché ho avuto paura una volta che sono stata inseguita da un auto con un uomo che chiedeva che prezzo facessi, perché se oggi stessi senza poter mangiare come mi accadde venti anni fa, dando ascolto ai media potrei pensare che non ci sarebbe alcuna ragione per non prostituirmi e nessun rischio psicofisico nel farlo, perché per molti uomini che frequento essere desiderati dalla donna con cui fanno sesso è un optional...

 La crescita dell'industria del sesso ci riguarda tutti e tutte, visto anche che i governi tagliano sempre più la spesa sociale e i paesi indebitati e strozzati dall'FMI (e ora dalla BCE) tendono a svendere a pezzi l'economia e a togliere il futuro ai giovani. Gli studenti sono condannati al prestito d'onore, indebitati già da piccoli e si permettono di proporre loro impunemente la prostituzione come opzione praticabile per pagarsi le tasse (vedi siti di sugar daddie/sugar babies). Verrà un giorno che chiederemo lavoro e a noi donne specialmente offriranno prostituzione. Ci starà bene? In molti paesi questo giorno è già arrivato, visto che la prostituzione si tramanda di madre in figlia come destino familiare, visto che le famiglie vendono spesso le figlie più belle ai trafficanti. Noi siamo ancora qui a dibattere della scelta, quando forse questo già si prospetta come il nuovo destino di massa delle donne. (nella foto Dennis Hof, proprietario del più grande bordello legale in Nevada, che scherza con la parola "pimp" proponendosi per la campagna elettorale di Ron Paul alla presidenza americana).

venerdì 14 giugno 2013

L'ordine neoliberista, il tabù della vittima e l'occultamento delle ingiustizie

Per la rubrica opinioni, riporto la traduzione di Maria Rossi, che ringrazio,  di alcuni brani del recente libro della giovane femminista e anarchica svedese Kajsa Ekis Ekman (nella foto), tradotto in francese col titolo "L’être et la marchandise. Prostitution, maternité de substitution et dissociation de soi."
E' un punto di vista originale il suo e che richiama l'attenzione sulle insidie di una errata e tendenziosa lettura della parola  "vittima" come di persona passiva, oggetto e non soggetto, che ha reso questa parola - di tutt'altro significato - un vero e proprio tabù.
 In una società basata sul paradigma neoliberista che promuove sempre più profonde disuguaglianze di classe, di genere, di etnia, ecc.. , proteso a conservare tenacemente l'ordine sociale basato sul privilegio di pochi -  si tende sempre più ad occultare le ingiustizie strutturali, assolvendo gli oppressori e finendo per ridurre persino le oppressioni più crudeli a libera scelta di soggettività atomizzate. Scomparsa la vittima, scomparso l'aggressore, scomparsa l'ingiustizia, fino ad arrivare a risvolti estremamente inquietanti..

--------

La vittima e il soggetto
Al centro del mito del lavoro sessuale, c'è  un'espressione affascinante: la venditrice di sesso non è una vittima, ma una personalità forte che sa quel che fa. Quando una persona cerca di dimostrare quanto sia dannosa la prostituzione, viene investita da una prorompente risposta: le sex workers sono persone forti e attive, non vittime!
[...] E' sempre più frequente la celebrazione del soggetto forte e attivo contrapposto alla vittima debole e passiva.
[...] Con questa opposizione tra vittima e soggetto, il discorso favorevole al lavoro sessuale cerca di  creare la propria rappresentazione della situazione. Questa rappresentazione presume che, fino ad oggi, la società abbia considerato le prostitute vittime senza difesa, mentre attualmente si sia cominciato ad ascoltare le stesse venditrici di sesso e a scoprire che esse sono, al contrario, forti individualità che hanno scelto liberamente di vendere sesso. Questa concezione è ripetuta così spesso, oggi, da essere diventata una verità in certi ambienti, cancellando per ciò stesso l'obbligo di discutere di questioni come queste: chi pensa che le prostitute siano delle vittime, cos'è una vittima e che cosa differenzia una donna forte da una debole?

Sopprimere la nozione di vittima
Definire le prostitute persone forti è un'idea che si è  parecchio radicalizzata nel dibattito internazionale sul lavoro sessuale. Jo Doezema, che appartiene al gruppo di pressione "Network of Sex Work Projects", ritiene che dovremmo sopprimere totalmente l'idea della vulnerabilità del soggetto [...]

Piano inclinato: l'indipendenza
All'inizio, il discorso favorevole al lavoro sessuale era piuttosto moderato. Ciò che ha posto fortemente in luce Östergren parlando esclusivamente, a proposito di prostituzione, di adulti consenzienti; la nozione di <<lavoro sessuale>> escludeva allora i bambini o le vittime della tratta a scopo di prostituzione. Analogamente, Maria Abrahamsson scriveva sul giornale Svenska Dagbladet:

Davvero, non comprendo come si possano mettere sullo stesso piano le persone che vendono liberamente sesso e quelle infelici che, a causa della povertà o delle ridotte capacità intellettuali, cadono nelle grinfie di chi le sfrutta cinicamente.

Qui, alcune persone hanno il diritto di essere qualificate vittime, ma solo se sono passive o stupide. Per contro, le persone attive e consapevoli della propria scelta non possono, a quanto pare, subire un simile affronto. La tratta a fini di sfruttamento sessuale e la prostituzione infantile sono utilizzate come ricettacoli, come pattumiere di tutto ciò che spaventa nella prostituzione - di ciò che tutti possono rifiutare senza difficoltà: la coercizione, la povertà e la labilità mentale. Una volta che ci sia sbarazzati di tutto questo, si potrà discutere di una prostituzione nazionale normalizzata, senza spazzatura, composta esclusivamente da imprenditrici del sesso indipendenti.

La tratta degli esseri umani
Tuttavia, nei Paesi dove l'idea della legalizzazione della prostituzione si è materializzata, i confini tra la prostituzione degli adulti, quella dei bambini e quella delle vittime della tratta hanno cominciato  a diventare porosi. Una volta affermata l'idea di una prostituzione ben gestita, si può anche pulire la pattumiera, affinché la tratta a scopo di prostituzione sembri un mito. La sociologa Laura Augustìn, legata al gruppo di pressione "Network of Sex Work Projects" , ha impiegato questo tipo di detersivo. Ha scritto diversi libri che descrivono la tratta degli esseri umani come un mito mediatico. Collabora anche al quotidiano The Guardian, ove pubblica articoli su questo argomento, in alternanza con altri su donne forti che <<hanno scelto liberamente>> di portare il burqa. Tuttavia, Augustìn insiste soprattutto sull'idea che sia necessario smettere di parlare della tratta degli esseri umani, perché ciò significa <<vittimizzare>> le persone. Conseguentemente, ella ribattezza le vittime della tratta a scopo di prostituzione <<sex workers migranti>>, ritenendo che la donna che ha vissuto la tratta  sia stata, in fondo, fortunata:

Lavora nei club, nei bordelli, nei bar e negli appartamenti multiculturali dove si parlano molte lingue. [...] Per quelle che vendono servizi sessuali, gli ambienti nei quali vivono sono luoghi di lavoro dove molte ore sono consacrate all'incontro con altre persone che esercitano la stessa attività, alla conversazione,  alle bevute con le colleghe, così come con i clienti e con gli altri impiegati dei locali come i cuochi, i camerieri, i commessi,  i portieri, alcuni dei quali dimorano lì, mentre altri vi si trovano per lavoro. Trascorrere la maggior parte del tempo in tali ambienti è un'esperienza che crea soggetti cosmopoliti, almeno nel caso in cui le persone siano capaci di adattarvisi. Per definizione, ciò genera una relazione particolare con l'ambiente. Questi cosmopoliti ritengono che il mondo appartenga a loro, che non  sia che un luogo  da abitare.

L'immagine della vittima della tratta a fini di prostituzione è dunque quella di una persona che banchetta con i benestanti, frequenta i locali notturni in diverse metropoli e forse dà, occasionalmente, una toccatina  ai clienti dietro il bancone del bar. E' felice e   un'impressione di agiatezza. E' interessante notare che non figura da nessuna parte nella descrizione di questo ambiente <<lussuoso>> in che cosa consista in realtà questo <<lavoro>>.

I bambini
Abbiamo imboccato una strada nella quale anche i bambini sono percepiti sempre di meno come vittime. In un contributo all'antologia Global Sex Workers, Heather Montgomery, un'antropologa sociale, si  applica  a problematizzare l'immagine dei bambini presentati solo come vittime della prostituzione. Ella ha effettuato delle ricerche in un villaggio tailandese e pensa di aver scoperto qualcosa   che contrasta con  l'immagine dei bambini sfruttati. Montgomery comincia con il constatare che si tratta di un villaggio povero <<senza acqua corrente, con un accesso sporadico all'elettricità>>, che sorge vicino a una località turistica. In questo villaggio vivono 65 bambine di età inferiore ai 15 anni, almeno 40 delle quali <<hanno lavorato, in un momento o nell'altro della loro vita, come prostitute>>.  Mentre i media affermano spesso che la prostituzione infantile è <<un flagello che bisogna eliminare ad ogni costo>>, Montgomery vuole offrire un'altra interpretazione di queste bambine: esse sarebbero soggetti attivi e razionali.

Tuttavia, queste bambine rifiutano categoricamente di essere considerate vittime. [...] Le bambine che ho imparato a conoscere provavano << il sentimento di avere un potere di decisione e di controllo>> e, togliergli questo, significherebbe negare il loro modo intelligente di utilizzare il poco controllo che possiedono effettivamente. La ricerca di bambini vittime di sevizie cancella talvolta il riconoscimento della loro capacità di agire.

Montgomery critica le persone che pretendono che tutte le bambine prostituite siano <<sessualmente sfruttate>>. Ella afferma che, anche se le bambine non amano la prostituzione, hanno sviluppato dei modi per gestirla  nella maniera migliore:

Nessuna bambina apprezzava il fatto di essere una prostituta, ma tutte avevano sviluppato delle strategie che consentivano loro di comprenderla e di accettarla. Avevano trovato un sistema etico. Così la vendita del loro corpo non influenzava il loro sentimento personale di umanità e di integrità.

La prostituzione non influenza, dunque, le bambine tailandesi nel modo che si potrebbe credere, spiega Montgomery. Il segreto sta nel non paragonarle alle bambine occidentali [...] In Thailandia, sostiene la studiosa, il rapporto tra sessualità ed identità non è forte come in Occidente. E' la ragione per la quale noi non possiamo essere sicuri che il danno causato alle bambine di questo Paese sia altrettanto grave di quello che colpisce le bambine occidentali. Che le bambine abbiano molti modi di sfuggire alla loro identità di prostitute, parlando degli acquirenti del sesso come dei loro <<amici>> e non menzionando la prostituzione, ma dicendo di <<avere degli ospiti>> o di <<divertirsi con degli stranieri>>, dimostra per Montgomery che la prostituzione non costituisce un elemento centrale della loro costruzione identitaria. Non si può dunque affermare con certezza che essa altera la loro identità. L'altro elemento positivo, secondo lei, è il fatto che le bambine più grandi diventino madame (magnaccia) delle più giovani [...]
Pare che non ci sia modo per una bambina prostituita tailandese di comportarsi in maniera tale  da impedire a Montgomery di vedere in lei un soggetto attivo.

L'essere invulnerabile
Perché questo timore della vittima? Perché è così importante affermare che le prostitute non sono in alcun caso delle vittime?
Come tutti i sistemi che accettano le diseguaglianze, l'ordine neoliberista detesta le vittime. Parlare di un essere umano senza difese, di un essere vulnerabile, presuppone in effetti che sia necessario instaurare una società giusta e afferma  il bisogno di una protezione sociale. Rendere tabu la nozione di vittima è un passo necessario alla legittimazione della barriera che separa le classi sociali e i sessi. Questo processo è costituito da due fasi.
In primo luogo, bisogna affermare che la vittima è, per definizione, una persona debole, passiva ed impotente. Poiché le persone vulnerabili sono, nonostante tutto, combattive e sviluppano numerose strategie per dominare la situazione, <<si scopre>> che l'idea che ci è fatti della vittima è sbagliata. La persona vulnerabile non è passiva, al contrario! Quindi, ci dicono, bisogna abolire la nozione di vittima. Di conseguenza, noi dobbiamo accettare l'ordine sociale - la prostituzione, la società divisa in classi, le diseguaglianze - se non vogliamo etichettare le persone come esseri passivi e impotenti.
C'è qualcosa di bizzarro in questa definizione della vittima. Secondo il Glossario dell'Accademia svedese, una vittima è <<qualcuno o qualche cosa che diventa  un bersaglio per qualcun altro o per qualcos'altro>> o che <<subisce qualcosa>>. Ciò significa, quindi, che una persona è vittima di qualcuno o di qualcosa.  Ma nulla qua si dice del carattere della vittima - si tratta soltanto di ciò  che una persona subisce da parte di qualcuno, qualcuno che la picchia, la stupra, è violento o la sfrutta in un modo o nell'altro.
Tuttavia, la definizione neoliberista della vittima  fa riferimento ormai al fatto che  essa sia un tratto del carattere. Essere vittima significa essere una persona debole. Noi siamo o vittime passive o soggetti attivi. Non si può essere contemporaneamente l'una e l'altro.
[...] In fondo, se non ci sono vittime, non ci possono essere neppure aggressori. Così, in un modo al contempo molto comodo e inavvertibile, coloro che non vengono mai menzionati - gli uomini- vengono discolpati. Negli scritti di Augustìn, Dodillet e Montgomery, gli uomini sono come ombre sul muro, come figuranti, che appaiono di sfuggita, ma che, miracolosamente, vedono finalmente legittimati tutti i loro desideri. Mentre ci si concentra sulle donne e sui bambini - che sono studiati, intervistati, computati e descritti -, nello stesso tempo non si rivolge alcuna domanda agli uomini. Nemmeno la più importante di tutte: perché fate questo?
La frase << è un soggetto, non una vittima>> non è di moda soltanto nel dibattito sulla prostituzione. Noi la sentiamo ripetere in numerose occasioni, si propaga nell'atmosfera come i ciuffi di peli del tarassaco e mette radici dappertutto. Nel discorso  concernente le persone che si trovano in una condizione di vulnerabilità, viene incessantemente replicata l'espressione: sono soggetti, non vittime....
[...] Dobbiamo confrontarci quasi tutti i giorni con una retorica che dipinge la condizione della vittima come qualcosa che ha a che fare con il suo comportamento. La si giudica e la si esorta a non essere vittima! E' orribile essere una vittima! La nozione di vittima è   intesa come un'identità, alla quale è associata una moltitudine di caratteri detestabili che si dovrebbero rifuggire. La dottrina dell'essere invulnerabile diventa così un imperativo categorico che definisce la condizione dell'individuo liberale e responsabile. Per definizione,  qualsiasi cosa facciamo, dobbiamo vederci come esseri forti ed attivi. I disoccupati e le disoccupate, gli ammalati, i rifugiati- nessuno deve essere percepito o considerato vittima!
[...] L'opposizione tra soggetto e vittima è al contempo asimmetrica e sbagliata [...] Con ogni evidenza, il contrario di "soggetto" non è "vittima", ma "oggetto". E il contrario di "vittima" non è "soggetto", ma "aggressore". In effetti, l'opposizione soggetto-vittima esprime l'idea che la vittima sia un oggetto. Di conseguenza, la persona che diventa una vittima non è più un essere umano che pensa, nutre dei sentimenti ed agisce. Questa falsa opposizione rivela un abissale disprezzo per qualsiasi forma di debolezza. 

Kajsa Ekis Ekman