domenica 29 gennaio 2012

Lettere da un altro pianeta - 1


Utopia a volte chiamiamo ciò che ci sembra di un altro pianeta soltanto perché non osiamo dare corpo al sogno, dentro di noi, in quello che siamo, giorno per giorno.
Dire ad alta voce oggi un'altra realtà può aiutarci
a far nascere il cambiamento, domani..


Cara Valentina,

ho letto ciò che scrivi nel blog e i materiali che mi hai mandato e ti confesso di essere rimasto abbastanza stupito e di aver poco compreso una realtà troppo lontana da quella del mio pianeta. Penso che da voi forse il primo problema sia che maschi e femmine non sono in condizioni di parità , ma ci sono delle discriminazioni sociali, culturali, economiche, degli stereotipi che vi trattengono in ruoli decisi dall'alto. Scusa se te lo dico: ma vi vedo un po' rassegnati, come fate ad accettare una forma di dittatura del pensiero che vi ingabbia fin da bambini decidendo come dovete comportarvi o che addirittura vi discrimina come cittadini in base alla vostra sessualità? Noi su Xedox siamo lasciati liberi, maschi, femmine e di ogni identità e orientamento sessuale di essere come siamo, persone innanzitutto, ognuna con le sue inclinazioni. Una cosa voglio dirti che mi ha ricordato quando tu parlavi dei "parchi dell'amore": da noi questi parchi ci sono, ma non si vendono prestazioni sessuali, bensì sono pezzi di bosco dati in uso temporaneo per una mezza giornata a coppie di ogni età, sesso e orientamento sessuale che desiderano passare qualche ora insieme in uno scenario naturale. Oppure spiagge al mare adibite allo stesso modo. Inoltre, ci sono gli alberghi del sesso, forniti di idromassaggi, saune, piscine, luci e musiche soffuse, ecc.. tutto ciò che gli amanti di una volta o di una vita possano desiderare. I prezzi sono anche buoni, perché l'armonia sessuale della gente è considerata importantissima. Sei sicura che da voi non ci sia niente del genere che non sia destinato al sesso a pagamento? Mi sembra davvero pazzesco! Vedi, da noi non esiste questa cosa di pagare, innanzitutto perché qua non c'è nessuno che non voglia sentirsi desiderato o desiderata dall'altro, che brutto sarebbe! Il massimo su cui interviene lo stato è organizzare corsi fin dalle scuole di educazione alla sessualità, per rispondere ai dubbi che sorgono a bimbi e adolescenti e per la salute sessuale e riproduttiva. Tu mi chiedevi dell'educazione alla parità di genere, ma qui non l'abbiamo mai avuta perché non ci sono questi problemi. Sì, anche noi abbiamo alcuni paesi più poveri, in cui la gente vive peggio e stiamo occupandoci di porvi rimedio. Ma non ci sono queste altre differenze, tipo quelle dei sessi, né paesi in totale miseria come mi dici tu che vengono sfruttati sistematicamente da quelli ricchi. Non siamo perfetti, ovvio: c'è chi ha un carattere difficile, problemi di relazione e si cerca di aiutarli - se vogliono - con uno sportello nelle scuole già dalla prima infanzia. Si dà importanza al fatto che la gente non soffra perché magari resta sola. Sui film che dicevi, guarda: da noi non andrebbero di moda se ci fossero, perché guarda che la sessualità da noi è sentita espressione della libertà individuale. Non è che c'è qualcuno che deve dirmi cosa devo fare o come devo comportarmi o addirittura come deve essere il mio corpo. Noi abbiamo molta fantasia e siamo liberi, senza ruoli prestabiliti. Voi mi sembrate invece come dei sudditi del pensiero. Fate qualcosa, al più presto. Cercate di capire chi e perché vuole mantenervi così. Se fosse possibile ti inviterei qui su Xedox, col tuo amante e compagno, immagino che una vacanza qua possa davvero piacervi. Ma anche la nostra tecnologia ancora non lo consente.

A presto.

Tuo,
Ramon

venerdì 27 gennaio 2012

28 gennaio 2012: Boicotta OMSA oggi e sempre...se licenzia

La OMSA nel dicembre scorso ha comunicato l'imminente licenziamento delle 239 operaie dello stabilimento di Faenza, per una ragione di mero massimo profitto: delocalizzare in Serbia dove notoriamente le condizioni del lavoro sono schiavistiche.
In solidarietà alle operaie e contro il lavoro schiavistico, con il mio blog ho aderito al seguente appello per un'azione concreta che copio e incollo dal sito del Laboratorio Sguardi sui Generis:

Appello per un'azione di solidarietà concreta

Dal 2010 ormai prosegue la vertenza delle operaie dello stabilimento della Omsa di Faenza, minacciate di perdere il lavoro per una delocalizzazione della produzione che nulla ha a che vedere con la crisi e tutto ha a che fare con il profitto; la vigilia di Capodanno il gruppo GoldenLady ha comunicato alle 239 lavoratrici ancora occupate che il 12 marzo 2012, alla fine della cassa integrazione, saranno licenziate.
La perdita di qualsiasi scrupolo da parte dell'azienda ha sollevato la giusta indignazione di molti/e, decis* a solidarizzare con la lotta di queste lavoratrici. Da tempo è partita una campagna di boicottaggio dei prodotti del gruppo che, anche grazie ai social media, sta raggiungendo un notevole livello di diffusione.
Come donne, collettivi e realtà autorganizzate vogliamo diffondere un appello per un'iniziativa congiunta in tutte le città italiane Sabato 28 Gennaio.
Con volantinaggi, striscioni, musica, presidi, flash mob ed ogni altro strumento utile, proponiamo una giornata di informazione e boicottaggio attivo di fronte ai punti vendita del gruppo GoldenLady (Golden Point).
Nel pieno dei saldi, quando all'azienda farebbe gola vendere il più possibile, vogliamo stare nelle strade per ricordare a chi pensa solo al proprio profitto che le scelte di produzione non possono passare sopra le nostre vite.
Diffondiamo questo appello a tutte le realtà organizzate, femministe e non, e alle singole persone che desiderano impegnarsi per dimostrare solidarietà concreta a questa lotta.

Piuttosto che vestire sfruttamento,
le calze ce le disegneremo sul corpo!

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Boicotta anche i seguenti marchi appartenenti ad Omsa:

Philippe Matignon

Sisi

Hue Donna

Hue Uomo

Saltallegro

Saltallegro bebé

Golden Lady


giovedì 19 gennaio 2012

Storie di ponte e di frontiere


Ho notato, da quando ho deciso di occuparmi dei temi di questo blog, che una delle difficoltà maggiori nel capirci qualcosa è data dal fatto che chi più conosce la realtà dei fatti spesso ha ben poco tempo per raccontarla e per esprimere le sue opinioni su internet o nei libri. Chi ha tanto tempo, al contrario, non opera nel concreto e quindi per quanto magari giornalista preparato e acuto possa essere, gli manca la conoscenza diretta, indispensabile per temi così complessi e sostanzialmente ignorati dai media mainstream.

Questo libro a cura di Oria Gargano è una delle eccezioni che pure per fortuna esistono, perché nasce dalla concreta esperienza dello Sportello di consulenza e assistenza tenuto dalla Cooperativa sociale Be Free per le donne detenute nel CIE di Ponte Galeria a Roma. Lo scopo dichiarato nell'introduzione di questo libro è proprio quello di far conoscere questa esperienza che "ci appare sempre di più come un patrimonio del quale non vogliamo e non dobbiamo essere le uniche depositarie".

Il libro offre una parte in cui spiega cosa è e da dove nasce un CIE, mostrando con ottima sintesi come è evoluto - o meglio involuto - il panorama normativo italiano dal testo unico sull'immigrazione (decreto legge Turco-Napolitano 286/1998) fino alla legge Bossi-Fini (189/2002) e al cosiddetto pacchetto sicurezza (legge 94/2009) che introduce il reato di clandestinità e la detenzione nei CIE fino a sei mesi.

Colpisce enormemenete il contrasto tra questa normativa di tipo repressivo, le violazioni di diritti umani che avvengono nei CIE e il dato di fatto che la maggior parte delle donne lì detenute dovrebbe invece essere aiutata in quanto "vittime di molti reati, definiti dalla Corte Penale Internazionale nel suo Statuto approvato nel 1998, crimine contro l'umanità: omicidio, sterminio, riduzione in schiavitù, tortura, stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata ed altre forme di violenza sessuale di analoga gravità". La maggior parte delle donne detenute nei CIE di fatto è vittima di tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo. Queste donne si trovano spaesate, non capiscono perché sono detenute senza aver compiuto alcun reato, ma avendone invece subìti: "è difficile capire che il tuo non avere il permesso di soggiorno e neanche i documenti è una colpa così grave, soprattutto quando - circostanza che accomuna circa i due terzi delle donne che vi sono trattenute - il passaporto te lo hanno levato i tuoi sfruttatori, insieme alla libertà e alla dignità".

L'unica strada per evitare l'esplusione è offerta dai percorsi per il diritto d'asilo o da quelli previsti dall'art. 18 del Testo unico sull'immigrazione (permesso di soggiorno di sei mesi per le vittime di tratta che denunciano i propri sfruttatori). Le operatrici dello Sportello di Be free, supportano, con competenza e adottando un'ottica di genere, le donne per aiutarle a inserirsi in uno di questi percorsi, operando fondamentali sinergie con diverse realtà associative e istituzionali, pur tra mille problemi. Le ragazze hanno grandissima difficoltà a sporgere una denuncia, sono spesso controllate dagli sfruttatori anche all'interno del CIE e ricevono minacce e ritorsioni concrete contro le famiglie. Se nonostante tutto denunciano coraggiosamente, spesso trovano poca comprensione, mancanza di preparazione degli operatori o mancanza di mediatori culturali e rischiano di essere espulse ugualmente, incontrando nei loro paesi stigmatizzazione, emarginazione e finendo spesso per essere trafficate nuovamente.

Le donne presenti nel CIE di Ponte Galeria e incontrate dalle operatrici di BeFree sono di diverse nazionalità: Nigeria, Cina, ex Jugoslavia, paesi maghrebini, Albania, America latina e in piccola parte dell'exURSS, rumene o bulgare trovate senza documenti al momento del fermo e portate nei CIE nonostante siano cittadine comunitarie. La maggior parte delle donne vittime di tratta per sfruttamento sessuale nel CIE di Ponte Galeria è nigeriana (ma ci sono anche brasiliane, rumene, cinesi, russe, donne provenienti dalla ex Jugoslavia).

E' sulla tratta delle nigeriane che il libro ci offre un importante approfondimento, contenendo anche una lettera di Isoke Aikpitanyi scritta espressamente per BeFree - in cui è spiegato il contesto difficile di sottomissione e discriminazione che vivono le donne in Nigeria fino a venire in occidente e "non entrare però in una realtà di più diritti per le donne e più benessere, ma solo nella realtà dove tutto ha un prezzo e si compera, anche il sesso".

Oltre a un esame della situazione della Nigeria - paese devastato dalla rapina effettuata dalla grandi compagnie petrolifere occidentali come Agip e Shell - c'è poi un importantissimo dossier che contiene informazioni dettagliate sul traffico di donne nigeriane attraverso la Libia, così come ricostruito dalle operatrici di Be Free nei colloqui con le donne incontrate nel CIE. Be Free chiede espressamente una estensione dell'art. 18 per i casi in cui le donne siano state sfruttate sessualmente nei bordelli libici e trafficate attraverso questo paese, pur se ancora non sfruttate nel territorio italiano, così come previsto dai più recenti protocolli internazionali antitratta che prevedono una nozione e un intervento coordinato transnazionale sul traffico di esseri umani.

Leggendo il dossier (che si può anche scaricare dal sito di Be Free) si percepisce bene la complessità di una vera organizzazione criminale transnazionale con molteplici figure che ricoprono altrettanti ruoli nel sistema, oltre a conoscere nei dettagli l'immane tragedia della pericolosissima deportazione attraverso il deserto. Come il cimitero a cielo aperto a metà strada tra Dirkou e Tumu in Niger, dove sono sepolte senza nome un centinaio di persone morte nel Sahara.

Potete ordinare il libro direttamente scrivendo a Be Free (così ho fatto io) o su IBS.

giovedì 5 gennaio 2012

The Nigerian connection

Segnalo un importante documentario in due parti trasmesso dalla tv AlJazeera sulla tratta delle nigeriane in Italia.
Il documentario è in inglese, ma comprensibile nelle grandi linee anche da chi non conosce bene la lingua. Inoltre ci sono interviste in italiano alla polizia di Castelvolturno e soprattutto a Isoke Aikpitanyi.
La prima parte è ambientata in Italia, in particolare sulla Domiziana, nel comune di Castelvolturno, dove domina il clan camorristico dei casalesi che lucra sull'affare della tratta a scopi prostituzionali gestita dalla mafia nigeriana. Castelvolturno è tristemente noto anche per la strage del 2008 compiuta dai casalesi ai danni di immigrati non coinvolti nel crimine, come avvertimento su un'intera comunità. Della situazione delle nigeriane a Castelvolturno parla diffusamente anche suor Eugenia Bonetti nel libro "Schiave", su cui mi soffermerò in uno dei prossimi post.
La seconda parte del documentario è ambientata in Nigeria e lì si può vedere chiaramente il contesto in cui vivono le ragazze di Benin City, nell'Edo State, e come funziona il reclutamento e l'assoggettamento al rito wodoo, con cui le ragazze vengono tenute in una continua situazione di sottomissione psicologica per la paura di morire o perdere la famiglia, nel caso di disobbedienza alla "maman".
Più delle parole, l'immersione in queste immagini può aiutarci a capire questo crimine contro le donne che si consuma ogni giorno nel nostro paese nell'indifferenza generale e da cui indirettamente trae profitti anche il nostro capitalismo, tramite il riciclaggio di denaro e la forte commistione tra mafia e affari "puliti" che caratterizza la nostra economia.
Prima di postare i video, voglio solo ricordare di acquistare e far acquistare i due libri di Isoke Aikpitanyi "500 storie vere" e "Le ragazze di Benin City". Oltre ad essere dei fondamentali documenti-denuncia, il loro acquisto contribuisce concretamente ai progetti di Isoke volti a sostenere le ragazze e ad aiutarle a uscire dalla tratta.