sabato 26 novembre 2011

25 novembre

Per la giornata del 25 novembre pubblico questo importante appello per la liberazione di Adama, donna senegalese rinchiusa in un CIE solo perché da immigrata clandestina ha denunciato lo stupro subito dal suo ex compagno.
Perché il 25 novembre in Italia non sia solo la giornata contro la violenza verso le donne italiane ma verso tutte le donne.


APPELLO PER ADAMA: UNA STORIA, MOLTE VIOLENZE

Per adesioni: migranda2011@gmail.com

Adama è una donna e una migrante. Mentre scriviamo, Adama è rinchiusa nel CIE di Bologna. È rinchiusa in via Mattei dal 26 agosto, quando ha chiamato i carabinieri di Forlì dopo essere stata derubata, picchiata, stuprata e ferita alla gola con un coltello dal suo ex-compagno. Le istituzioni hanno risposto alla sua richiesta di aiuto con la detenzione amministrativa riservata ai migranti che non hanno un regolare permesso di soggiorno. La sua storia non ha avuto alcuna importanza per loro. La sua storia – che racconta di una doppia violenza subita come donna e come migrante – ha molta importanza per noi.

Secondo la legge Bossi-Fini Adama è arrivata in Italia illegalmente. Per noi è arrivata in Italia coraggiosamente, per dare ai propri figli rimasti in Senegal una vita più dignitosa. Ha trovato lavoro e una casa tramite lo stesso uomo che prima l’ha aiutata e protetta, diventando il suo compagno, e si è poi trasformato in un aguzzino. Un uomo abile a usare la legge Bossi-Fini come ricatto. Per quattro anni, quest’uomo ha minacciato Adama di denunciarla e farla espellere dal paese se lei non avesse accettato ogni suo arbitrio. Per quattro anni l’ha derubata di parte del suo salario, usando la clandestinità di Adama come arma in suo potere.

Quando Adama ha dovuto rivolgersi alle forze dell’ordine, l’unica risposta è stata la detenzione nel buco nero di un centro di identificazione e di espulsione nel quale potrebbe restare ancora per mesi. L’avvocato di Adama ha presentato il 16 settembre una richiesta di entrare nel CIE accompagnato da medici e da un interprete, affinché le sue condizioni di salute fossero accertate e la sua denuncia per la violenza subita fosse raccolta. La Prefettura di Bologna ha autorizzato l’ingresso dei medici e dell’interprete il 25 ottobre. È trascorso più di un mese prima che Adama potesse finalmente denunciare il suo aggressore, e non sappiamo quanto tempo occorrerà perché possa riottenere la libertà.

Sappiamo però che ogni giorno è un giorno di troppo. Sappiamo che la violenza che Adama ha subito, come donna e come migrante, riguarda tutte le donne e non è perciò possibile lasciar trascorrere un momento di più. Il CIE è solo l’espressione più feroce e violenta di una legge, la Bossi-Fini, che impone il silenzio e che trasforma donne coraggiose in vittime impotenti.

Noi donne non possiamo tacere mentre Adama sta portando avanti questa battaglia. Per questo facciamo appello a tutti i collettivi, le associazioni, le istituzioni, affinché chiedano la sua immediata liberazione dal CIE e la concessione di un permesso di soggiorno che le consenta di riprendere in mano la propria vita.

Migranda
Associazione Trama di Terre


Ecco il link a un articolo di Repubblica sul caso:

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2011/11/25/news/denuncia_lo_stupro_e_finisce_al_cie_storia_di_adama_donna_e_clandestina-25555110/

venerdì 18 novembre 2011

I veri protagonisti dell'industria del sesso - 1


Con questo post inauguro una nuova rubrica del blog, in cui mostrerò via via alcuni volti dei veri protagonisti dell'industria del sesso. I media parlano quasi esclusivamente delle prostitute, i cui volti e corpi in abiti succinti campeggiano immancabilmente in ogni articolo di quotidiano o rivista. Quasi mai si mostrano invece coloro che guadagnano e muovono le fila di un business di proporzioni mondiali, trascurato generalmente anche nelle analisi sul capitalismo globalizzato di matrice no-global.
Siccome io invece vorrei scoprire proprio questo aspetto degli interessi economici e del business, indagarlo, saperne di più, non posso che apprezzare enormemente il lavoro rarissimo di persone come Lydia Cacho che, mettendo a rischio serio la propria incolumità, fanno nomi e indagano, fino a toccare corde delicate del potere economico e politico.

Il protagonista di oggi è Jean Succar Kuri, libanese naturalizzato messicano, uomo d'affari e possessore di catene di alberghi, ristoranti e negozi in Messico con una fortuna stimata di 30 milioni di dollari. Quest'uomo ha messo su una rete di prostituzione minorile e pedopornografia che coinvolgeva soprattutto bambine tra gli 8 e i 14 anni. Rete sviluppata a Cancun, Quintana Roo, Messico, con diramazioni a Los Angeles, California, Stati Uniti.

Lydia Cacho ha svolto un lavoro fondamentale per la scoperta di questa rete e la condanna successiva di quest'uomo, con la denuncia contenuta nel suo libro I demoni dell'Eden: il potere dietro la pornografia infantile. In questo libro, pubblicato nel 2005, emergevano le importanti protezioni di cui beneficiava l'affarista da parte di politici e uomini di affari influenti messicani, come il suo complice, Kamel Nacif Borge, uno degli uomini più ricchi del Messico, grande giocatore d'azzardo, proprietario di una compagnia di produzione tessile di proporzioni multinazionali, che produce jeans per grandi marchi come Calvin Klein e che risulterebbe anche coinvolto in traffico di droga e armi. E fu proprio Nacif il mandante dell'arresto per diffamazione di Lydia Cacho dopo la pubblicazione del libro-denuncia in seguito al quale la giornalista è stata malmenata e ha subito anche torture e minacce (già aveva subito uno stupro sospetto nel 1998). Nel novembre del 2007 la Corte suprema del Messico ha stabilito l'innocenza di Lydia Cacho prosciogliendola dalle accusa di diffamazione.
Jean Succar Kuri è stato riconosciuto colpevole di pornografia, prostituzione e abuso sessuale su minori e condannato nel 2011 a 112 anni di prigione negli Stati Uniti, ridotti a 60 con la legge messicana.


Le notizie qui riportate sono state prese da Wikipedia e altre fonti in rete e dal libro "Schiave del potere" di Lydia Cacho. Per "I demoni dell'eden", che non è stato pubblicato in Italia, si può leggere questa recensione.

venerdì 11 novembre 2011

500 storie vere: recensione


In questo libro raccolgo la voce di tante altre Isoke che cercano una via d'uscita quasi sempre senza trovarla. Ma la via d'uscita c'è e, per quel che posso, la indico ad altre.
Se per far questo devo anche scrivere libri, li scrivo, con l'aiuto di tante persone che credono che dietro ai miei racconti e alle mie opinioni c'è quanto basta per far aprire gli occhi a tante ragazze, affinché non entrino dalla tratta, a tante perché ne escano, e agli europei perché capiscano di esser stati tutti complici di una logica di mercato che vende e compra tutto, anche le persone, anche le nuove schiave.

Io non volevo scrivere libri, ma se i trafficanti hanno paura del semplice coraggio di piccole persone come me, allora vuol dire che possono essere sconfitti se non sono solo io a parlare e se tanti ascoltano.

(da "500 storie vere" di Isoke Aikpitanyi, Roma, Ediesse, 2011)

Ci sono state due cose importanti che mi hanno portato ad interessarmi del problema della tratta a scopi prostituzionali e del business del sesso e ad aprire questo blog che non è altro che un semplice specchio dei miei approfondimenti e dei miei incontri con questo mondo. Una - l'ho già detto altre volte - è stata la lettura del libro di Lydia Cacho "Schiave del potere". Ma c'è stato un episodio ancora precedente. Per un periodo della mia vita, due o tre anni fa, sulla strada che facevo per andare al lavoro - una centralissima strada di Napoli, la mia città - incontravo all'alba un gruppo nutrito di giovanissime ragazze africane, ragazze snelle e minute come me, probabilmente di età molto più giovane della mia. Avvertivo un profondo senso di impotenza ogni volta che vedevo un vecchio laido fermarne una, un uomo insultarne un'altra perché secondo lui 30 euro era un prezzo troppo alto, certo troppo per uno stupro. Capivo che era solo un caso fortuito che io non stessi al posto di quelle ragazze, pura fortuna. Sentivo che avrei voluto far qualcosa, ma non sapevo cosa e come, spaventata anch'io dal buio e dalla volgarità violenta di alcuni passanti. Una volta, una domenica mattina, salirono sul mio autobus per Caserta due ragazze africane dopo aver subito molestie verbali da diversi uomini sia italiani che stranieri, che probabilmente chiedevano loro qualche prestazione sessuale. Le ragazze erano a disagio, io mi vergognai di non riuscire a far nulla, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime di rabbia..

500 storie vere è un'indagine capillare sulla tratta delle nigeriane svolta su tutto il territorio nazionale, con il contributo economico del Ministero per le pari opportunità, realizzata da Isoke Aikpitanyi e dai suoi collaboratori, tramite la somministrazione alle ragazze di un dettagliato questionario.
La prima cosa che mi sembra giusto osservare è che acquistare questo libro è importante, non solo perché costituisce un gesto concreto, visto che il ricavato è devoluto all'Associazione "Le ragazze di Benin City", ma soprattutto per ascoltare tante voci di vittime ed ex vittime di tratta. Il progetto di Isoke e l'associazione da lei fondata costituiscono un caso unico in Italia e in Europa perché vedono le stesse vittime farsi protagoniste della liberazione di altre "sorelle", con un mutuo aiuto tra pari. Non dunque solo vittime zitte e sottomesse, come le vorrebbero sfruttatori e trafficanti, facendo leva sul senso di responsabilità verso le famiglie, sulla povertà estrema, sul sentimento di inferiorità e impotenza in quanto donne e in quanto giovani.
Il protagonismo e la voce delle vittime sono fondamentali, perché da oggetti di indagine o persone-oggetto vittime di guadagni criminali si trasformano in soggetti che agiscono, parlano, si esprimono, portano avanti le loro istanze per un'uscita dalla loro situazione, rompendo allo stesso tempo il muro dell'indifferenza di una società civile troppo spesso complice o colpevolmente zitta.
Roberto Saviano, una delle diverse voci che arricchiscono con testimonianze questo libro, in occasione di un premio ricevuto nel 2010 dalle mani di Isoke per il suo impegno contro la mafia, ha giustamente osservato: "Credo che gli africani di Castelvolturno e di Rosarno siano riusciti a creare gli anticorpi all'infiltrazione delle organizzazioni criminali e ad insegnare agli italiani come si fronteggia la criminalità. Le immigrate e gli immigrati arrivano qui non soltanto a fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare, ma anche a difendere i diritti che gli italiani non vogliono più difendere."

500 storie vere è anche un libro molto duro, perché le storie delle ragazze lo sono. Tra i gruppi di ragazze intervistate ci sono anche quelle intercettate nel corso di un indagine sugli stupri subiti dalle vittime di tratta, condotta su iniziativa di Laura Maragnani (la gionalista di Panorama coautrice del primo libro di Isoke Aikpitanyi "Le ragazze di Benin City"). Fa molto male leggere le cose orribili che accadono a queste ragazze, la cui difficile condizione di clandestinità e schiavitù impedisce loro non solo la denuncia, ma persino di recarsi in ospedale. Queste violenze atroci condite di razzismo e misoginia, con conseguenze fisiche e psicologiche spesso gravissime e indelebili, non fanno notizia, se non parzialmente in caso di morte. E uccise ne sono tante, almeno 200 ragazze in pochi anni, solo stando alle cronache. Ma anche le uccisioni restano spesso sommerse, per cui il dato è certamente approssimato per difetto: Isoke parla di almeno 500 ragazze scomparse.

Fa se possibile ancora più male apprendere quanto poco si fa per aiutare queste ragazze a uscire da questa situazione, quanto è carente l'articolo 18 e l'applicazione restrittiva che spesso se ne fa , che offre un percorso di regolarizzazione solo a chi denuncia sfruttatori e trafficanti, come se fosse facile denunciare persone potenti che tengono in scacco intere famiglie e godono di protezione nella comunità migrante, da parte della nostra mafia e da personaggi "che contano". Loro sì che sono regolari, che sanno come muoversi, conoscono leggi e possibilità. Il pacchetto sicurezza se la prende con i deboli, i clandestini sbattuti nei CIE, mentre i criminali cadono in piedi, spesso cittadini italiani da anni che sanno nascondere la loro identità di sfruttatori e trafficanti, presentandosi come amici che danno una mano alle clandestine.

Verso la fine del libro si possono leggere le storie di Edith e Fatima, per me le più dolorose, perché parlano di ragazze che hanno coraggiosamente denunciato e nonostante ciò sono state completamente abbandonate dalle istituzioni, lasciate sole e sono nuovamente a rischio. "Mi sembra che tutti vogliono solo che io faccia la p.." dice un'altra ragazza, Ylenye.

Un'altra parte che arricchisce il libro sono le testimonianze dei clienti, coloro che hanno collaborato con Claudio Magnabosco, compagno di Isoke, nel suo importante lavoro "da uomo a uomo". Unico caso in Italia - e pressocché ignorato dai mass media -di lavoro organico con i clienti che pure non sono una rarità, ma - 5, 9 o 10 milioni che siano - alimentano il mercato e nello stesso tempo segnalano un problema evidente nella nozione dominante di maschilità e di rapporto tra i sessi e col sesso su cui tutta la società ha il dovere di interrogarsi. I clienti della prostituzione sono un anello generalmente ignorato della macchina infernale della tratta, ma diventano centrali invece nel lavoro dell'Associazione, sia come interlocutori di un percorso di mutuo aiuto, recupero, educazione sessuale e relazionale, sensibilizzazione al problema della tratta, sia come risorsa per entrare nella realtà sommersa e per aiutare le ragazze a liberarsi. Simone dice: "E' paradossale che i clienti, corresponsabili della condizione di schiavitù di molte, siano anche una risorsa, forse la principale, che le vittime hanno per sottrarsi al traffico. Questo non è merito dei clienti, ma demerito altrui, vuol dire che contro la tratta non si fa abbastanza.". Scrive Isoke: "Intervenire sui clienti e, come dicemmo in occasione di una nostra campagna, "dimezzare subito" il numero dei clienti, è uno degli obiettivi che sono anche "nostri", cioè dell'Associazione vittime ed ex vittime della tratta", quando ci proponiamo, parallelamente all'effetto del lavoro dei maschi, di dimezzare subito il numero delle schiave".

Una delle cose che più mi ha colpito dei risultati statistici del questionario è che, al contrario di quanto si pensa, la maggior parte delle ragazze è costretta a prostituirsi al chiuso e non in strada. La politica repressiva verso l'immigrazione e la prostituzione di strada per "il decoro urbano" ha incoraggiato la dispersione delle ragazze da parte degli sfruttatori. Spesso vengono spostate in continuazione da una città all'altra e portate in zone periferiche o poco conosciute. Contemporaneamente le maman riescono sempre più ad assicurare loro stesse la regolarizzazione alle ragazze, sfruttando percorsi di asilo o flussi, non cessando tuttavia di averle in pugno, sotto il ricatto del debito che aumenta (debito di 50-60mila euro fino a 80mila e più) del vodoo e delle minaccie alle famiglie. Altra cosa che mi ha colpito è la giovanissima età delle ragazze: 200 su 500 ha 18 anni o meno e sembra che l'età media delle ragazze sia in diminuzione. Questo dato conferma quello riportato da suor Eugenia Bonetti nella prefazione, che parla di 50.000-70.000 vittime di tratta a scopi prostituzionali nel nostro paese da paesi dell'Est Europa ed extra-europei, di cui il 40% minorenni tra i 14 e i 18 anni.

Mi colpisce infine la figura della maman, anello fondamentale dell'organizzazione criminale della tratta di nigeriane. Sfruttratrice spesso feroce e allo stesso tempo ex vittima di tratta a sua volta, che ha fatto in un certo senso la scelta opposta a quella di Isoke e le altre: non aiutare ma schiavizzare a sua volta le altre ragazze.

Termino questa recensione, lunga ma assolutamente inadeguata a contenere la complessità e la ricchezza di questo libro, elencando alcune delle proposte pratiche e operative elencate dalla stessa Isoke Aikpitanyi per la lotta alla tratta delle nigeriane:
- Maggior coinvolgimento di ex vittime della tratta come operatrici-pari o mediatrici nei servizi antitratta e nelle comunità di accoglienza.
- Campagna tv nazionale da vittima a vittima, in lingua edo, per spingere le vittime a fare una scelta coraggiosa: testimonial dovrà essere una ex vittima.
-Campagna nazionale sulla responsabilizzazione dei clienti: promozione di incontri e confronti nelle diverse regioni, edizione di uno studio apposito, spot radio-tv.
- Mediazione in carcere per "salvare" le maman (progetto di mediazione carceraria e di formazione delle detenute e dei detenuti per reati connessi alla tratta/sfruttamento)
-Missione delle ex vittime in Nigeria per sensibilizzare, informare, prevenire
-Implementazione dell'esperienza dei progetti "La Casa di Isoke" e "Tulipa Néye", nei quali l'intervento della operatrice pari a sostegno delle vittime della tratta agganciate e accolte in una struttura sia centrale.
- Campagna di informazione sul fenomeno della mafia nigeriana che comprende, oltre ai fatti delinquenziali, anche la tratta
- Campagne di educazione affettivo-sessuale nelle scuole superiori italiane.