venerdì 25 maggio 2012

Sulla tratta dai paesi dell'est

Posto sotto il link a un reportage del tg1 del 2009 sulla tratta dai paesi dell'est (in particolare Albania, Romania, Moldavia). Mi sembra nel complesso di buon livello, a parte uno degli ospiti che non sembrava molto informato, parlando di articolo 28(?), maggior sicurezza delle ragazze negli appartamenti rispetto alla strada e di fine della tratta delle rumene (confondendo evidentemente traffico di immigrati illegali con la tratta). 
In particolare segnalo la presenza di Oria Gargano di Be free alla fine del reportage che ci ricorda che per queste storie non si può mai parlare davvero di lieto fine, neppure quando le ragazze riescono a uscirne (a quanto dice l'esperto ONU, nel 2% dei casi, ovviamente stima appossimativa).
Altro interessante intervento quello della maggiora, che dimostra una sensibilità niente affatto comune purtroppo nelle forze dell'ordine nel rapportarsi alle vittime di tratta, che spesso vengono trattate come criminali, imbrattatrici del decoro urbano, multate, rinchiuse nei CIE ed espulse senza tanti complimenti se clandestine. Del resto, a giudicare dai racconti delle ragazze intervistate (in particolare la rumena Iulia) gli sfruttatori hanno loro stessi valide entrature nelle forze dell'ordine, così come nella giustizia, visto che già sanno spesso quando saranno effettuate retate e anche quando vengono arrestati ne escono dopo poco.
Un documentario nel complesso ben fatto e da vedere. 
Nella foto sopra, rumeno arrestato per tratta di persone. A proposito: per le foto del blog cerco sempre fotografie di sfruttatori e non credo sia un caso che faccio difficoltà. Infatti, quasi tutti gli articoli, che pure parlino di violenze efferate, mostrano immagini stereotipate delle ragazze in strada che evidentemente attirano l'occhio del solito voyeur. Eppure è evidente a tutti che i veri protagonisti della tratta in quanto responsabili di essa sono gli sfruttatori (intendo questo termine nell'accezione più estesa di tutto l'insieme di interessi che trae profitto da questo mercato di esseri umani) e i clienti che alimentano questa domanda..


Speciale Tg1 del 29 novembre 2009

giovedì 24 maggio 2012

Affogate in un mare di rosa


…in questo momento l’influenza di sistemi e stereotipi, che sono più potenti degli individui, danno origine a delle situazioni di disparità per cui uomini e donne ancora non possono prendere le loro decisioni nella stessa realtà. Se ci concentriamo su ciò che ci sembra “naturale” in queste scelte veniamo sviati dal guardare al ruolo delle pressioni sociali e dal cercare di cambiarle.

 (da “Bambole viventi” di Natasha Walter, Roma, Ghena, 2012, p. 327).

Bambole viventi di Natasha Walter, giornalista e femminista britannica, è un libro imperdibile, che a mio parere dovrebbero  leggere tutti coloro che oggi si occupano  dei temi relativi al sessismo e alle pari opportunità.  Offre infatti un’analisi completa  e ben documentata del nuovo sessismo o, meglio, del ritorno - sotto forme ammantate di false apparenze di novità, emancipazione, libertà di scelta, empowerment - di stereotipi  vecchissimi e di un restringimento del ruolo delle donne nella società. In un momento in cui le disparità nella retribuzione, nei livelli occupazionali e nell'accesso a posizioni influenti tendono ad approfondirsi invece che a diminuire. Un ritorno, insomma, di molte cose che si credevano debellate, dopo la grande stagione del movimento femminista.

Natasha Walter analizza la situazione britannica che però non è certo diversa nella sostanza  da quella nostra, pur nelle specifiche peculiarità. Anzi, dirò, una delle cose che più mi ha colpito è proprio l’uniformità, così forte da causare sensazioni claustrofobiche, del contesto in cui siamo immersi. Come riguardo al ruolo mainstreaming dell’industria del sesso, della sua estetica, dei suoi valori, della sua rozza idea di “femminilità”, in gran parte dell’industria dell’intrattenimento e nei media a grande diffusione . Dai locali - in Inghilterra fioccano club di lap dance, night club con strip-tease e show soft-porno, dove ad esempio  si selezionano ragazze per diventare fotomodelle di riviste per soli uomini come Nuts – a programmi tv – il corrispondente inglese del Grande fratello ha la sua Cristina Del Basso che lì si chiama Jordan -  fino a pubblicità, video musicali,  e persino i videogiochi. 

I giochi per bambine, sempre più distinti da quelli per  bambini con l’abbondante ricorso al rosa per marcare una sorta di differenza (o gabbia?) mettono sempre più al centro in modo palese – si vedano ad esempio bambole come le Bratz, o le stesse W.I.T.C.H, ma gli esempi nel libro sono molto più numerosi  – la presunta necessità per le bambine di coltivare sopra ogni cosa il proprio aspetto esteriore allo scopo di essere vincenti e diventare padrone della propria vita. Insomma, il millenario stereotipo che accompagna femminilità con bellezza, fino a farne unico metro di successo per una donna, è abbondantemente ritornato, nella forma apparentemente più moderna della esasperata sessualizzazione .  Persino nei cartoni destinati alle più piccole.  

Non posso soffermarmi sui diversi temi trattati da questo importantissimo libro: dall’imprevisto revival del glamour modeling (posare nude per riviste maschili) alla prostituzione  sempre più “banalizzata” come scelta di potere e influenza per le donne anche attraverso una fiorente pubblicistica per teenagers(l’autrice sceglie di parlare non della tratta ma della prostituzione apparentemente “scelta consapevolmente” e considerata ormai generalmente del tutto priva di problematicità);  dal consumismo come modello dominante e pressoché unica visione della sessualità, che confonde la libertà di fare le proprie esperienze anche numerose e fuori dal matrimonio con l’obbligo a una performance sempre più precoce e priva di qualunque emozione e intimità, fino  al ruolo centrale assunto dall’industria pornografica nella vita sessuale delle persone; dal bullismo sessuale sempre più diffuso fin dalle scuole a danno delle ragazze ma spesso taciuto e misconosciuto fino alla sessualizzazione precoce imposta alle bimbe, a un’età in cui parlare di libertà di scelta suona particolarmente ipocrita e infondato. 

Tutti questi scenari trattati nella prima parte del libro hanno qualcosa in comune: una è di sicuro la grande confusione, pericolosa per la libertà delle donne, tra emancipazione sessuale e riduzione a oggetto attraente di consumo, bambola per i desideri dell’altro.  Con effetti nefasti che vanno  dalla diffusa frustrazione e vera e propria ossessione sull’aspetto fisico, sempre lontano dagli inarrivabili e artificiali modelli di attrattività sessuale proposti,  fino al dilagare del bullismo sessuale ai danni delle ragazze. La seconda cosa importante da sottolineare – e che è anche forse il filo conduttore del libro – è il contrasto tra la forte retorica della  scelta e del presunto empowerment  delle donne (e persino delle bimbe) che viene fortemente pompata, guarda caso, dagli stessi esponenti del potere mediatico e dell’industria dell’intrattenimento intervistati dalla Walter, e, di contro, la sensazione di  essere usate come oggetti di molte ragazze che sono passate per alcune di queste celebrate esperienze  e l’insoddisfazione di molte altre che accusano una sensazione di impotenza di fronte a ciò che avvertono come una gabbia. Su tutto domina incontrastato il potere del mercato: vendere risulta una priorità indiscutibile per tutti e leggendo questo libro sembra davvero che il sessismo renda parecchio: dalla cosmetica, alla chirurgia estetica, dalla moda all'industria delle diete, dall’industria del sesso fino all’industria dei giocattoli. Niente di male in un sano narcisismo, dice la Walter, ma è evidente che il senso di frustrazione diffuso rivela una cappa opprimente che sembra molto più punitiva che gratificante per le donne.

La seconda parte del libro rivela magnificamente il “piano” che c’è dietro alle apparenti casualità trattate nella prima parte, attraverso un’attenta e documentatissima trattazione del ritorno del determinismo biologico nella pubblicistica di maggiore diffusione e nei mass-media. Non posso soffermarmi neanche  un po’ su questa parte, che pure trovo forse motivo principale dell’eccellenza di questo libro. Dico solo che la Walter smonta  attraverso numerose interviste a scienziati e ricercatori, luoghi comuni ormai di nuovo imperanti: come la differenza dei cervelli tra maschi e femmine, delle attitudini come la propensione alla leadership o alla matematica, e la stessa distinzione manichea che viene fatta in un individuo  tra biologia e ambiente quando è il secondo spesso a produrre anche modifiche organiche . E infine giunge anche alla inquietante conclusione, suggeritale da altri esperimenti scientifici effettuati sul comportamento umano, che la riproposizione di questi stessi stereotipi sulla “natura” femminile o maschile di alcuni comportamenti può finire per condizionare realmente le scelte degli individui, che sono fortemente condizionati, infatti, dalle aspettative che vengono riposte su di loro. Come potrebbe piacere a qualcuno trovarsi da solo su una vetta? – si chiede la Walter ad esempio riguardo al forte pregiudizio che viene veicolato nei confronti delle donne che rivestono cariche di responsabilità. 

Concludo dicendo che Natasha Walter si distingue anche per il forte equilibrio, il non indulgere a fanatismi di alcun genere, per  l’attenzione a non generalizzare e a considerare anche che molte donne sono diventate loro stesse produttrici di questa cultura sessista  e che non bisogna cadere in facili scorciatoie come vedere le donne come delle vittime sempre e comunque.  Secondo lei, bisogna semplicemente essere più obiettivi  e smetterla di liquidare il nuovo sessismo come un effetto collaterale della maggiore libertà acquisita dalle donne che – guarda caso- sceglierebbero in piena libertà  ruoli da sempre imposti loro dalla tradizione. Bisogna invece prendere atto che ha preso piede una nuova cultura sessista fortemente diffusa per interessi di mercato, che sta facendo aumentare condizionamenti e aspettative sulle donne in quanto donne (e specularmente sugli uomini in quanto uomini) e che sta riducendo le possibilità di scelta, spesso drammaticamente per chi non proviene dagli strati più agiati della società. Specie in un momento in cui si riducono i margini di mobilità sociale e l'attuale assetto economico-politico spinge ai margini fette sempre più ampie di popolazione.

Al termine del libro, un elenco di utili link a progetti inglesi contro il nuovo sessismo che Natasha Walter illustra nel capitolo finale dal significativo titolo "Cambiamenti". Non ci si può limitare all'analisi, ma occorre agire per continuare a coltivare "il sogno che un giorno donne e uomini siano in grado di lavorare e amare fianco a fianco, liberamente, senza i vincoli di tradizioni limitate". Segnalo in particolare il progetto Object: www.object.org.uk.


sabato 12 maggio 2012

Prostitu(i)te. Uomini, donne e le catene invisibili dello sfruttamento sessuale

Posto qui l'inizio di un post molto interessante di Alessia su Un altro genere di comunicazione, che riferisce sul convegno "Prostitu(i)te" tenutosi il 9 maggio a Milano. Grazie Alessia!

Mercoledì 9 maggio ho partecipato ad un convegno sul tema della prostituzione presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca coordinato da Patrizia Farina, Responsabile dell’Osservatorio Tratta e vittime di sfruttamento – Orim.
L’iniziativa era volta a portare in superficie un fenomeno largamente diffuso in Italia di cui però si parla ancora troppo poco e sul quale vengono poste domande sbagliate che non fanno altro che mistificare la realtà, evidenziando un problematico buco conoscitivo di consapevolezza. Oltre ad indagarne la portata e a svelare i retroscena di sfruttamento e sofferenza che accompagnano il fenomeno e che evidenziano un’emergenza democratica del paese, l’incontro poneva un quesito fondamentale: come si declinano le identità di genere rispetto alla domanda di prostituzione?
E’ chiaro che non possiamo più separare l’analisi del quadro di violenza di genere che fa parte ormai del nostro quotidiano e che comprende una cultura fortemente patriarcale, la mercificazione dei corpi, la sopraffazione nel rapporto tra i generi, il femminicidio e le relazioni di potere sociale ed economico che intercorrono tra uomo e donna dal tema della prostituzione.
La posta in gioco è insomma molto alta: si tratta di combattere un fenomeno di ordinaria normalità nel rapporto tra i generi ponendosi come obiettivo la civiltà.
Il convegno si è aperto con un quadro storico ed evolutivo del fenomeno. In breve dopo la legge Merlin del 1958, la lotta contro lo sfruttamento e l’impegno verso la liberazione della sessualità femminile degli anni ’70, sembrava che la prostituzione potesse considerarsi un fenomeno marginale nell’illusione di una parità di genere quasi raggiunta. Invece da 15 anni a questa parte assistiamo a un fatto che è sotto l’occhio di tutti: ogni notte sulle strade delle nostre città compaiono trans, ragazzini ma soprattutto donne prevalentemente rumene, nigeriane e albenesi che vengono prostituite in un intreccio tra immigrazione, criminalità organizzata e traffico di esseri umani e che testimoniano un fenomeno stabile, se non in crescita.
Le realtà che stanno dietro a queste storie raccontano di situazioni degradanti di povertà e sofferenza, di paesi d’origine dai quali si vuole scappare, di false promesse e debiti contratti per l’effettuazione del viaggio, rapimenti o famiglie desiderose di mandare le figlie in occidente per una vita migliore che poi si rileva invece un incubo. Assoggettamento, minacce, violenze, annullamento dell’identità, sottrazione dei documenti, forte condizionamento psicologico da parte dei trafficanti, alienazione.
I ragazzi delle unità mobili di contatto e gli operatori sociali che lavorano nei centri di prima accoglienza lo sanno bene. E sanno anche quanto sia difficile per queste persone uscire dal giro di sfruttamento, quanto sia difficile rimanere in contatto con le prostitute che vengono continuate spostate sul territorio per farne perdere le tracce, quanto sia difficile guadagnarsi la fiducia da parte di queste ragazze giovanissime che non sanno cosa sia la libertà d’azione e di scelta, che conoscono solo la sopraffazione, le minacce e la violenza.
Durante il convegno sono stati per me illuminanti gli interventi di Lea Melandri (Libera Università delle donne di Milano), impegnata da quarant’anni nel movimento delle donne, e Stefano Ciccone, (Associazione Maschile Plurale), che in un confronto tra generi hanno portato alla superficie la questione del rapporto sociale e sessuale tra femminile e maschile che è sotteso anche al fenomeno della prostituzione.
...




Una poesia per le survivors (testimonianze - 2)

Ho da poco scoperto, sempre grazie alla meravigliosa Chiara che ringrazio, diversi siti e blog scritti da ragazze che sono state nell'industria del sesso (come escort, call girl, prostitute) che ne sono uscite e che cercano di far conoscere attraverso la difficile scrittura delle loro esperienze traumatiche il vero volto di questo mondo del sesso commerciale e allo stesso tempo di dare una speranza ad altre persone nella stessa situzione, perché non si sentano sole. Ho appena cominciato a leggere questi materiali e proporrò via via delle traduzioni di alcuni loro post nel mio blog. E' sorprendente come nel nostro paese voci come queste siano assolutamente sconosciute, mentre i media mainstrem diffondono molto spesso un'immagine edulcorata di questo mondo.

Uno di questi blog è Secret diary of a Dublin Call girl. Proprio stamattina ho scoperto che la ragazza che lo scrive ha bisogno di smettere di farlo per andare avanti sulla strada del recupero di un suo equilibrio, anche a causa dei commenti insultanti e minacce ricevute da diversi uomini "clienti". Mi auguro che i post già scritti non vengano cancellati, ma in ogni caso ovviamente l'importante è che lei stia bene.

 Riporto sotto la traduzione del primo post del blog che si può leggere a questo link:
http://secretdiaryofadublincallgirl.wordpress.com/2012/01/14/poem-for-survivors-of-prostitution/
Il blog Survivors Connect Network raccoglie insieme post tratti da molti diversi blog e siti tra cui anche quello della Dublin call girl.

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Poem for survivors of prostitution

Ho appena trovato questa poesia scritta da Laura Hershey, online, e penso sia un buon modo per cominciare questo blog sulla prostituzione e la mia storia dentro di essa. Questo mi auguro darà speranza ad altre che sono nella mia situazione e che non possono affrontare il rischio di far sentire le nostre voci.
 Le soli voci che io sento sono quelle di coloro che stanno in una rassicurante condizione e a queste persone non importa delle donne come me. Io non sono il "giusto tipo" di prostituta.Io sono stata danneggiata da queste esperienze, non sono "empowered", non sono una "donna di affari" che si è fatta da sé, sono stata una schiava del danno psicologico che il primo abuso ha causato in me. Spero che questa poesia ti aiuterà a realizzare che ci sono altre, che tu non sei la sola.

Quelli che hanno potere possono scegliere

di raccontare la loro storia

o no.


Quelli che non hanno potere rischiano tutto

a raccontare la loro storia

e devono.


Qualcuna, da qualche parte

ascolterà la tua storia e deciderà di combattere,

per vivere e rifiutare compromessi


Qualcun'altra le racconterà la sua propria storia,

rischiando tutto.

http://secretdiaryofadublincallgirl.wordpress.com/2012/01/14/poem-for-survivors-of-prostitution/


giovedì 3 maggio 2012

Business (testimonianze - 1)




Questo video, di grande impatto e successo, è stato realizzato per conto di Stop the traffik nel Red Light District di Amsterdam.
Ci sono diverse testimonianze e inchieste che mettono in luce la grande presenza delle mafie della tratta nel distretto, famoso per le sue vetrine e che il luogo comune vuole zona controllata in cui le donne potrebbero "prostituirsi in tutta sicurezza". Secondo la testimonianza di Patricia Perquin che ha lavorato come prostituta "in vetrina" per oltre quattro anni, almeno l'80% delle donne e ragazze sono costrette con la forza nell'industria del sesso. Come potrebbe - osserva lei - del resto una ragazza ungherese di 18 anni che non conosce la lingua e il paese procurarsi documenti e permessi, registrazione alla Camera di Commercio, ecc.. necessari a lavorare nel distretto? Patricia Perquin spera che il suo libro "Behind the windows of the red light district" possa dare alla gente un ritratto più realistico di questo luogo. Per lei, che è entrata nella prostituzione a causa di un grosso debito dovuto a una dipendenza da shopping complusivo, lavorare in vetrina è stato come giocare alla roulette russa, una distrazione di un attimo può costarti la vita e lei stessa una volta fu quasi strangolata da un suo cliente abituale.

Posto ora un lungo brano da "Le ragazze di Benin City" di Isoke Aikpitanyi su cui tornerò più volte, perché è una testimonianza importantissima di una ragazza coraggiosa trafficata nel nostro Paese.

Nessuno mi ha obbligato a partire.
Nessuno mi ci ha costretto.
Nella trappola mi ci sono messa da sola, per mia libera scelta.
Ma non era questo che mi aspettavo quando sono partita.
Questa situazione.
E nessuna via d'uscita.
 Quando siamo tornate a casa Judith mi ha spiegato tutto per benino, il mestiere è così, si fa così, la situazione è questa, il sistema è questo. E quando arriva la polizia devi scappare, sennò ti portano in questura e ti rimandano a casa. Mi ha messo dentro il terrore della polizia, non solo sul posto di lavoro, ma sempre sempre sempre. Anche quando esci per la spesa, per le passeggiate. Non uscire mai, non parlare mai con nessuno. Eccetera.
Il terrore della polizia è tale che le ragazze quando vedono passare la polizia si fanno il segno della croce, dicono I'm covered by the blood of Jesus, il sangue di Gesù mi copre e mi protegge. E a vederle così spaventate ti spaventi anche tu.
Poi vedi quando fanno le retate, e la furia con cui la polizia corre verso le ragazze, una scappa di qua, una di là, e tutte urlano, e tutte piangono; sembrano topi che fuggono davanti ai gatti. Urlano e piangono e scappano nel bosco, scappano nella notte e nel fango, e quando tornano a casa sembra siano state graffiate da una tigre. E poi si passano ore a togliere le spine. Come fai a non farti contagiare dalla paura?

 Io non volevo.
Ho detto: non se ne parla proprio.
Non è questo che mi avevate promesso.
Allora Judith ha detto: troveremo dell'altro. E mi ha presentato un tizio. Sii carina, ha detto, lui può offrirti un lavoro. Sii gentile. Molto molto gentile.
Che cosa vuol dire essere gentile.
Non capivo. O forse non volevo.
Lui era un bianco. Aveva le unghie lunghe e sporche, ma mi ha portato a cena in un posto elegante. Sei molto bella, ha detto. Una ragazza come te dovrebbe fare la modella. Sfilate. Spettacoli. Cose così.
Io quasi non ascoltavo, perché intanto non sapevo come mangiare la pasta che avevo ordinato. Se bisognava usare il coltello oppure no. Morivo per l'imbarazzo.
Lui intanto parlava e parlava.
Ha detto: ovviamente non è che ci sono sfilate tutte le sere. Bisogna adattarsi, fare qualcos'altro. Le serate nei locali, per esempio. Bei posti. Si balla, si parla con la gente, non è difficile. Poi quello che succede quando esci dal locale è affare tuo, la tua vita privata riguarda solo te.
Ha detto: non è necessario che tu vada a letto con qualcuno, al locale basta che ti fai offire da bere. Che tu sia gentile con i clienti.
E' così che funziona l'Europa.
Se non fai la schizzinosa fai i soldi; e poi fai come hanno fatto le altre.

 Allora ho chiesto: come hanno fatto le altre?
Ed è stata una delle poche cose che ho detto quella sera.
Lui si è messo a ridere. Fanno soldi, ha detto, comperano una ragazza, la portano in Europa e quella lavora e guadagna al posto loro. Sveglia, ragazzina. E' questo il business.

 E mi ha portato a vedere un night.
C'erano le luci basse e i velluti e la musica, e le ragazze erano vestite bene, ma la situazione era ancora più brutta che sul marciapiede. Albanesi, russe, rumene. Sono andata in un camerino, sono riuscita a parlare con due o tre ragazze. Mi hanno chiesto con chi lavoravo. Mi ha portato 'sto tizio, ho detto. E' la mia prima volta.
Loro hanno detto vai via. Scappa.
Mi hanno detto che loro erano state vendute.
Due erano più grandi di me, una aveva solo diciassette anni. Non avevano la minima possibilità di scappare. Se uscivano dal locale per prendere aria, subito arrivava un albanese con la faccia cattiva, cosa fai qui, torna subito dentro.
Dentro.
Hanno detto: meglio che vai sulla strada, sei più libera. Non tornare più, non mettere più piede in un night. Perché adesso sei ancora in tempo a scappare, ma una volta che hai firmato il contratto non hai più scampo. E anche se dicono che non c'è bisogno che vai a letto coi clienti, dopo non puoi più rifiutare niente.
Ma allora io devo andare sul marciapiede, ho detto.
E loro hanno detto: ma cosa pensi che facciamo qui?
Mi hanno portato in alcuni camerini dove c'erano delle donne in ginocchio, facevano dei pompini ai clienti.
Ma è questo che mi aspetta? ho chiesto.
Sì. Meglio la strada, ha detto una. Se solo potessi uscire di qui, io sul marciapiede ci andrei di corsa.

 Ho detto al tizio: non se ne parla.
Lui non s'è smontato per niente.
Ha detto: c'è un altro locale dove richiedono ragazze di colore. Devi solo dire che sei cubana, perché le nigeriane non sono tanto richieste.
Arrivo lì e vedo la stessa storia, un sacco di sudamericane e di brasiliane. Ci siamo seduti, abbiamo visto la sfilata delle ragazze. Lì non c'erano camerini, le ragazze se ne andavano in albergo con i clienti, ma prima dovevano avvertire, dove andavano, per quanto tempo, con chi. C'era una segretaria apposta, che stava lì a ricevere le telefonate delle ragazze e dei clienti. Tutto più raffinato. Ma la storia era sempre la stessa. Ti piace questo posto? Guarda quello com'è ricco, e quello, quando vedono una nuova arrivata si mettono in fila come le pecore.
Ma a me non piaceva affatto.
Sono tornata a casa e ho detto: non ci torno più.
Lui allora s'è arrabbiato con Judith. Non avete ancora spiegato alla ragazza come stanno le cose, ha detto, la prossima volta ci pensiamo noi.

 Le cose stavano così.
Non avevo documenti.
Non avevo soldi.
Non avevo un posto dove scappare.
Avevo il terrore della polizia, e l'unica parola che sapevo di italiano era vaffanculo.
In più avevo il debito da pagare. Trentamila euro.
E si sa cosa succede alle ragazze che non pagano.
O che non vogliono lavorare.

 
Ma tutto questo io ci ho messo molto a capirlo.
O forse l'ho capito molto in fretta, anche se qualcosa dentro la mia testa continuava a ripetere non è possibile non è possibile. Non è possibile che stia capitando proprio a me. Ci deve essere uno sbaglio, da qualche parte. E' solo un incubo. Tra poco mi sveglio e il mondo ritorna al suo posto.

 I primi dubbi ho cominciato ad averli a Londra. Non quando sono partita da Benin City col mio zaino della scuola, non quando sono arrivata a Heathrow con un documento falso, non quando all'aeroporto ci hanno fatto uscire da un passaggio di servizio, facendoci saltare il controllo dei passaporti. Anzi. Quando ho visto l'uomo che ci apriva la porta, e ridendo ha fatto passare il gruppo delle ragazze, e tra risate e pacche sulle spalle ha preso una busta dalle mani di chi ci accompagnava, ecco, ho pensato: ma com'è tutto organizzato bene. Mi sono messa nelle mani della gente giusta.
E così quando ci hanno caricato sul pulmino, e ci hanno portato in un appartamento nel quartiere africano. Era un bell'appartamento. Un bel quartiere. Eravamo in sei e ci sembrava di essere arrivate in paradiso. Era quello il paradiso, era Londra e un lavoro a Londra che ci stava aspettando. Proprio noi, che arrivavamo da Benin City.
Solo: non dovevamo fare rumore.
Solo: potevamo uscire solo la notte, a turno, senza farci vedere da nessuno.
Solo: i giorni passavano; e il lavoro non arrivava mai.
Allora abbiamo cominciato ad ascoltare le tefonate. I nostri accompagnatori chiamavano qualcuno, dicevano è arrivato, dicevano manda i soldi. Chiamavano Parigi, chiamavano Amsterdam, Torino. Dicevano: fino a quando non arrivano i soldi le teniamo noi. Dicevano: se non mandi i soldi le vendiamo a qualcun altro.

Allora abbiamo cominciato ad avere paura.



(Le ragazze di Benin City, p. 11- 16)