domenica 25 novembre 2012

25 novembre

Oggi, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, pubblico le parole di una mia carissima amica e compagna di lotta, Ilaria B., che a caldo mi scrive le sue impressioni su un importante convegno che si è tenuto il 21 e 22 novembre a Milano, a cui avrei desiderato tanto essere presente: "Le parole non bastano", organizzato insieme dalla Casa delle donne maltrattate di Milano e Maschile plurale. Grazie, Ilaria.

Il convegno “Le parole non bastano” è stato, io credo, un evento di un peso e un’importanza che forse nemmeno ancora riesco completamente a immaginare, e che certamente si farà sentire, spero con effetti immediati e molto concreti. 
E non semplicemente perché è stato voluto e organizzato insieme da donne e uomini – certo anche, e non è una cosa da poco – ma soprattutto per le energie, le idee e in primo luogo l’esempio concreto di un nuovo tipo di relazione possibile tra uomini e donne. 
Perché se è vero che è con la relazione tra donne che si esce dalla violenza, come ha detto Marisa Guarneri, una relazione che è in primo luogo una “accoglienza come legame d’amore”, è anche vero che tanti e tante hanno affermato e messo allo stesso tempo in pratica, in due giorni di dibattito davvero appassionante, una relazione nuova, diversa, tra uomini e donne che è l’unica via possibile e praticabile per tentare di sradicare la violenza maschile contro le donne al suo punto di origine. E’ stato infatti ribadito da più parti, e a me pare che non lo si sottolinei mai abbastanza, che non è con la repressione – che, per carità, ci vuole ed è irrinunciabile – ma soprattutto con la prevenzione che occorre affrontare la violenza di genere. E, altra distinzione centrale, non è con interventi istituzionali ma con una collaborazione trasversale e a partire dal basso, dalla comunità, che possiamo sperare di venirne a capo.
Di un convegno che, giustamente, sottolineava il limite delle parole – in modo sottile, naturalmente, perché dialetticamente il potere della parola era continuamente evocato e agito – mi rimane una costellazione di termini e idee che non a caso continuavano a riemergere: emozioni, sentimenti amore, desiderio, relazione. La teoria di quello che è stato detto la conosciamo: è il racconto della difficoltà a fare emergere, a “dire” la violenza per poterla affrontare, curare, sanare, in chi la subisce, in primo luogo, ma non solo. La novità è che si è parlato, e con forza, della necessità di dire e dunque affrontare la violenza là dove nasce, e cioè in un immaginario condiviso sul quale dobbiamo lavorare, a partire, come luogo imprescindibile, dall’educazione, ma muovendoci anche in altri ambiti.
 Quello che è successo (sottolineo successo, e non semplicemente che è stato detto) è che è stato evocato e insieme praticato il tema del desiderio, dell’amore, della felicità. Era palpabile nella forma, sempre dialogica, di un confronto tra uomini e donne, in cui si sono articolati gli interventi. Ma non solo: era proprio la linfa che si sentiva scorrere, era nel pubblico, nelle pause, a pranzo. Una curiosità reciproca, un ascoltarsi attento e insieme entusiasta, dell’entusiasmo di una continua scoperta.
 So bene che si stanno tentando esperimenti di dialogo in più luoghi, in spazi più o meno virtuali, ma questo è stato, a mio parere, qualcosa di molto speciale. Forse perché il “partire da sé” è stato un collante fondamentale, al punto che, direi, nella costellazione delle idee e delle parole che circolavano e dominavano i discorsi, è stato l’idea più forte, la più sottolineata come l’ingrediente fondamentale di ogni risposta possibile praticabile alla violenza. Ne è nata una presentazione di esperienze che ha fatto nascere, a sua volta, nuove idee e proposte. Legate da un filo: la risposta non sta nelle istituzioni e non sta nella repressione. La risposta possibile è nella comunità, nell’attivare le sue risorse, nel cambiamento dell’immaginario, nel portare più persone a riconoscere la violenza e a rivolgersi ai centri antiviolenza. Il ruolo delle istituzioni non è ovviamente privo di importanza, ma è un ruolo che deve prendere le mosse e la direzione a partire dall’ascolto di chi contro la violenza lavora ogni giorno.
Sarebbe importante dare uno spazio a ciascuna delle voci che hanno declinato la relazione e le soluzioni in un intreccio di sfaccettature che dialogavano e si richiamavano. Per oggi deve bastare una parola: educazione. Lo ha detto l'assessore alle politiche sociali, lo ha detto un'antropologa che ha raccolto le voci delle donne che troppo spesso non trovano negli ospedali persone pronte a facilitare il racconto della verità (anche se, va detto, molte volte, per fortuna, le trovano), lo ha detto un magistrato, che ha spiegato che troppi magistrati, la polizia, gli avvocati (donne e uomini, va detto) sottopongono le donne a una ulteriore violenza, spesso scoraggiandole dal denunciare. La violenza per essere combattuta e fermata va in primo luogo riconosciuta e, ancor più fondamentale, detta. Le parole non bastano ma sono il primo strumento che abbiamo, possono essere molto potenti, possono servire a formulare la domanda giusta, alla quale deve seguire un ascolto educato a sentire e accogliere. E agire.

lunedì 12 novembre 2012

Facebook e la pedopornografia

Riporto la traduzione dallo spagnolo di un interessante articolo di Lydia Cacho che denuncia come gli stupratori di bambini agiscano praticamente indisturbati sul famoso social network. Ringrazio le ragazze di Un altro genere di comunicazione e S. per la traduzione. Il testo originale si può leggere qui.

Facebook e il porno - di Lydia Cacho

Fluttuano liberamente nel cyberspazio, sono i siti dei pedofili che, oltre ad abusare di migliaia di bambini e bambine, fanno uso delle loro pagine Facebook per mostrare il loro coraggio, narrando dettagli sulle loro azioni criminali.
"Guarda questa foto, l'ho presa quando aveva quatto anni, tenera e vergine" dice Roberto, che dalla Spagna fa mostra tra le sue fotografie di se stesso, mentre penetra bambine molto piccole. La pagina è stata denunciata a Facebook senza che nulla accadesse, la polizia spagnola non ha un reale potere nei confronti della Società, né ha la facoltà, dicono, di arrestare tutti quei soggetti che pubblicizzano i propri crimini nelle pagine le cui origini possono essere rintracciate con la più semplice tecnologia.
Per fare un'indagine qualche anno fa, mi sono unita ad un gruppo di uomini in rete, le cui conoscenze cibernetiche mi hanno insegnato a rintracciare i pedofili nel cyberspazio e a promuovere cause nei paesi dai quali emergono le immagini.
Un uomo scrive al lato di una foto con una bimba bionda "lei è una delle mie piccole lolite preferite, ora ha dieci anni, ma ha cominciato il sesso da quando ne aveva due".
Un altro risponde: "Oggi ne ha 17, ma ha cominciato a fare sesso a 4 anni ed è una vera cavalla ninfomane" . I soggetti si presentano come “Lolita lovers”, “Babyboylover”, “Il cacciatore di piccoline”, e altri soprannomi. In questi video e foto si vede chiaramente il viso delle vittime. Di tanto in tanto abbiamo denunciato alla polizia postale dei diversi paesi; si mandano i profili dei soggetti e gli indirizzi IP. 
Abbiamo persino localizzato un professore di Veracruz che su Facebook agganciava dei bambini e li manteneva in contatto attraverso il suo blog come professore di educazione fisica. La pornografia infantile è nella maggior parte dei caso una delle modalità del delitto di tratta di esseri umani.
È stato grazie ai cyber-attivisti degli Uomini contro la Prostituzione e la Tratta (Menapat, in inglese), Marcelino Madrigal, Richard Lepoutre e Raymond Bechard, che ho imparato a seguire i cyberpederasti, per poi indagare ed assicurarmi che la la polizia postale non solo faccia il lavoro di persecuzione del delitto (postare e far circolare immagini di pornografia minorile è punibile con la legge in molti paesi, incluso il Messico), ma anche che le indagini portino a rintracciare i posti dove si trovano queste bambine e questi bambini vittime degli abusi.
Un anno fa ho denunciato questo tema durante l'intervista che mi fece Michelle Bachellet durante la consegna di un premio a New York. Ho utilizzato l'assemblea per spiegare il mio lavoro ed esigere che FB rispondesse. Newsweek pubblicò i dati con le prove che avevo portato. Facebook provò a negare le mie affermazioni provando a spaventarmi attraverso i propri avvocati newyorchesi, a chiedermi di smettere di dialogare, e alla fine, a causa deii fatti e delle prove che ero riuscita a far pubblicare dalla rivista nordamericana, Facebook dichiarò che "stavano lavorando sul caso". 
Il mio profilo Facebook, attraverso cui indagavo su questi temi, venne chiuso con la motivazione di "cattivo uso della rete sociale".
E' importante sottolineare che iscriversi a Facebook è gratuito, ma la Società guadagna basandosi sulla sua quotazione in borsa grazie ai milioni di persone che utilizzano i suoi prodotti.
Una fonte interna a Facebook mi ha detto a Washington che non faranno mai quello che ho richiesto di fronte al Senato nordamericano in paesi che non hanno leggi sufficientemente severe per esigerlo. Gli Stati Uniti sono il paese con il maggior numero di utilizzatori di Facebook , seguito da Indonesia, Gran Bretagna, Turchia, India e Messico.
L'unico paese col quale l'azienda collabora nel mantenimento delle foto segnaletiche dei bambini scomparsi sono gli Stati Uniti. Non si tratta di censurare, ma di rendere semplicemente più sicura la rete ed esigere che coloro che guadagnano attraverso di essa facciano anche investimenti etici per protegge l'infanzia.
In Messico esiste una polizia postale, ma non è sufficiente, la cosa più urgente da fare è ottenere che Facebook e tutte le società che si occupano di Reti sociali, incluso Twitter, si assumano le loro responsabilità nel:
1) mantenere le informazioni dei profili denunciati senza cancellare l'impronta che possa condurre le autorità a improgionare l'aggressore.
2) investire le risorse necessarie per bloccare la pedopornografia nelle sue reti.
3) lasciarsi coinvolgere nella creazione di programmi che registrino i volti dei minori abusati, in quei paesi in cui hanno milioni di utilizzatori.
4) smettere di ostacolare gli attivisti che denunciano il loro disinteresse nel proteggere l'infanzia. 
Se anche tu vuole unirti ai più di un milione di firmatari di questa petizione, clicca qui: http://www.causes.com/causes/580526-force-facebook-to-block-all-child-pornography