martedì 12 giugno 2012

Sotto attacco

Non c'è dubbio che in questo momento le conquiste delle donne, ottenute a caro prezzo negli ultimi 40 anni in un'epoca di generale avanzamento dei diritti e della giustizia sociale, siano sotto un attacco senza precedenti, che diventa anche legislativo e istituzionale. Sembra impossibile, ma in questi giorni la Corte Costituzionale discuterà il fondamento costituzionale della 194, al Senato si discutono diversi progetti di legge che introducono la PAS nella normativa relativa all'affido condiviso, mentre è di ieri la notizia particolarmente scioccante della scarcerazione dello stupratore dell'Aquila , con la disperazione della ragazza stuprata con una spranga di ferro e quasi uccisa che sta pensando di espatriare.
Un quadro piuttosto fosco, per non dire nero.

Nel mio lavoro di approfondimento non mi sono quasi mai occupata particolarmente di leggi e progetti di legge in quanto personalmente ritengo ci siano questioni  ancora più rilevanti delle leggi - questioni  di natura sociale, culturale, economica, criminale, ecc. -.che fanno sì che la stessa normativa resti un dettato di principio e in alcuni casi diventi carta straccia a paravento di una realtà molto diversa e/o di interessi intoccabili.
Mi sto però convincendo sempre più che, se è bene non ridurre i problemi a discussione su disegni di legge, non si può neanche non informarsi su quanto accade, perché spesso sono proprio certe leggi (o l'attacco a leggi progressiste già approvate) a segnare un destino di arretramento e barbarie. Un esempio tra tutti: la legge Turco-Napolitano e soprattutto le modifiche apportate dalla Bossi-Fini, che hanno inaugurato una politica xenofoba criminale e legittimato l'esistenza di campi di concentramento in un paese che si dice democratico (proprio ieri questa inchiesta su Repubblica). Insomma, non si deve abbassare la guardia, ma saper leggere e prevenire la pericolosità insita nella modifica delle normative, specie in un'epoca in cui difficilmente avanziamo, ma purtroppo molto più spesso torniamo indietro.
Mi propongo perciò di seguire di più i diversi disegni di legge in discussione sulla prostituzione su abrogazione o pesante modifica  della legge Merlin (discussione aperta ufficialmente in sede parlamentare da più di dieci anni), primo tra tutti il famigerato DDL Carfagna Alfano n. 1079 del 2008 che introduce pesanti misure repressive contro chi si prostituisce in luoghi pubblici con arresto fino a 15 giorni e multa fino a 3000 euro, e che, seppur al momento fermo in Senato, è sempre a rischio di essere riesumato.
Sulla legge Merlin ho ordinato il fondamentale testo di Sandro Bellassai "La legge del desiderio", in cui si tratteggia tutto il difficile iter e le polemiche intorno alla sua approvazione, soprattutto dal lato delle voci maschili in campo, messe di fronte alla messa in discussione di un "ordine costituito". Questa legge è oggi così ignorata, vilipesa e bistrattata che molti credono che da questa provengano tutti i mali:  i provvedimenti repressivi contro le donne che si prostituiscono (mentre ad esempio il "pacchetto sicurezza" è una delle principali cause della degenerazione degli ultimi anni) o che addirittura questa renda la vendita di prestazioni sessuali illegale, oppure che la legge Merlin ha causato la prostituzione straniera che vediamo oggi. Tutto così errato da essere ridicolo!! Ci farò un post specifico, ma qui dico solo che la legge intendeva liberare le donne dall'essere utilizzate come "carne da macello" - come loro stesse si autodefinivano nelle case chiuse autorizzate dallo stato, ridare la libertà a tutte le  altre donne, che venivano molestate e sottoposte a fermi e umilianti e abusive indagini sanitarie se solo erano in strada la sera a fumare una sigaretta, punire ogni forma di interesse di terzi e sfruttamento.

Percepisco il chiaro pericolo delle discussioni disinformate che sento dappertutto recanti un pensiero pressocché unico e soprattutto non analitico che si esaurisce in slogan come "bando alle ipocrisie moraliste e riapriamo le case chiuse" oppure "legalizziamo la prostituzione per mettere fine alla vergogna della tratta",  o ancora "facciamo pagare le tasse alle prostitute, che paghino come tutti" o "facciamo come il civile Nord Europa e togliamo questa vergogna dalle strade aprendo quartieri a luci rosse puliti e discreti". Sono opinioni espresse più o meno in questi termini in numerosissimi commenti su giornali, forum, blog online, su facebook, e in verità anche dagli stessi politici di amministrazioni locali o addirittura parlamentari, su fronti assolutamente bipartisan.

Slogan semplicistici e gravemente disinformati che nascondono due problemi di fondo: prima di tutto non voler vedere le numerose ombre, complessità e quegli aspetti ben poco "moderni", bensì regressivi e repressivi che possono annidarsi nel ritorno a forme di regolamentazione della prostituzione da parte dello stato (e tanto più in quelli che prevedono esplicitamente criminalizzazione e punibilità amministrativa delle persone che si prostituiscono). Ne dico qui solo uno: la permanenza immancabile del sommerso (sembra che tutti ignorino che anche da noi con la regolamantazione prima della Merlin il settore legale era in rapporto irrisorio rispetto all'illegale, del 5-10% del totale) con accanimento repressivo ancora maggiore su chi non vuole o non può registrarsi, tra cui vittime di tratta e immigrate clandestine. Problema molto serio in tutti i paesi con leggi regolamentariste. Ma ci sarebbe anche da parlare ampiamente di controllo sui corpi delle donne, di depenalizzazione del sistema di interessi di terzi sulla prostituzione altrui, di rafforzamento della cultura dell'acquisto di sesso, della preoccupante assenza di studio da parte delle istituzioni delle strategie delle mafie internazionali, del contesto xenofobo e sessista in cui ci troviamo e di molto altro ancora.
 Non posso dilungarmi troppo, né sviluppare in questo post un tema molto complesso che richiederebbe molte più articolazioni. Mi limito ad osservare che la cosiddetta "legalizzazione" (già il termine presenta non poche ambiguità) e l'attacco alla legge Merlin sembrano essere usati da molti come paravento e alibi per non  parlare d'altro, come la soluzione definitiva o panacea di tutti i mali che permette di non mettere più a tema di discussione, se mai lo si è messo, il sistema nel suo complesso - a partire dalla domanda e dai guadagni sterminati di chi muove un business di proporzioni mondiali sulla prostituzione altrui - facendo finta che questo cancellerebbe i problemi di diritti umani con un colpo di spugna. Un comodo alibi innanzitutto per gli "utilizzatori" di tutto il mondo.
In verità l'improbabile spirito filantropico verso le vittime di tratta per cui non si sta facendo nulla e peggio da anni da parte delle istituzioni spesso rendendo vani e inefficienti quei pochi strumenti che pure ci sono, e su cui si accanisce l'odio xenofobo conseguente a tutta la normativa legata al pacchetto sicurezza (peraltro le ex vittime propongono altre soluzioni ai loro problemi), l'aver a cuore il "diritto delle donne a prostituirsi" e i diritti delle lavoratrici del sesso, sono argomenti che con tutto lo sforzo possibile risultano troppo poco credibili in bocca a persone che dimostrano in altre aree sensibilità e priorità del tutto opposte.
 Evidentemente in molti casi gli interessi sono ben altri: oltre al rafforzamento del diritto dell'utilizzatore (che non ha mai accettato di buon grado l'abolizione dei bordelli di stato), la volontà di attuare politiche repressive e xenofobe con sempre maggior libertà, l'interesse da parte di stato ed enti locali ad acquisire gettito fiscale da un giro d'affari di enorme calibro e che verrebbe ulteriormente espanso, non ultimo gli interessi di specifiche lobby destinate ad arricchirsi con la depenalizzazione, magari con abbondante riciclaggio di denaro. Tutto questo trova delle inquietanti indizi di conferma vedendo che tra i più accaniti demolitori della legge Merlin figurano partiti come Lega Nord, Grande Sud, Pdl, che sbandierano da tempo soprattutto la necessità di "pulire le strade dal degrado"(e incassare introiti fiscali). In barba alle raccomandazioni dell'ONU che insistono sulla necessità di non spingere prostituzione e tratta nell'indoor, dove le ragazze sono molto più controllate dai loro sfruttatori, fino alla vera e propria segregazione e impossibilità di fuga.
Del resto non è un mistero che la legge Merlin sia ormai stata di fatto ampiamente esautorata visto che ogni giorno arrivano notizie di fermi assolutamente illegali con schedature e richiesta di tasse illegittime a chi esercita la prostituzione, vessazioni e violenze sulle donne che lavorano in strada da parte delle forze dell'ordine, in seguito alle ordinanze dei sindaci sceriffi sul decoro urbano (derivate dal famigerato pacchetto sicurezza).
La giurisprudenza tributaria italiana con diverse sentenze e poi la corte di Cassazione nel 2010 hanno sancito l'esigibilità delle tasse sulla prostituzione, sembra sulla base di una sentenza della Corte di giustizia europea del 2001 relativa a un caso di richiesta di permesso di soggiorno che nulla c'entra con le tasse e che aveva stabilito l'equiparabilità della prostituzione esercitata autonomamente con altre attività economiche. Non sono una giurista, ma mi pare evidente la forzatura e la palese violazione della legge Merlin per la quale la prostituzione non è un'attività lavorativa e quindi non è tassabile, pena ricadere nel ruolo di stato-pappone. 
 Vengono i brividi a leggere articoli come questi, in cui persino le ragazze straniere che sono in strada e che dovrebbero essere soccorse dalle istituzioni secondo le convenzioni internazionali contro la tratta che lo definiscono crimine contro l'umanità e la stessa normativa italiana, sono considerate dal punto di vista di contribuenti da spennare: "Gli introiti di chi esercita in strada sono tassabili ma difficilmente la contribuente è solvibile in termini di riscossione se non possiede patrimoni, conti correnti o beni da aggredire. Questo perché spesso chi si prostituisce in strada non lo fa liberamente e quasi sempre percepisce le briciole.", questo dice un caposettore dell'agenzia dell'entrate, e mentre lo scrivo mi sale dentro una rabbia enorme.

D'altra parte, sono rimasta sempre più scioccata quando ho scoperto che persino dallo sfruttamento della prostituzione, che oggi è un illecito penale, si ricavano introiti fiscali. Nella mia beata ignoranza non sapevo che lo Stato ha ormai riconosciuto che economia pulita e criminale sono un tutt'uno e che non è possibile mettervi un freno, dunque si tassa. Ma dico io: sequestro dei patrimoni no? Galera no? Un valente sostituto procuratore della Distrattuale Antimafia con cui ho avuto la fortuna di parlare un paio di settimane fa, proponeva che se non si può dimostrare la provenienza lecita del denaro, scatti il sequestro preventivo del patrimonio, se no è inutile parlare di lotta alle mafie, come se si trattasse ancora di briganti con la lupara.

Tornando alla Merlin, ormai esautorata e vilipesa, l'ultimo atto a questo punto sembrerebbe essere l'abrogazione come prospetta questa inchiesta del Punto ntc. Non c'è da stare allegri, visto che in questa inchiesta si parla di potenti, multinazionali e rigorosamente anonime "società registrate in Russia, Papuasia e vari paradisi esotici" che starebbero riacquistando le licenze dagli eredi delle nostre vecchie tenutarie e già impegnati in milionari ristrutturazioni delle vecchie "case chiuse". Potenti lobby che farebbero da gruppo di pressione in tutta l'Unione Europea.



sabato 9 giugno 2012

Su tratta e violenza sulle donne

Recentemente ho avuto la fortunata occasione di partecipare a due incontri a Roma nell'ambito di un Corso di perfezionamento sulla violenza di genere organizzato da Be free, cooperativa sociale contro tratta, violenze e discriminazioni. Corso a cui avrei tanto voluto partecipare, se solo il lavoro me l'avesse consentito.
Be free, di cui ho parlato anche qui, fa un lavoro notevole nell'ambito dell'intervento a sostegno delle donne che subiscono violenza di genere e delle donne immigrate vittime di tratta. Gestisce ben quattro servizi: lo sportello di pronto intervento SOS Donna 24 h,  quello al pronto soccorso dell'Ospedale San Camillo di Roma per la violenza sessuale e domestica, lo sportello a favore di donne vittime di tratta aperto presso il CIE di Ponte Galeria e ultimamente ha attivato "Coming out dalla violenza", specificamente per donne lesbiche che subiscono violenza in ambito familiare, lavorativo, di coppia.

In questo post accennerò ad alcune cose dette nel primo dei due incontri da me seguiti, il giorno 1 marzo, in cui Oria Gargano e Francesca De Masi hanno parlato di intervento nell'ambito della violenza sulle donne, in particolare nella coppia,  e della tratta, facendo un confronto tra le due situazioni che per me è stato davvero illuminante.  Sono emersi importanti aspetti che accomunano le due esperienze, sia sul piano del vissuto della donna che sul piano di alcune problematicità nel lavoro dei servizi sociali.
La cosa che mi ha colpita più di tutto è stato proprio il fatto che in entrambi i casi anche chi opera nell'accoglienza e nel soccorso spesso tende ad aspettarsi troppo dalle donne. Si tende ad avanzare implicitamente la presunzione che la donna debba raccontare tutta la sua esperienza, senza omissioni e bugie o che debba in qualche modo manifestare un'intenzione di uscire dalla sua situazione, che sia lasciare il marito maltrattante o denunciare il suo sfruttatore. Non si fa poi abbastanza attenzione ai sintomi e segnali rivelatori di un vissuto di violenza che, ad esempio, per le donne che vivono con partner maltrattanti, possono essere anche di tipo psicosomatico e possono essere confusi con altro, specie quando non si ha una formazione specifica che permette di riconoscerli (per esempio tra i medici di base).  Non si tiene poi conto - per quanto riguarda le aspettative sulla determinazione della donna a uscire dal vissuto di violenza - che l'esperienza di una donna con marito violento non è fatta solo di ombre, ma anche di luci, di momenti di false riconciliazioni e manifestazioni di affetto da parte del soggetto maltrattante, che ben si spiegano all'interno del meccanismo della spirale della violenza. Con la precisazione che quest'ultima risulta comunque troppo schematica e approssimativa e che l'esperienza singola non vada mai ridotta ad uno schema preconfezionato, rischiando di schiacciare la soggettività della donna e la sua progettualità individuale anche all'interno di un rapporto violento.
E' proprio questo che, secondo Oria Gargano di Be free, invece si tende spesso a fare, anche per le donne oggetto di tratta. Aspettarsi una sorta di "vittima preconfezionata" dai nostri pregiudizi, in una visione che tende ad essere anche offensiva, nel non rispettare la complessità dei vissuti. Per le vittime di tratta sono vissuti davvero terribili, in cui spesso si tende ad attuare una rimozione selettiva - meccanismo del tutto naturale in situazioni di estremo pericolo - a fronte della quale ad esempio le forze dell'ordine pretendono invece dovizia di particolari per poter accogliere una denuncia che altrimenti viene archiviata. E qui si dovrebbe aprire una parentesi sulla totale impreparazione che regna sovrana in quest'ultimo campo in cui mancano persino interpreti e mediatori culturali, preparazione che pure viene richiesta da tutti i protocolli internazionali antitratta. Su ciò che avviene nei CIE poi non mi dilungo, rimandando al post che ho linkato anche sopra e a questo blog.
Non si capisce perché una persona in situazione di grave difficoltà e che ha subito tanti abusi, dovrebbe condividere i dettagli della sua sofferenza, raccontare tutta la sua esperienza, senza omissioni e/o bugie. Specie se non si è ancora stabilito un rapporto di fiducia fatto innanzitutto di pieno rispetto, che dosi sapientemente empatia e percezione dell'alterità, non schiacciando la donne nel ruolo di vittima né giudicando. Innanzitutto c'è da tener conto del fatto che, se per ogni donna è difficile e per niente scontato definirsi vittima di violenza (ad esempio da parte del marito, l'uomo che si è scelto di sposare) così diventa difficilissimo per una vittima di tratta definirsi tale e raccontarsi, innanzitutto date le minacce che si subiscono dagli sfruttatori mafiosi, rivolte anche alle famiglie.
Nella tratta, poi,  la tendenza a fingere per poter sopravvivere, a raccontare bugie, a sviluppare modalità seduttive di relazione è assolutamente in linea con il tipo di esperienze vissute, insieme a una forma di resilienza che porta a "spegnere il cervello" e a un grande senso si svalutazione di sé, che rende difficile anche solo pensare che qualcuno voglia porgerti un aiuto disinteressato e che ci si possa fidare davvero. Si può anche sviluppare un rapporto ambivalente con lo sfruttatore simile a quello di una donna con partner maltrattante, fatto anche di momenti di "normalità", a cui in ogni situazione, si cerca comunque di accedere. E' pregiudiziale e giudicante aspettarsi una persona "in catene". Non è un caso che anche sul piano legislativo il consenso della vittima sia irrilevante per il reato di tratta, questo non cancella di certo la violenza di quello che è definito come un crimine contro l'umanità. Ultima affinità tra violenza sulle donne nella coppia e tratta - ma non ultima in ordine di importanza - il contesto culturale giustificativo in cui si muovono entrambe le situazioni, che rende ancora più difficile la posizione di chi subisce violenza e il riconoscimento di essa.
Per tirare le somme, dovremmo riflettere tutti, non solo gli operatori, sul fatto che siamo noi a dover andare incontro a chi ha subìto violenza, aprendo loro una porta e non pretendere che siano loro a venirci incontro soddisfando le nostre aspettative.

venerdì 8 giugno 2012

Memorie di un'infamia

Avrei voluto fare una recensione anche di Memorie di un'infamia, il secondo libro di Lydia Cacho che è stato pubblicato in Italia e di cui parlo anche qui.
Il tempo per ora è mancato e così posto qui l'inizio di una bella recensione che è stata fatta da Maggie's blog, rinviando il resto della lettura a quel blog.
Del caso di Jean Succar Kuri e Kamel Nacif, argomento del libro, ho parlato anche qui, prima ancora che in Italia arrivasse Memorie di un'infamia.

Lydia Cacho è una giornalista messicana che nel suo sangue porta l’eredità di sciamani, navigatori e uomini liberi. È cresciuta a stretto contatto con realtà difficili, grazie all’attività filantropica della madre che se la portava appresso durante le sue escursioni quotidiane tra i più poveri. Quando Lydia un giorno le chiese perché ci fossero bambini che crescevano nelle discariche dei rifiuti, sua madre rispose: “E’ un’ingiustizia, un’ingiustizia bella e buona. E siccome voi siete in grado di soffrirne e capirlo, siccome avete il privilegio dell’istruzione e di tre pasti al giorno, avete anche l’obbligo di prepararvi perché le cose, nel vostro paese, cambino”.
Lydia prese il testimone che sua madre passò quel giorno, e lo portò avanti con orgoglio quasi a costo della vita.
Decise di focalizzarsi sui diritti delle donne: in Messico, le statistiche Onu del 2007 parlavano di una donna (o una bambina) stuprata ogni 18 secondi. La stessa Lydia Cacho era stata vittima di uno stupro.
Fondò un centro di accoglienza, che diventò poi un vero e proprio rifugio dove le donne potevano stare dai 3 ai 5 mesi prima di entrare nel programma di reinserimento sociale.

giovedì 7 giugno 2012

La voce delle sopravvissute (testimonianze - 3)

Non vogliono essere considerate delle vittime silenziose, ma sopravvissute che prendono parola. Sono tante le ragazze attive in rete su blog e siti e che prendono parola contro l'industria del sesso, per denunciare ciò che hanno subìto e come tutto ciò non sia affatto "normale". In Italia i loro libri non sono stati tradotti e questi blog non sono affatto conosciuti. Sarà perché siamo il paese dei clienti per eccellenza, dove la voce di questi regna incontrastata?
Nell'ambito della sezione "testimonianze" cercherò di tradurre alcuni dei loro post o brani di post. Oggi metterò un brano da un post di Rebecca Mott che spiega perché non vuole festeggiare la giornata internazionale della donna e quindi la traduzione di un intero post di Free Irish Woman che muove una forte critica a tutte quelle donne che, non essendosi mai prostituite, lo trovano invece assolutamente accettabile e non problematico per altre donne. Questo post mi ha dato tanto da pensare perché ci chiama in causa in prima persona.

Non posso celebrare quando la prostituzione e la violenza nella pornografia diventano solo un'appendice alla rivoluzione femminista - o le nostre vite e verità sono viste solo come un esempio terribile, ma ignorate perché qualcosa di troppo grande per averci a che fare.

Non posso celebrare quando le voci delle eccezionali donne fuoriuscite sono sempre in posizione secondaria nelle campagne abolizioniste - le nostre voci sono ridotte a statistiche, rese parte di qualche libro accedemico, usate come cifre - ci parlano sopra, attraverso di noi, intorno a noi.

Non posso celebrare finché il movimento abolizionista non metterà le voci e gli scritti delle donne fuoriuscite in un ruolo di primo piano - noi non siamo la vostra prostituta simbolo, non ci faremo trattare come animaletti domestici.

Non posso celebrare quando ogni giorno sento nelle mie viscere cosa sta accadendo in hotel, appartamenti, strade - tanti passano avanti e dicono che è normale.

Non posso celebrare quando tutto intorno l'immagine delle prostitute è solo o della "happy hooker" (puttana felice) o della vittima morta - non c'è realtà in queste immagini ed esse smorzano ogni verità detta.

Io celebrerò la giornata internazionale della donna quando tutte le donne e ragazze prostitute avranno completa libertà, sarà data loro voce, e saranno rese interamente umane.

Non posso celebrare prima di allora.

Rebecca Mott (qui la fonte in lingua originale che rimanda all'intero post)

--

La crudeltà idiota dell’ignoranza tossica
Una delle mie compagne fuoriuscite ha sollevato un’importante questione nel suo blog (secretdiaryofadublincallgirl) quando ha menzionato la crudeltà e insensibilità di donne che non sono state prostitute, che promuovono la prostituzione come un appropriato e accettabile “lavoro” per altre donne.
Questa visione viene espressa da alcune donne che non sono prostitute, non sono mai state prostitute né mai lo saranno. Sentire la commercializzazione dell’abuso sessuale venir sancito come accettabile è un doloroso, insultante schiaffo in faccia alle sopravvissute alla prostituzione, ma ascoltarlo da donne che non conoscono NULLA della prostituzione dall’esperienza personale è peggio che doloroso e insultante – è la più profonda pugnalata alle spalle che una donna che non è stata prostituta può dare a una donna con una storia come la mia. Non c’è dubbio che la posizione di queste donne ha radici nella loro ignoranza.
L’ignoranza è semplicemente una conseguenza del non aver mai sperimentato una situazione, ma qui non è la sola ignoranza a causare sofferenze emotive e concrete. Si tratta in questo caso di ignoranza accompagnata da convinzioni infondate. Questo è ciò che io chiamo “ignoranza tossica”.
Ma perché le persone si convincono di comprendere la forma di un’esperienza meglio della grande maggioranza di chi l’ha vissuta? Da dove viene questa grande arroganza?
Io penso che questa è alimentata in parte dall’insensata tendenza umana alla presunzione di sapere. Ci sono donne non prostitute a favore della prostituzione che ho incontrato online che dichiarano prontamente che non hanno alcuna esperienza di prostituzione – tuttavia si aspettano che noi sopravvissute alla prostituzione le stiamo ad ascoltare mentre ci raccontano che un mondo senza prostituzione è una cosa impossibile, irraggiungibile, persino non desiderabile! La cosa più gentile che io posso dire su queste donne è che, per la loro ignoranza, l’arroganza della loro posizione va oltre la loro stessa capacità di comprensione.
Perché qualche donna presume che, poiché lei ha seguito la sua comoda e privilegiata trafila borghese nel college (come fosse il suo fortunato diritto di nascita a non prostituirsi) che la sua educazione in qualche modo le dà l’attrezzatura per decodificare e analizzare l’esperienza della prostituzione meglio  delle donne che hanno guadagnato la loro comprensione con le loro proprie gambe aperte su un letto di un bordello?
Loro  sentono di essere meglio attrezzate per spiegare a noi la natura di ciò che ci è accaduto a causa di una profonda arroganza così sbalorditiva quanto insensata. A queste donne io ho da dire questo:
“TU NON HAI DIRITTO di parlare per noi, o di delineare la forma della nostra esperienza, o di tentare di educare il mondo su qualcosa di cui non sai nulla. Quando tu deformi  e distorci la realtà delle nostre esperienza vissute tu ci abusi altrettanto profondamente di quanto hanno fatto i clienti. La tua è la più perfetta espressione dell’idiota crudeltà dell’ignoranza – belligerante, arrogante e potente nella sua tossicità. Io mi vergogno del tuo “femminismo” e mi vergogno di quella parte del mio cuore che vorrebbe vedere che ti rimangiassi le tue parole in un letto di un bordello, perché non augurerei l’inferno a nessuna donna – nemmeno a te”.
Free Irish Woman: The mindless cruelty of toxic ignorance