Ringrazio Maria Rossi per la traduzione di questa interessante intervista a Rhéa Jean.
Fonte originale: http://sisyphe.org/spip.php?article2730
In figura: prezziario dal sito web di un club-bordello svizzero.
In figura: prezziario dal sito web di un club-bordello svizzero.
Essere abolizionista è
difendere la libertà sessuale!
Intervista con Rhéa
Jean[1] realizzata
dalla rivista Prostitution et Société, numero 156,
gennaio-marzo 2007
Oggi vi sono violente discussioni tra abolizionisti,
ostili alla trasformazione della prostituzione in professione, e fautori della
posizione regolamentarista, favorevoli al riconoscimento della condizione di
<<lavoratrici del sesso>>. I primi avrebbero a cuore la difesa
dell'interesse collettivo e di una società ideale, mentre i secondi si
preoccuperebbero di tutelare la libertà individuale. Ora: la filosofa del
Québec Rhéa Jean rimette in discussione questa concezione semplicista. Per lei,
solo gli abolizionisti difendono la libertà sessuale e il diritto alla privacy.
Proviamo a spiegarci meglio.
D. Per Lei, gli abolizionisti si oppongono alla
trasformazione della prostituzione in professione proprio perché hanno a cuore
la libertà sessuale, rivendicata dai sostenitori della posizione
regolamentarista?
I fautori della
posizione regolamentarista rimproverano agli abolizionisti di prediligere una
concezione <<essenzialista>> della sessualità, cioè di coltivare
un'idea di ciò che sarebbe <<normale>> o <<anormale>>,
anziché privilegiare una prospettiva centrata sulle scelte degli individui.
Ora, per me, l'abolizionismo è lungi dall'essere in contraddizione con i valori
di autonomia, di libertà individuale e di diritto alla privacy che i liberali sostengono di difendere. Non è
in nome di un ordine sociale o di una definizione di <<normalità>>
sessuale che la maggior parte degli abolizionisti d'oggi si oppongono alla
prostituzione. E' invece in nome della libertà di ciascun individuo di poter
vivere la propria sessualità secondo le proprie scelte e preferenze e non
secondo la necessità economica. Gli abolizionisti non cercano di dire che una
pratica sessuale sia migliore di un'altra; essi pensano piuttosto che
l'espressione delle scelte personali non sia favorita dallo scambio di servizi
sessuali in cambio di denaro. Se le persone prostituite esprimono una
<<scelta>>, questa non è legata alla loro autonomia sessuale,
quanto piuttosto ai loro bisogni finanziari. Il rifiuto della prostituzione non
ha lo scopo di oltraggiare la libertà sessuale degli individui, quanto piuttosto
quello di creare le condizioni sociali che permettano di non oltraggiare questa
libertà. Si tratta proprio di difendere l'autonomia sessuale dei più poveri e
delle persone più vulnerabili della nostra società.
D. Per i sostenitori della posizione regolamentarista,
la prostituzione sarebbe un semplice contratto il cui unico requisito
indispensabile sarebbe il consenso delle parti. Che ne pensa?
I pensatori liberali
si fanno promotori di una società individualista nella quale le persone siano
libere di esplorare le proprie preferenze sessuali, a condizione che le
pratiche si svolgano tra adulti consenzienti. Presentando la prostituzione come
un semplice contratto tra due individui, essi, a mio parere, sbagliano la
definizione di autonomia sessuale. Infatti, questa autonomia esiste soltanto in
assenza di coercizioni economiche. Il punto di vista abolizionista ritiene
giustamente che la prostituzione impedisca l'espressione delle preferenze
sessuali, soprattutto delle donne e dei più poveri. Esso denuncia precisamente
il fatto che questa industria si fondi non soltanto sulla rinuncia di queste
persone all'autonomia sessuale, ma anche
sull'esaltazione di una cultura che presuppone che i bisogni sessuali di certi
individui, di sesso maschile, possano imporsi ad altri individui, soprattutto
di sesso femminile, in cambio di denaro.
D. I sostenitori della posizione regolamentarista si
pretendono <<neutrali>> in materia di sessualità: una neutralità
che Lei mette fortemente in discussione.
La posizione
regolamentarista, che si pretende neutrale in materia di sessualità, alimenta
invece l'idea che la sessualità, particolarmente quella degli uomini, necessiti
di particolari premure, nel momento stesso in cui vengono richieste. La sessualità sembra dunque costituire un
bisogno imperativo che trascenderebbe qualsiasi etica sociale e che ci
costringerebbe a tollerare le sue derive, anche le più estreme. Non si può
certo parlare di neutralità.
D. I
sostenitori del regolamentarismo sostengono anche l'idea che l'acquisto di
servizi sessuali riguarderebbe il diritto alla privacy.
Gli abolizionisti,
opponendosi alla prostituzione, si vedono infatti accusare di attentare alla
privacy e di contrastare l'idea liberale secondo la quale lo Stato non deve
interferire con ciò che accade nella camera da letto. In primo luogo, ci si può
chiedere se questa difesa della protezione della vita privata non abbia
soprattutto lo scopo di proteggere gli uomini dall'interferenza dello Stato. In
secondo luogo, nella prostituzione, alla sessualità - che appartiene alla sfera
privata - si combinano l'acquisto e la vendita, che appartengono alla sfera
pubblica. Per quanto concerne la tutela della vita privata, secondo me, sono
gli abolizionisti che difendono questo valore nel modo migliore. Per loro, la
prostituzione produce lo sconfinamento della sfera pubblica del lavoro nella
sfera privata della sessualità. Se la sessualità deve rimanere un ambito
privato, non è soltanto lo Stato che deve restare fuori dalla camera da letto;
deve restarci anche il mercato. Trattare il sesso come una merce produrrebbe
una riduzione dell'autonomia sessuale, mettendo in pericolo quasi tutti i
lavoratori; essi potrebbero, per conservare il loro impiego, subire pressioni
dai datori di lavoro per avere relazioni sessuali contro la loro volontà[2].
Se il sesso diventa un lavoro, perché allora non imporre a una segretaria di
offrire servizi sessuali ai clienti? La barriera che separa il sesso dal
commercio non ha soltanto lo scopo di mantenere l'ambiente di lavoro libero
dalle pressioni sessuali, ma anche di mantenere le relazioni sessuali private
svincolate dal mercato.
D. Alcuni sostenitori del regolamentarismo si
avvalgono anche della tesi secondo la quale la sessualità deve essere, come il
lavoro domestico, un <<servizio>> retribuito.
Essi affermano che
le donne fornirebbero ai loro mariti servizi sessuali gratuiti e che ciò
costituirebbe, al pari delle faccende domestiche non retribuite, una forma di
sfruttamento patriarcale. Questa assimilazione tra sessualità e lavoro
<<invisibile>> delle donne è sbagliata e molto pericolosa. In primo
luogo, neppure i mariti sono remunerati per l'attività sessuale. Bisogna dunque
che vi sia asimmetria nella concezione della sessualità in base al genere di
appartenenza, perché la sola attività sessuale delle donne appaia come un
"lavoro". In secondo luogo, non bisogna confondere la natura delle
due attività: il lavoro domestico è un'attività essenziale al buon
funzionamento di tutte le società e di ogni individuo. Anche se non è mai stato
riconosciuto proprio perché svolto dalle donne, non deve essere
obbligatoriamente effettuato da una donna. La sessualità, invece, non
rappresenta un'attività separata da ciò che ci costituisce come soggetti. Come
dice giustamente Julia O' Connell Davidson: <<Se l'assenza di un rapporto
sessuale rappresentasse una minaccia per la salute e una persona avesse bisogno
di vedersi prescrivere le "cure" di una "sex worker", allo
stesso modo in cui un'altra ha bisogno delle cure di un dottore o di
un'infermiera quando soffre di una particolare malattia, allora l'aspetto
fisico, l'età, il sesso e la razza del/della prostituta non sarebbero criteri
importanti>>[3].
D. Per Lei, la remunerazione del lavoro domestico e
quella del sesso non hanno le stesse ripercussioni sociali.
La remunerazione del
lavoro domestico e dell'accudimento dei bambini (che sia effettuato da un uomo
o da una donna) mi sembra legittima, anche se c'è il pericolo di incentivare le
donne a conservare un ruolo tradizionale. Si tratta del riconoscimento di un
lavoro <<invisibile>>. Al contrario, la remunerazione del 'servizio
sessuale' rafforza l'idea che le donne possano essere escluse dal mondo del
lavoro, o sotto remunerate, e che la non reciprocità sessuale debba restare
immutata perché essa sarebbe fonte di guadagno per le donne. L'industria del
sesso trae vantaggio da questa asimmetria sessuale e mina, attraverso di essa,
l'uguaglianza tra uomini e donne e il diritto, per tutti e tutte, a una
sessualità desiderata. Rifiutando di riconoscere la prostituzione come lavoro,
gli abolizionisti cercano di combattere la concezione tradizionale della non
reciprocità sessuale tra uomini e donne che il riconoscimento della prostituzione
verrebbe a legittimare e a rafforzare.
[1]
Filosofa canadese, esponente della Concertation des luttes contre
l'exploitation sexuelle (CLES), è
attualmente ricercatrice di filosofia all'Università del Lussemburgo.
[2] Rhéa Jean si riferisce al lavoro di
S.A. Anderson: <<Prostitution and sexual autonomy: making sense of the
proibition of prostitution>>, Ethics,
vol.112, n.4, luglio 2002.
[3] Julia O' Connell Davidson,
<<The rights and wrongs of prostitution>>, Hypatia, vol.17, n.2, 2002.
una persona adulta che per qualsiasi ragione, che non giudico, vuole prostituirsi può farlo, non è illegale quindi non c'è nulla da legalizzare in italia
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