giovedì 22 settembre 2011

Il mito delle case chiuse

Uno dei motivi che mi hanno portato ad approfondire il tema della prostituzione e dell'industria del sesso fino a pensare di metterci su un blog, è stata l'impossibilità di rispondere ai luoghi comuni che sentivo dire intorno a me ogniqualvolta saltava fuori l'argomento.
Uno di questi, uno dei più inossidabili: "Oggi c'è un grande squallore con la prostituzione di strada. Tutta colpa del fatto che hanno chiuso le case di tolleranza. Bando alle ipocrisie, andrebbero riaperte. Prima di tutto per il bene delle ragazze".
Sì, come no.
In verità, in tutte le letture che sto facendo, in tutte le inchieste sull'industria multinazionale della prostituzione emerge come gli ambienti al chiuso siano se possibile ancora più pericolosi per chi vi è sfruttata, che vi è spesso letteralmente segregata, con molte meno possibilità di fuggire o di intercettare qualche organizzazione antitratta.
Nel caso che poi i bordelli siano gestiti dallo stato non è per questo garantita nei fatti maggior tutela rispetto a pratiche violente o malattie a trasmissione sessuale. Una dimostrazione ne è quanto accade nei bordelli statali turchi descritti da Lydia Cacho nella sua inchiesta (tra l'altro il governo turco, proprio perché ci guadagna sopra, addirittura perseguita le ONG che operano in favore di chi vuole sfuggire agli sfruttatori) oppure, andando un po' ad approfondire, proprio ciò che accadeva nelle tanto celebrate - anche da intellettuali e artisti di sinistra - case chiuse italiane, in cui i controlli sanitari erano solo una formalità e rivolti solo alla presunta tutela del cliente e in cui per converso le donne erano schedate e marchiate a vita, oltre ad essere devastate nel corpo e nella mente.
Una cosa in comune hanno le prostitute di ieri e di oggi: per la massima parte vengono da condizioni di marginalità e povertà estrema e da società che si basano sull'inferiorità socio-culturale-economica della donna.
Metto qui il link a un interessante articolo del '98 di Emanuela Scuccato apparso su Rivista anarchica e che ci riporta agli anni della senatrice Merlin a partire dalla pubblicazione nel 1955 del libro curato da Lina Merlin e Carla Barberis "Lettere dalle case chiuse".
Riporto anche alcune citazioni dell'articolo:

E allora perché battersi, nel '48, per chiudere le case di tolleranza? e oggi, 50 anni dopo, perché tornare a ribadire le stesse cose: che i casini non possono essere riaperti; che la si deve smettere, una buona volta, con questa ipocrisia dei cosiddetti "parchi dell'amore"; che...? Ma quale amore? Di che amore si sta parlando quando si parla di prostituzione? Tutte le donne che hanno scritto alla Merlin e alla Barberis, sia quelle favorevoli che quelle contro le Case, si sono definite dal di dentro "carne da Maciello" (Lettera N.55). Ci si può credere. Perché al di là della letteratura, del cinema, dell'arte in generale, che hanno fatto spesso del bordello un luogo "mitico", la realtà raccontata da "quelle signorine" è ben diversa.

Nelle case di tolleranza dell'Italia del dopoguerra, politicamente "immacolata", sulle strade dell'Italia di oggi, di tutt'altro orientamento politico, c'erano e ci sono soprattutto donne in mano alle multinazionali della prostituzione. Ci sono le stesse umiliazioni di sempre, le stesse botte, lo stesso disumano sfruttamento, lo stesso "farsi" per poter vendere il proprio corpo senza stare troppo male. C'è anche la morte, spesso. In compenso c'è più scelta per i clienti: slave, nigeriane, albanesi... E poi il top della trasgressione: i "trans". È curioso come a rileggere vecchi libri e vecchie carte salti sempre fuori, anche a proposito della mercificazione del sesso, l'esercito, la guerra. "L'origine della regolamentazione [del meretricio n.d.r.] che data dal 1802 in Francia e fu estesa in altri paesi d'Europa negli anni successivi, va ricercata in effetti nel presupposto che essa rappresentasse un mezzo di profilassi antivenerea per preservare gli eserciti", scrive Lina Merlin nella sua prefazione alle Lettere.

La questione della prostituzione è molto complessa, si diceva, e i livelli di lettura e interpretazione del fenomeno molteplici. Di una cosa, però, sono sicura. Che proprio perché "responsabile per la prostituzione è l'inferiorità economica e sociale della donna" (Emma Goldman), lo Stato non può in alcun modo entrarci.

La soluzione, se soluzione potrà mai esserci, sta in noi. Nella nostra capacità di parlarne apertamente. Di tornare a riflettere sulla sessualità in modo libero. Sta nel nostro desiderio di conoscerci. E di ri-conoscerci, reciprocamente. Sta nella voglia di riappropriarci dei nostri corpi. E del nostro piacere.


1 commento:

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