”Tanti uomini che ho incontrato mi hanno chiesto perché
facessi quella vita. Ho risposto chiedendo perché mi venissero a
cercare”
«Quando ho letto Le ragazze di Benin City ho pianto. Dopo aver letto 500 storie vere,
mi sono detto: devo fare qualcosa e farlo pubblicamente. Non è un
semplice libro, provoca reazioni, è strumento di lotta e di
cambiamento».
A parlare è Gianguido Palumbo, di Maschile Plurale, palermitano che vive a Venezia, durante la presentazione 500 storie vere, il libro di Isoke Aikpitanyi, a Palermo per la Giornata europea contro la tratta.
Il libro riporta la testimonianza di altri uomini, venti, tutti ex
clienti, che hanno deciso di mobilitarsi pubblicamente a favore di
ragazze africane vittime della tratta. In Italia sono più di
quindicimila e hanno dato un contributo non indifferente alla
realizzazione del libro/ricerca di Isoke perché chi è in grado di
avvicinare le vittime, più degli stessi operatori di strada, sono
proprio i clienti.
Del resto, racconta Isoke nel libro, come nelle rispondere alle
domande del pubblico, il suo riscatto è cominciato quando ha conosciuto
Claudio Magnabosco, suo attuale compagno:
«Iniziammo insieme un percorso che avrebbe portato me fuori dalla
tratta e lui fuori da un senso di impotenza contro i trafficanti, e di
colpa per esserne stato complice. Scrisse un romanzo verità Akara-ogun e le ragazza di Benin city
che diventò un manifesto. Molti uomini arrivavano a casa nostra con
ragazze africane in cerca d’aiuto. Cominciai ad occuparmi di loro, le
accoglievo in casa, e nacque il progetto La ragazza di Benin city. Non
volevo limitarmi a dire poverine quanto hanno sofferto, volevo creare
una rete per dare alle ex vittime della tratta la possibilità di dare
sostegno a ragazze ancora vittime. Per raccontarsi e darsi voce
pubblicamente. Non volevo essere oggetto di studio da parte di
specialisti, ma soggetto attivo. Era il 2006 e ne conoscevo 47. Oggi
sono oltre 300».
Alta, nera, statuaria, vestito sontuoso, lunga collana bianca,
capelli cortissimi, Isoke parla lentamente, concedendosi lunghe pause.
Alla domanda «perché ti sei decisa a scrivere», risponde come
nell’incipit del libro:
“Io non volevo scrivere libri. Vendevo frutta e verdura con mia madre
a Benin city e desideravo venderla in Europa. Il nostro inferno è
cominciato con la tv. Dentro quella scatola magica vedevamo tutti i
nostri sogni. Conoscevamo già gli Italos, la tv ce li mostrava
tutti ricchi. Alcuni avevano cominciato ad offrire alle ragazze più
giovani la possibilità di raggiungere l’Europa. Effettivamente quelle
che erano già partite mandavano i soldi a casa e quelle che tornavano
erano piccole regine piene d’oro. Non ci chiedevamo come. Quando toccò a
me ero pronta ad affrontare l’avventura. Io proprio non volevo scrivere
libri ma quello che mi è capitato qualcuno doveva pur raccontarlo ed è
toccato a me perché ho visto come un sogno si può trasformare in
incubo».
Quando è arrivata Isoke aveva vent’anni. Le avevano promesso un
lavoro di commessa. S’è ritrovata, come tante altre, a vivere in
schiavitù.
Il libro, con una introduzione di Susanna Camusso, è insieme
indagine, documento di protesta e di proposte operative, su una realtà
che Isoke chiama “sommersa” in quanto le nigeriane non sono costrette
solo a prostituirsi – stupro a pagamento Isoke definisce la
prostituzione – ma sono schiavizzate, massacrate, violate, uccise .
Molte si ammalano psichicamente. E’ una tratta gestita da una mafia
potente e violenta, la stessa che traffica in organi e armi.
«Avvicinare le ragazze è difficile perché vengono spostate
continuamente in zone sempre più periferiche, dove disturbano meno o
dove le questure sono più morbide», spiega Isoke.
L’indagine è stata realizzata, oltre che con l’aiuto di ex clienti,
insieme ad altre ex vittime, come Vivian e Sharon, che hanno raccolto
le risposte di 500 donne al questionario proposto. Queste alcune cifre:
ventimila vittime di tratta il cui numero aumenta mentre si abbassa
l’età; diecimila maman; sette milioni di clienti; il debito da
riscattare pari a centomila euro “trattabili”; 500 le donne uccise negli
ultimi due anni; profitto in Italia pari a diecimilioni di euro
l’anno.
«Il nuovo oleodotto dove scorrono esseri umani al posto del petrolio», così Isoke definisce il business della tratta.
Dal questionario emerge che la maggior parte delle ragazze non sapeva
che avrebbe dovuto prostituirsi, è senza permesso di soggiorno, non
conosce i servizi antitratta e soprattutto non denuncia perché teme il
rimpatrio.
«L’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione prevede la denuncia
per accedere al programma di protezione, me le ragazze non si sentono
garantite perché le pene per chi sfrutta sono lievi e soprattutto brevi e
temono le ritorsioni nei confronti soprattutto delle famiglie in
Africa. Sono gli stessi motivi per cui non vanno al pronto soccorso
nemmeno in punto di morte».
Nel libro sono anche raccolte 100 storie di vittime di stupri. Stupri
quotidiani di bianchi, di gruppo, e spesso consumati dagli stessi
connazionali che vivono in Italia e «che le schifano perché si vendono
ai bianchi».
«Tanto nessuno denuncia. Lo stupro di un’africana non fa notizia, la
polizia non interviene, in ospedale non c’è attenzione. Dicono che non
ci sono strumenti, ma se ad essere stuprata è una bianca è tutto
diverso» dice Isoke.
I connazionali vengono assoldati dalle maman per picchiare chi si
ribella o per “insegnare” alle più piccole come si fa a stare sul
marciapiede.
C’è la storia di Judith, 14 anni, lasciata sull’asfalto più morta che
viva alla sua prima sera di lavoro; di Prudence, 20 anni, analfabeta,
che non vuole ricoverarsi, anche se ha l’utero perforato, per paura del
rimpatrio; Tessie costretta a bere acido muriatico perche non voleva più
saperne del marciapiede. A Sandra invece hanno strappato le unghia
della mano. C’è Joy che dopo pochi giorni di matrimonio fu costretta a
partire per l’ Italia dallo stesso marito e dal pastore che li aveva
sposati e quando si è ribellata le è stato gettato in faccia un liquido
corrosivo. E c’è Joan che è diventata una maman perché non riusciva a
soddisfare le richieste continue della sua famiglia. Oggi è in prigione.
“Diventare una maman per alcune fa parte del sogno”, scrive Isoke.
Poi ci sono le ragazzine, 13, 14 anni, vergini vendute agli Italos dalle famiglie.
Spiega Isoke : «Per le famiglie rappresentano un investimento.
Significa che se va bene c’è da mangiare per tutti, si possono mandare i
figli a scuola, comprare una casa e magari pure la macchina. Quando
arrivano certe notizie dall’Europa, finché i soldi arrivano stentano a
credere, o fanno finta di non credere, ma se la ragazza torna, e spesso
torna in condizioni disumane, viene scacciata perché la colpa è sua, non
è stata brava, non ha saputo utilizzare l’opportunità. Questa è la
realtà anche se crudele … Ma la via d’uscita c’è, io la indico nel
libro. Se per fare questo devo scrivere, io scrivo. Non c’è bisogno di
essere intellettuali per dire la verità».
Isoke Aikpitani, 500 storie vere Ediesse, Roma 2011 , 150 pagine, 10 euroLaura Maragnani e Isoke Aikpitani , Le ragazze di Benin City, Melampo, Milano 2007, 211 pagine 12 euro
Fonte: http://www.societadelleletterate.it/2012/10/isoke-aikpitanyila-scrittura-come-strumento-di-lotta/